venerdì 7 novembre 2025

La dolcezza del tempo perduto

 



Quando penso al passato – al mio passato vissuto in un piccolo paese del sud – il sentimento che prevale in me è una profonda dolcezza per quel mondo scomparso e per quelle persone care che non ci sono più. Naturalmente, con questo, non voglio rimpiangere quel tempo che a volte era anche molto duro e oggi sarebbe insostenibile.

Era un universo, quello in cui ho vissuto la mia infanzia e poi la mia adolescenza, che aveva una sua dimensione comunitaria, umana, che privilegiava i legami forti e esercitava la solidarietà, un universo fatto di cose semplici ed essenziali, di contadini e … di nonni. Ma era anche un universo fatto di fatiche e di sacrifici, di arretratezze economiche e sociali e di brutture dalle quali si avvertiva forte il desiderio di evadere. Un microcosmo che, in qualche maniera, ti proteggeva in un caldo abbraccio e non ti faceva sentire mai solo, rispetto al mondo globalizzato di oggi che ha sostituito le interazioni reali con quelle mediate dagli strumenti tecnologici.

Non era un mondo racchiuso in uno smartphone, quel mondo. Esisteva una comunità con i suoi riti; esisteva il paese con i suoi silenzi e i suoi rumori, come quel ritmo scandito dal martello di un fabbro sull’incudine: “il suono più esaltante che si possa sentire” ebbe a dire una grande scrittrice del passato. C’erano i vecchi e i bambini: tanti vecchi e tanti bambini; c’erano i cugini, i nonni che vivevano – senza badante - nella stessa casa e poi i vicini che entravano e uscivano dalle porte di casa sempre aperte; c’era quell’aria salubre che io riconoscevo dall’odore di erba fresca appena tagliata. E devo dire che c’era sempre un velo di malinconia nei brevi momenti di felicità. Una felicità allo stato puro. Ma non era il paradiso sulla terra, quel passato. No! Era un mondo povero, difficile di cui non ho nostalgia. Eppure, quando penso al tempo che scorre, io penso a quel tempo che sembrava eterno e immutabile.

Perché ne scrivo? Perché mi piace ritornare con la mente a quegli anni lontani? Semplicemente perché il ricordo mi fa stare bene. Mi infonde serenità. Mi restituisce le radici, l’infanzia, la spensieratezza di un’età. Mi riporta nel luogo dove tutto è cominciato. Mi fa ritrovare il volto delle persone care che non ci sono più. Mi aiuta a non perdere la sensibilità e a recuperare il senso antico di una stagione della vita che non può più ritornare. Conservare la memoria è come costruire un ponte ideale tra passato e presente, necessario per poter affrontare il futuro.