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venerdì 27 settembre 2024

In tutto c'è stata bellezza

 


Arrivo quasi sempre in largo anticipo alla Stazione Termini di Roma, quando devo prendere il treno. Ne approfitto, allora, per entrare da Borri, una tra le più grandi librerie della Capitale, situata al centro dell’atrio della stazione. Un rito irrinunciabile. Devo dire che ne esco sempre con un nuovo libro, anche se la mia intenzione – ogni volta - è solo quella di curiosare. Ma non si può entrare in acqua senza bagnarsi. E così l’altro giorno, mentre gironzolavo tra gli scaffali in attesa della partenza del mio treno, mi sono imbattuto in una copertina giallo-arancione, con un titolo poetico e seducente: “In tutto c’è stata bellezza”, di un autore a me sconosciuto: Manuel Vilas. Sulla copertina, le parole di un altro scrittore, Javier Cercas, recitavano: “un libro magnifico, coraggioso e struggente”. L’ho subito sfogliato, e ho letto questo straordinario incipit che ha fatto volare la mia immaginazione: “Magari si potesse misurare il dolore umano con numeri chiari e non con parole incerte. Magari ci fosse un modo di sapere quanto abbiamo sofferto, e il dolore fosse materiale e misurabile. Un giorno o l’altro ogni uomo finisce per affrontare l’inconsistenza del suo passaggio nel mondo. Ci sono esseri umani che riescono a sopportarlo, io non lo sopporterò mai”. Sono bastate queste parole per capire che avrei continuato la lettura sul treno.

A volte un libro non sai come classificarlo: romanzo o saggio, diario o autobiografia. Poi, man mano che scorri le pagine, ti accorgi che il suo fascino risiede proprio in questa molteplicità di forme letterarie, in questa sua complessità narrativa. “Ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie – scrive Manuel Vilas – senza nessuna finzione, senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia successo”.  E lo scrittore spagnolo lo fa in maniera intima, poetica, struggente, cruda, raccontando la sua vita e il suo straripante amore per i genitori: Bach, suo padre e Wagner, sua madre. Si, perché lui battezza i personaggi che incontriamo nel libro (in primis i suoi genitori) con i nomi dei grandi musicisti. “Quattrocento pagine di affondo in mezzo secolo di vita personale, di corpo a corpo con i fantasmi dei genitori”, così scrive Paolo di Paolo sulla prima pagina del libro.

“Non so se i miei due figli mi ameranno quanto io ho amato i miei genitori”, dice l’autore. E quando parla dei suoi genitori che non ci sono più, quel padre e quella madre sembrano tornare alla vita. Vilas esplora le sue debolezze, i suoi rimpianti, i ricordi di una vita e li offre al lettore affinché possa fare altrettanto con le proprie vicende familiari. “In tutto c’è stata bellezza” è il romanzo di una storia personale che diventa universale, perchè tratta temi universali, come l’amore, la morte, il trascorrere del tempo, la famiglia, la fragilità umana, le sconfitte della vita, la gioia e il dolore e la solitudine. Il racconto rincorre i capricci della memoria e procede a frammenti; è una narrazione sincera, malinconica, dolce e amara nello stesso tempo. L’autore si sofferma sui legami affettivi, che lo sostengono anche quando sembrano apparentemente affievoliti, e ritrova quelle tracce di vita vissuta che i morti lasciano inevitabilmente ai vivi. “Quando tu riesci a comprendere il tuo passato – sostiene Vilas – quando tu riesci a comprenderne l’umanità, allora nasce la Bellezza, una bellezza morale e spirituale”. Questa sembra essere la chiave di lettura del romanzo: il passato in cui sei vissuto, che ti ha modellato e ti ha reso quello che sei risorge quando lo menzioni. Non va via, ritorna con i ricordi di chi non c’è più, restituisce quella bellezza quasi impercettibile di “quando la vita andava più lentamente e potevi vederla. Le estati erano eterne, i pomeriggi erano infiniti, e i fiumi non erano inquinati…Era il paradiso. E’ stato il mio paradiso. Sono stati loro il mio paradiso, mio padre e mia madre, quanto li ho amati, come siamo stati felici e come siamo crollati. Com’è stata bella la nostra vita insieme, e ora tutto si è perduto. E sembra impossibile”. E questa storia inizia da un paese della Spagna, Barbastro, dove l’autore del libro è nato e cresciuto e dove matura questo rapporto di amore nei confronti dei genitori, un rapporto rivisto al presente. Un padre che parlava poco, “un artista del silenzio” che “non m’insegnò a volergli bene…e non mi ha mai detto che mi voleva bene”, un padre con cui non si era mai abbracciato perché “non avevamo creato quella tradizione. Non avevamo forgiato quel rituale”. E poi, la madre, “una donna-dramma” che morì mentre dormiva, da cui aveva ereditato “il caos narrativo”. Erano diversi dagli altri, i suoi genitori, ma è proprio in quella diversità che risiede la bellezza. E l’amore. “Ciò che mi univa a mia madre – confessa - era e continua ad essere un mistero che forse riuscirò a decifrare un secondo prima della mia morte”.


3 commenti:

  1. “Ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie – scrive Manuel Vilas – senza nessuna finzione, senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia successo”.

    Non so come sia possibile, nei tempi odierni, scrivere della famiglie perché è un epoca in cui i figli sono perduti e le famiglie "sfasciate",forse esistono anche i numeri che parlano tra divorzi e giovanissimi che assumono di sostanze tossiche e persi dentro un aggeggio di cui non si riesce piu a farne a meno .Ed allora abbiamo anche la risposta in mano a quel“Magari si potesse misurare il dolore umano con numeri chiari e non con parole incerte "
    Questa è un'analisi che non mira a soccombere la bellezza,ma un grido di dolore affinché si mediti per farla riemergere!

    Mi colpisce molto il titolo che si rivolge ad un tempo passato.:
    In tutto c'è stata bellezza.

    Io non posso ,non riesco e non credo che la bellezza non esista più,viene continuamente sepolta e oscurata da un nero di cui veniamo bombardati quotidianamente .

    Basta aprire anche solo un libro di quelli che non seguono la moda ,il mercato e il pettegolezzo e la BELLEZZA riaffiora.

    ...e tu sei tra quei pochi che contribuiscono in questo,ti sarò sempre grata:)

    L.

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    1. Vilas ci dice che “ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie” ma non allude solo alle famiglie virtuose dove i figli sono dei bravi figli e i genitori sono dei bravi genitori. No! Sottintende – secondo me - che farebbe comunque bene scriverne, fosse anche una famiglia disgraziata dove i figli assumono sostanze stupefacenti o si armano per sparare, “persi dentro un aggeggio di cui non si riesce più a farne a meno” e i genitori si picchiano tra di loro. Ci farebbe bene raccontare ciò che sta succedendo nelle nostre “sfasciate” famiglie. Vilas - lo scrive nel libro – era un alcolizzato (aveva cominciato a bere dopo il divorzio dalla moglie), però capì che doveva scegliere fra continuare a bere o continuare a vivere: e scelse di vivere perché amava comunque la sua vita, per quanto fosse insipida, e perché aveva due figli e perchè amava i suoi genitori. Ma non amava il matrimonio (forse a causa del fallimento del suo) “giacchè richiede sacrificio, richiede rinuncia, richiede negazione dell’istinto, richiede menzogna su menzogna, e in cambio dà la pace sociale e la prosperità economica”. Lo scrive nel libro. Ma amava, senz’altro, la scrittura che ha una funzione catartica, che fa bene e ti permette di raccontare ciò che ti è successo nella vita “senza nessuna finzione”. E poi avvertiva il potere curativo della musica, tant’è che nel libro chiama i suoi figli Vivaldi e Brahms, i suoi genitori Bach e Wagner. La bellezza sta qui: nella scrittura, nella musica, nell’amore, nelle scelte coraggiose della vita. Ma certo che c’è ancora bellezza in questo mondo, è solo una questione di scelta. E noi oggi non scegliamo più, tutto ci viene imposto da una regia occulta.
      Un saluto, Linda, e grazie per le tue parole.

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  2. Sei stato doppiamente fortunato o semplicemente hai pescato un libro che merita pur non conoscendo l’autore e hai avuto alcune ore a disposizione per una lettura ininterrotta, cosa che sicuramente aiuta nell’appezzamento. Terrò presente questo titolo perché hai parlato del romanzo in modo coinvolgente
    Grazie
    massimolegnani

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