Fare letteratura attraverso il
racconto autobiografico è una scelta spesso dettata dal bisogno di scavare nei
ricordi e far rivivere vicende personali in cui possa ritrovarsi anche chi
legge. In tale contesto narrativo si pone Natalia Ginzburg, la cui produzione letteraria
è improntata a una ricerca continua di fatti e sentimenti che fluiscono dal suo
passato e da quelle realtà che rappresentano il senso più profondo della sua
esistenza. Avevo avuto modo di apprezzare la sua scrittura leggendo, tempo fa,
il romanzo “Lessico famigliare” con cui la scrittrice di origini triestine (era
nata a Palermo) vinse il Premio Strega nel 1963. Mi sono ora imbattuto in “Mai
devi domandarmi”, un libro che raccoglie articoli apparsi su “La Stampa”, una
sorta di diario letterario intimo e appassionato che affronta tantissimi temi,
che vanno dall’infanzia alla morte, dalla vecchiaia alla vita collettiva, dai
libri ai viaggi, dalla politica al credere o non credere in Dio, dai ricordi di
scuola alla poesia. Vorrei soffermarmi su quanto ha scritto sulla vecchiaia, un
tema che – da un po' di tempo a questa parte - mi sta particolarmente a cuore.
“Ora noi stiamo diventando –
scrive la Ginzburg – quello che non abbiamo mai desiderato di diventare, e cioè
dei vecchi”. Ed è proprio così: la vecchiaia non l’abbiamo mai né desiderata,
né aspettata, né cercata. Arriva, prima o poi. E quando dovevamo immaginarla, la
nostra curiosità ci spingeva ad osservare solo quella degli altri, come se noi
fossimo immuni da questa condizione esistenziale. Adesso invece sentiamo
d’avanzare in quella direzione, “dove faremo parte di una folla grigia le cui
vicende non potranno accendere né la nostra curiosità, né la nostra
immaginazione... perderemo la facoltà sia di stupirci, sia di stupire gli altri”.
Tuttavia, dice la Ginzburg, un motivo di meraviglia l’avremo ancora, ed è
“l’estrema lentezza con la quale invecchiamo”.
Si, perché conserviamo a lungo
l’abitudine di crederci ancora “giovani”, anche quando abbiamo imboccato una
strada diversa. Ma a questa nostra lentezza nell’invecchiare si oppone la
rapidità vertiginosa del mondo che ruota e cambia e si trasforma intorno a noi,
conservando solo qualche pallida traccia del mondo che è stato il nostro.
Quello che abbiamo oggi sotto gli occhi “ci sfugge e ci appare indecifrabile: e
in esso non sappiamo leggere che le poche e pallide tracce di quanto è stato.
Vorremmo che quelle pallide tracce non sparissero, per poter ancora riconoscere
nel presente qualcosa che è stato nostro; ma sentiamo che fra poco non avremo,
per esprimere questo desiderio forse molto puerile e ingenuo, né forze, né
voce”.
Il fatto che questo mondo sia
destinato ai nostri figli e ai nostri nipoti – dice la Ginzburg – non solo non ci
aiuta a capirlo di più, ma non fa che aumentare la nostra confusione, il nostro
smarrimento. D’altronde loro, i giovani, sono abituati a dirci, fin dall’infanzia, che noi non abbiamo mai
capito nulla e non sappiamo niente. E questo ci fa sentire ancora più inutili,
incompetenti, inadeguati, mentre misuriamo le infinite distanze che ci separano
dal presente. E pensare che quando scrisse queste parole, Natalia Ginzburg
aveva solo 52 anni, era il 1968.
Io ricordo i miei nonni che raccontavano attraverso quella vecchiaia ,aneddoti legati alla loro gioventù da combattenti anche sul campo di guerra .Non è che avessero avuto grandi scelte ma è vero però che anche solo immaginando il loro vissuto "...la nostra curiosità ci spingeva ad osservare solo quella degli altri, (la loro in quel contesto)come se noi fossimo immuni da questa condizione esistenziale" che ormai ci sta sfuggendo anche di memoria.
RispondiEliminaIo credo che la nostra età sia strettamente correlata alla nostra anima ...e la mia è un po invecchiata,ma non reputo possa essere qualcosa di negativo;)
Buona serata Pino e grazie per i tuoi post sempre così meditativi e aperti alla vera letteratura.
La vecchiaia, così come la ricordo io da ragazzo impressa sul volto dei miei nonni, credo che oggi non esista più. Vige una sorta di pressione sociale che si manifesta, in primis, con la pubblicità che valorizza sempre la giovinezza, ma anche il giovanilismo, che è l’atteggiamento tipico di chi, pur avendo una certa età, ostenta comportamenti che sono propri dei giovani. Insomma, devi sentirti giovane anche a 90 anni. Natalia Ginzburg, invece, avvertiva i segni della vecchiaia già a 52 anni. Con il metro di giudizio dei nostri tempi, una cosa del genere è inconcepibile. Oggi c’è una sorta di rimozione della vecchiaia, una condizione esistenziale, questa, che – come scrivi tu - “è strettamente correlata alla nostra anima”, tuttavia si lascia influenzare dalle mode imperanti. Dici bene, la vecchiaia ci sta sfuggendo anche come memoria. Io ricordo molto bene la vecchiaia dei miei nonni; e mi domando: ma i nipoti di oggi come ricorderanno i loro vecchi nonni se gli stessi, senza alcun ritegno, scimmiottano i giovani? Saper invecchiare è un’arte antica che si va perdendo…come tante altre cose di questo mondo.
EliminaGrazie e buona serata a te.
Non avevo mai riflettuto sulla lentezza dell’invecchiamento, troppo preso dal vano tentativo di non considerarmi ancora vecchio. Già questo cercare di prendere le distanze in realtà è parte della lenta progressione dell’invecchiamento.
RispondiEliminamassimolegnani