Arrivo quasi sempre in largo
anticipo alla Stazione Termini di Roma, quando devo prendere il treno. Ne
approfitto, allora, per entrare da Borri, una tra le più grandi librerie della
Capitale, situata al centro dell’atrio della stazione. Un rito irrinunciabile. Devo
dire che ne esco sempre con un nuovo libro, anche se la mia intenzione – ogni
volta - è solo quella di curiosare. Ma non si può entrare in acqua senza
bagnarsi. E così l’altro giorno, mentre gironzolavo tra gli scaffali in attesa
della partenza del mio treno, mi sono imbattuto in una copertina giallo-arancione, con
un titolo poetico e seducente: “In tutto c’è stata bellezza”, di un autore a me
sconosciuto: Manuel Vilas. Sulla copertina, le parole di un
altro scrittore, Javier Cercas, recitavano: “un libro magnifico, coraggioso e
struggente”. L’ho subito sfogliato, e ho letto questo straordinario incipit che
ha fatto volare la mia immaginazione: “Magari si potesse misurare il dolore
umano con numeri chiari e non con parole incerte. Magari ci fosse un modo di
sapere quanto abbiamo sofferto, e il dolore fosse materiale e misurabile. Un
giorno o l’altro ogni uomo finisce per affrontare l’inconsistenza del suo
passaggio nel mondo. Ci sono esseri umani che riescono a sopportarlo, io non lo
sopporterò mai”. Sono bastate queste parole per capire che avrei continuato
la lettura sul treno.
A volte un libro non sai come classificarlo:
romanzo o saggio, diario o autobiografia. Poi, man mano che scorri le pagine,
ti accorgi che il suo fascino risiede proprio in questa molteplicità di forme
letterarie, in questa sua complessità narrativa. “Ci farebbe bene scrivere
delle nostre famiglie – scrive Manuel Vilas – senza nessuna finzione,
senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia
successo”. E lo scrittore spagnolo lo
fa in maniera intima, poetica, struggente, cruda, raccontando la sua vita e il suo
straripante amore per i genitori: Bach, suo padre e Wagner, sua madre. Si,
perché lui battezza i personaggi che incontriamo nel libro (in primis i suoi genitori)
con i nomi dei grandi musicisti. “Quattrocento pagine di affondo in mezzo
secolo di vita personale, di corpo a corpo con i fantasmi dei genitori”, così
scrive Paolo di Paolo sulla prima pagina del libro.
“Non so se i miei due figli mi
ameranno quanto io ho amato i miei genitori”, dice l’autore. E quando
parla dei suoi genitori che non ci sono più, quel padre e quella madre sembrano
tornare alla vita. Vilas esplora le sue debolezze, i suoi rimpianti, i ricordi
di una vita e li offre al lettore affinché possa fare altrettanto con le
proprie vicende familiari. “In tutto c’è stata bellezza” è il romanzo di una
storia personale che diventa universale, perchè tratta temi universali, come
l’amore, la morte, il trascorrere del tempo, la famiglia, la fragilità umana,
le sconfitte della vita, la gioia e il dolore e la solitudine. Il racconto rincorre
i capricci della memoria e procede a frammenti; è una narrazione sincera,
malinconica, dolce e amara nello stesso tempo. L’autore si sofferma sui legami
affettivi, che lo sostengono anche quando sembrano apparentemente affievoliti,
e ritrova quelle tracce di vita vissuta che i morti lasciano inevitabilmente ai
vivi. “Quando tu riesci a comprendere il tuo passato – sostiene Vilas – quando
tu riesci a comprenderne l’umanità, allora nasce la Bellezza, una bellezza
morale e spirituale”. Questa sembra essere la chiave di lettura del romanzo:
il passato in cui sei vissuto, che ti ha modellato e ti ha reso quello che sei
risorge quando lo menzioni. Non va via, ritorna con i ricordi di chi non c’è
più, restituisce quella bellezza quasi impercettibile di “quando la vita
andava più lentamente e potevi vederla. Le estati erano eterne, i pomeriggi
erano infiniti, e i fiumi non erano inquinati…Era il paradiso. E’ stato il mio
paradiso. Sono stati loro il mio paradiso, mio padre e mia madre, quanto li ho
amati, come siamo stati felici e come siamo crollati. Com’è stata bella la
nostra vita insieme, e ora tutto si è perduto. E sembra impossibile”. E
questa storia inizia da un paese della Spagna, Barbastro, dove l’autore del
libro è nato e cresciuto e dove matura questo rapporto di amore nei confronti
dei genitori, un rapporto rivisto al presente. Un padre che parlava poco, “un
artista del silenzio” che “non m’insegnò a volergli bene…e non mi ha mai
detto che mi voleva bene”, un padre con cui non si era mai abbracciato
perché “non avevamo creato quella tradizione. Non avevamo forgiato quel
rituale”. E poi, la madre, “una donna-dramma” che morì mentre
dormiva, da cui aveva ereditato “il caos narrativo”. Erano diversi dagli
altri, i suoi genitori, ma è proprio in quella diversità che risiede la
bellezza. E l’amore. “Ciò che mi univa a mia madre – confessa - era e
continua ad essere un mistero che forse riuscirò a decifrare un secondo prima
della mia morte”.
“Ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie – scrive Manuel Vilas – senza nessuna finzione, senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia successo”.
RispondiEliminaNon so come sia possibile, nei tempi odierni, scrivere della famiglie perché è un epoca in cui i figli sono perduti e le famiglie "sfasciate",forse esistono anche i numeri che parlano tra divorzi e giovanissimi che assumono di sostanze tossiche e persi dentro un aggeggio di cui non si riesce piu a farne a meno .Ed allora abbiamo anche la risposta in mano a quel“Magari si potesse misurare il dolore umano con numeri chiari e non con parole incerte "
Questa è un'analisi che non mira a soccombere la bellezza,ma un grido di dolore affinché si mediti per farla riemergere!
Mi colpisce molto il titolo che si rivolge ad un tempo passato.:
In tutto c'è stata bellezza.
Io non posso ,non riesco e non credo che la bellezza non esista più,viene continuamente sepolta e oscurata da un nero di cui veniamo bombardati quotidianamente .
Basta aprire anche solo un libro di quelli che non seguono la moda ,il mercato e il pettegolezzo e la BELLEZZA riaffiora.
...e tu sei tra quei pochi che contribuiscono in questo,ti sarò sempre grata:)
L.
Vilas ci dice che “ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie” ma non allude solo alle famiglie virtuose dove i figli sono dei bravi figli e i genitori sono dei bravi genitori. No! Sottintende – secondo me - che farebbe comunque bene scriverne, fosse anche una famiglia disgraziata dove i figli assumono sostanze stupefacenti o si armano per sparare, “persi dentro un aggeggio di cui non si riesce più a farne a meno” e i genitori si picchiano tra di loro. Ci farebbe bene raccontare ciò che sta succedendo nelle nostre “sfasciate” famiglie. Vilas - lo scrive nel libro – era un alcolizzato (aveva cominciato a bere dopo il divorzio dalla moglie), però capì che doveva scegliere fra continuare a bere o continuare a vivere: e scelse di vivere perché amava comunque la sua vita, per quanto fosse insipida, e perché aveva due figli e perchè amava i suoi genitori. Ma non amava il matrimonio (forse a causa del fallimento del suo) “giacchè richiede sacrificio, richiede rinuncia, richiede negazione dell’istinto, richiede menzogna su menzogna, e in cambio dà la pace sociale e la prosperità economica”. Lo scrive nel libro. Ma amava, senz’altro, la scrittura che ha una funzione catartica, che fa bene e ti permette di raccontare ciò che ti è successo nella vita “senza nessuna finzione”. E poi avvertiva il potere curativo della musica, tant’è che nel libro chiama i suoi figli Vivaldi e Brahms, i suoi genitori Bach e Wagner. La bellezza sta qui: nella scrittura, nella musica, nell’amore, nelle scelte coraggiose della vita. Ma certo che c’è ancora bellezza in questo mondo, è solo una questione di scelta. E noi oggi non scegliamo più, tutto ci viene imposto da una regia occulta.
EliminaUn saluto, Linda, e grazie per le tue parole.
Grazie Pino, ho riflettuto sul tuo commento in risposta e magari senza volerlo mi insegni che ancora prima della scrittura esiste la lettura,per quanto siano di valore nobile entrambe.
EliminaSe non leggevi il libro non potevi scriverne un post e nemmeno noi di conseguenza potevamo leggerne e scriverne attraverso i nostri commenti.
Chiaro che non avendo però letto il libro ,mi sono soffermata su certe frasi scritte nel testo da te riportate e ne ho fatto una lettura più mia ,diciamo più estesa verso la nostra realtà sociale .
Aggiungo inoltre un interrogativo,senza perdere il collegamento con Vilas ,non sarà che proprio per questa mancanza di ristoro introspettivo ,l'anima perisce,non potendosi esprimere attraverso la bellezza da cui è fatta?
Dostoevskij diceva che è la bellezza che salverà il mondo ..ma non riusciamo a non dare che un unico e solo significato a tale bellezza,se non l'Amore quello in cui tutte le altre virtù possono essere riassunte.
...e quante volte viene citato qui nel tuo commento:).
Dici bene la bellezza nel mondo c'è , è solo una questione di scelta!
L.
Leggere e scrivere, lettura e scrittura sono attività umane essenzialmente connesse. E' chiaro che quando leggo un libro e poi ne parlo o ne scrivo, succede spesso che cerco di mettere in evidenza l'aspetto che a me interessa di più di quel libro, o ciò che ritengo sia più interessante. E chi legge - non il libro ma il mio scritto sul libro - può ricavarne una visione non completa, a volte addirittura distorta o fuorviante e farsi una propria idea modellata non su ciò che racconta l'autore del libro ma su certe frasi riportate nel post. Può addirittura succedere che il post sul libro sia migliore e più accattivante del libro stesso (per carità, non è il mio caso...non sarei capace di ottenere tanto) e, allora, in questo caso, il danno per il lettore sarebbe maggiore perchè correrebbe in libreria a comprare il libro, per rimanerne - a lettura ultimata - enormemente deluso. Comunque sia, la cosa migliore è leggere sempre il libro - se uno ne ha voglia - per farsi una propria opinione, che è quella che veramente conta. La bellezza salverà il mondo? Uhm! Il povero Dostoevskij non poteva immaginare il mondo della tecnica che sarebbe arrivato dopo di lui. La tecnica è interessata a far funzionare le cose e non ha nulla da spartire con la bellezza. :)
EliminaUn caro saluto :)
È incredibilmente affascinante quando tu tenga ad essere preciso e non tralasciare anche il non detto :)
EliminaHo capito perfettamente quanto scrivi e non posso che ringraziarti per il tatto e la pacatezza con cui ti prendi cura della lettura e la scrittura anche di noi che ti commentiamo.
Diciamo che ti trovi dinanzi una persona che non "ama" tanto la propaganda è nel farla è nel riceverla e in te onestamente non e ho mai vista , sorrido.
- Comunque sia, la cosa migliore è leggere sempre il libro - se uno ne ha voglia - per farsi una propria opinione, che è quella che veramente conta.
Ti ringrazio vivamente
Sono convinto che quando la parola da timbro vocale diventa un segno nero sulla carta – o meglio su uno strumento tecnologico visto che oggi non usiamo più carta e penna – quella parola acquista una maggiore credibilità, un modo diverso di attenzione e di ascolto. Insomma, quando scriviamo - che sia un post o un suo commento - diversamente da quando parliamo, cerchiamo di essere più convincenti, più precisi, più chiari perché abbiamo tutto il tempo di pensare, di cercare e di limare le parole, quelle più adatte alla comprensione del tema che stiamo trattando. E perché no: senza nemmeno tralasciare “il non detto”. Con una accortezza fondamentale: avere sempre il massimo rispetto di chi ti legge e avverte la necessità di postare un commento al tuo post. :) Tutto qui :)
EliminaGrazie a te, L. e buona domenica
Sei stato doppiamente fortunato o semplicemente hai pescato un libro che merita pur non conoscendo l’autore e hai avuto alcune ore a disposizione per una lettura ininterrotta, cosa che sicuramente aiuta nell’appezzamento. Terrò presente questo titolo perché hai parlato del romanzo in modo coinvolgente
RispondiEliminaGrazie
massimolegnani
Io credo che esista una sorta di fluido magnetico tra i libri e il lettore: una vera e propria attrazione reciproca. Ogni volta che esco da una libreria con un libro mi domando sempre: ma perchè ho scelto proprio quello e non un altro? Certo, puoi anche rimanere deluso: se non conosci l'autore ti può colpire il titolo o la copertina, poi magari resti deluso dal contenuto. Pazienza! Vuol dire che quel libro servirà solo ad abbellire il ripiano della tua libreria. Ti conosco un pò come lettore, però non metterei la mano sul fuoco sul tuo totale apprezzamento per questo libro così particolare...Sorrido...
EliminaCiao Carlo :)
Il potere che hanno i libri di attrarci senza preavviso è inarrestabile, soprattutto quando ci colpiscono al cuore con parole di bellezza e verità. La tua esperienza alla libreria della Stazione Termini è un esempio perfetto di come, a volte, ci imbattiamo in storie che sembrano aspettarci, pronte a svelarsi al momento giusto. "In tutto c’è stata bellezza" sembra proprio quel tipo di libro che ti accompagna ben oltre il viaggio in treno. Buon viaggio!
RispondiEliminaDici bene, Giuseppe, "a volte ci imbattiamo in storie che sembrano aspettarci". E queste storie sono tanto più gradite quanto più si avvicinano al nostro mondo. In fondo, si legge per cercare proprio se stessi tra le pagine di un libro
EliminaDev'essere un bel libro! Ha meritato la mia attenzione per il tema e il modo in cui tu ne hai parlato. Il rapporto con i genitori, per me, è una di quelle cose di cui difficilmente riesci a scrivere con la massima sincerità, ma se io dovessi farlo (lo sai che tante volte mi è preso il ghiribizzo?) anch'io parlerei di bellezza e di amore vero: di ammirazione per i lati migliori di mia madre e di adorazione verso le mille contraddizioni di mio padre. Ho segnato titolo e autore.
RispondiEliminaP.S. Borri è una libreria fantastica. Ci bazzico spesso anch'io! ;)
“Ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie – scrive Manuel Vilas – senza nessuna finzione, senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia successo”. E se qualche volta ti è preso "il ghiribizzo" di scrivere del tuo rapporto con i tuoi genitori, ebbene questo invito che ci viene dato da Vilas potrebbe essere una buona spinta a farlo. Poi ci farai sapere. Intanto, se ti capita, metti da parte per qualche giorno il tuo amato Proust, e leggi "In tutto c'è stata bellezza" :)
EliminaSi, è una buona e fornitissima libreria quella all'interno della stazione Termini. Io, però, "ci bazzico" solo quando devo prendere il treno. A Roma le librerie non mancano. Frequento spesso anche quella vicino casa: non vorrei che chiudesse e al suo posto aprissero l'ennesimo negozio di cineserie.
Ciao Marina.
Non conoscevo il libro, né il suo autore. Ma questo non è un limite, visti i temi che affondano nella sensibilità degli uomini. Il problema della misura del dolore si può estendere a tutti i sentimenti. Pensiamo al più potente: l'amore. Se fosse possibile misurarlo avremmo una ricetta operativa (una funzione in un certo numero di variabili) per determinare con certezza e in maniera univoca chi è che ama di più e chi meno; utile da sbandierare a ogni "scaramuccia" di coppia... ;-) ;-)
RispondiEliminaDi tanto in tanto, anch'io scrivo della mia famiglia, che ho perduto per intero. Purtroppo, non mi capita mai di farlo quando sono sereno. Ne scrivo quando la mancanza si fa sofferenza, nostalgia spinta, e dunque rievocare brani scelti della vita trascorsa insieme è come un balsamo, per l'anima, e per il cuore alla gola.
Il tuo, con questo scritto, è stato un bel servigio. Ti ringrazio, lo comprerò.
Sereno martedì d'inizio Ottobre.
Grazie di essere qui. Ci sono tanti scrittori, anche importanti, che hanno raccontato la propria vita. D'altra parte raccontarsi è una costante della nostra esistenza. Secondo il filosofo Duccio Demetrio arriva un momento nella vita di ognuno di noi in cui si avverte il desiderio di raccontare la propria storia. Bisogna allora dare spazio a questo "pensiero autobiografico" che richiede passione e impegno e procura benessere. Spero che il libro di Vilas sia di tuo gradimento. Un saluto a te
EliminaUn tema come questo diventa automaticamente familiare quando si superano i 50 anni, a mio parere. I 50 anni sono il giro di boa, segnano il prima e il dopo. Compiuta questa età, mi è scattata la nostalgia costante per un passato che percepisco come luminoso, pieno di quella bellezza citata in questo libro di cui hai scritto. Piacerebbe anche a me leggerlo, ci sono libri che in certo senso riescono a "parlarci", risuonano perfettamente in noi, a seconda del tratto di vita che stiamo vivendo.
RispondiEliminaIo li ho superati da un pezzo, i 50 anni...
RispondiEliminaMi fai ricordare alcuni versi di una meravigliosa poesia di Kavafis, che recitano:
"Non mi voglio voltare, ch'io non scorga, in un brivido,
come s'allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente".
Io, invece, mi volto eccome! Mi piace rivangare il passato. Sono un nostalgico, lo confesso. E' il mio tratto distintivo, reso ancora più evidente dalla pesantezza del presente. Una nostalgia vissuta come una forma di difesa personale nei confronti di un mondo in cui non sempre riesco ad immedesimarmi, una realtà che non mi appartiene, in cui faccio fatica a ritrovare la mia giusta dimensione e collocazione. E allora mi tuffo nei ricordi e il passato riesco sempre ad ingentilirlo, a coprirlo di un’ aura positiva, a nobilitarlo e percepirlo, il più delle volte, migliore del presente. E questo, forse, è l’errore che mi impedisce di guardare con occhi diversi la realtà e di comprendere le cose dell’oggi. Capisco, allora - mia cara Luz - che sto invecchiando. Per fortuna ci sono certi libri che "riescono a parlarci" - come dici bene tu - e a parlare di "bellezza" che oggi sembra sparita, sommersa dalla bruttezza che avanza in tutti gli ambiti.
Stammi bene, Luz. :)