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domenica 15 settembre 2024

Torniamo a zappare la terra!

 


“Vai a zappare”: lo si diceva, un tempo, a chi non aveva molta voglia di studiare. Un modo di dire, questo, per ribadire che se non sei portato per la “cultura” puoi dedicarti solo alla “coltura” e quindi alla terra. Un’attività quasi da disprezzare, adatta solo  alle persone rozze e dotate di poca intelligenza. Devo dire che io sono di diverso avviso. Ho sempre visto  il zappatore (di leopardiana memoria), come una figura di tutto rispetto; ho sempre considerato nobile il lavoro del contadino che nasce con la comparsa stessa dell’uomo sulla terra. D’altra parte, prima ancora che diventassimo falegnami o muratori, medici o avvocati,  impiegati o manager, siamo stati zappatori della terra da cui ha origine tutto il necessario per la nostra sussistenza. Mi diceva sempre la buon’anima di mio nonno: ricordati che tutto viene dalla terra.

Pare che oggigiorno l’accostamento  “ignorante uguale zappatore” sia stato definitivamente superato tant’è che Carlo Petrini, il fondatore del movimento “Slow Food”, ha detto che “l’era del  “vai a zappare”  per chi non è portato per studiare è finita da un pezzo. Oggi a zappare ci vanno quelli che studiando hanno capito che è a partire dal cibo che si cambia il mondo, e si migliora l’ambiente, la salute, la qualità della vita di tutti”. Fino a qualche anno fa, probabilmente, nessuno si sarebbe mai aspettato una simile rivalutazione di quello che era considerato il lavoro più umile e dequalificante; nessuno avrebbe scommesso sull’agricoltura contadina, protagonista di un processo di ritorno alla terra per migliorare la qualità della vita.

Come sostiene anche il professor Serge Latouche, uno dei principali fautori della “decrescita felice”, bisogna rivedere l’uso del territorio, come bene comune da preservare, elemento centrale di tutta la cultura umana; bisogna togliere la terra all’agricoltura intensiva, alla speculazione fondiaria, all’impatto inquinante dell’asfalto e del cemento per darla all’agricoltura contadina, biologica, rispettosa degli ecosistemi; bisogna rendersi conto che una crescita infinita, su cui si fonda sempre di più la nostra società, è incompatibile con un pianeta finito, fatto di risorse destinate ad esaurirsi con il tempo. Il pianeta che noi abitiamo non ci basta più e per poter continuare a tenere lo stesso tenore di vita, ne occorrerebbero molti di più. Per assicurare il benessere all’insieme dell’umanità, la Banca mondiale ha calcolato che nel 2050, la produzione di ricchezza dovrebbe essere quattro volte superiore a quella attuale. Ma come è possibile pensare che si possa produrre all’infinito?

E’ necessario, allora, che nella nostra società i valori di riferimento ed i comportamenti delle persone vengano rivisti e magari sostituiti con altri più opportuni: quindi basta con la competizione sfrenata,  consumare prodotti locali anziché d’importazione, sostituire la produzione industriale con la biologica. E’ necessaria una vera e propria rivoluzione culturale; è fondamentale abbandonare l’idea secondo cui l’unico scopo della vita è quello di produrre e consumare sempre di più. C’è da dire che già si avvertono dei piccoli segnali che fanno ben sperare; in particolare, si sta diffondendo un modo di coltivare la terra sempre più vicino a quello tradizionale, che veniva adottato dai nostri nonni, che zappavano la terra. Il modello agroindustriale che utilizza dosi massicce di diserbanti è sotto accusa perchè danneggia la qualità e la bontà del cibo che arriva sulle nostre tavole. Oggi, chi ha la possibilità, abbandona la città per vivere in campagna e dedicarsi alla coltivazione del proprio orticello con sistemi naturali. Si sta tornando a quegli antichi metodi di conservazione delle sementi che si tramandavano i nostri nonni, al fine di custodire prodotti e conoscenze altrimenti destinati a scomparire. Sempre più spesso si incontrano, nei mercatini rionali, piccoli imprenditori agricoli che cercano di contrastare la grande distribuzione, con prodotti a km 0. Nelle grandi città sorgono i cosiddetti “orti urbani”: piccoli fazzoletti di terra che vengono affidati ai cittadini, a titolo gratuito, ed utilizzati per la coltivazione ortofrutticola. E’ un'iniziativa efficace per salvaguardare il territorio comunale dal degrado, e consentire ai beneficiari di riscoprire quell’antico e nobile piacere di vedere crescere, e poi gustare, frutta e verdura prodotta con le proprie mani. O meglio con la propria zappa.


14 commenti:

  1. Nella periferia romana, anche vicino casa nostra, ne sono sorti parecchi di questi orti urbani, dove ti chiedono un contributo per il serbatoio dell'acqua e altre poche spese.. un modo utile e simpatico per riavvicinare il "cittadino" a forme di lavoro e di hobby antico, significativo e utile soprattutto. Certo si tratta di oasi e iniziative estemporanee in tempi dove la campagna perde sempre più terreno, si continua a costruire follemente, il disboscamento impazza.. insomma l'invocazione del titolo, Torniamo a zappare la terra! sembra davvero ardita e forse senza futuro..

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    1. Lo so, la mia invocazione, come dici bene tu, “sembra davvero ardita e forse senza futuro”, ma in realtà vuole essere - oltre che una provocazione - un ammonimento a non sottovalutare un problema fondamentale per il nostro futuro, che è quello di rivedere l’uso che facciamo del nostro territorio, bene comune da salvaguardare.

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  2. Oggi siamo molto "evoluti" anche nel linguaggio e perfino alcuni termini sono sostituiti con altri, mettendo in risalto ciò che accomuna la moda ,dal lavoro zappare al passatempo wazzappare:)

    Tornado seri,si so dell'esistenza di tanti progetti che stanno rivalutando il valore della coltivazione del terreno con prodotti naturali,e la cosa che lascia ben sperare son tanti giovani a provare questo vivo interesse mettendosi in prima linea.

    Ho guardato spesso mio padre zappare l'orto e l'ho imitato anche spesso ,conservo ancora l'abitudine di fare seccare semi di pomodoro e peperoni per poterli interrare a momento propizio .

    E ricollegandoci a Leopardi e a D'avenia nella sua arte di essere fragile,mi colpì molto la spiegazione sull'origine della parola cultura .

    "Cultura' deriva infatti dal latino colere, e tutti i significati che questo verbo comporta traducono un'idea trasformativa. Colere è infatti "abitare" (un luogo, un territorio), "coltivare" (un campo), "ornare" (un corpo), "venerare" (una divinità), "esercitare" (una facoltà).

    Grazie per questo tuo spazio prezioso oggi ancora più ricco di cultura:)

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    1. E già, non ci avevo proprio pensato: siamo passati da "zappare" a "wazzappare". Te lo confesso: io preferisco la prima attività alla seconda, anche perchè so cos'è una zappa, un attrezzo che puoi toccare, ma non ho idea di cosa sia l'altra che tanto appassiona il genere umano. Anche mio padre zappava l'orto, me lo ricordo bene, e in quell'immagine ricurva e bucolica c'era del sacro, che allora non riuscivo a cogliere. Lui, certamente, non era conscio di essere, con il suo campetto e con la sua zappa, condannato a sparire, eppure zappava con pazienza, con umiltà, con serenità. Diceva il monaco Enzo Bianchi - fondatore della comunità monastica di Bose - che all’età di 14 anni chiese in dono a suo padre un orto. Da allora non riesce a vivere senza accudirne uno, che non solo dà gusto ai cibi che egli stesso produce, ma gli insaporisce l’anima. L’orto, quindi, come metafora della vita spirituale, luogo di fatica e di delizia, di semina e di raccolto, di attesa e di soddisfazione. Oggi i ragazzi di 14 anni chiedono l'ultimo modello di smartphone...così va il mondo.
      Un caro saluto

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  3. Il contadino è quanto di più vicino al Creatore esista al mondo. Immerge un piccolo seme rinsecchito nel terreno e ne vede nascere una creatura viva.
    Indipendentemente dall'argomento che tratti, nei tuoi "pezzi" c'è un senso di pacatezza, di sicurezza e ordine che infonde quiete.
    Buona giornata.

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    1. Sono d'accordo con te, Sari: il contadino è riuscito a creare, nel corso dei millenni, tutti i prodotti che oggi arrivano sulle nostre tavole. Ti ringrazio di cuore, poi, per quel "senso di pacatezza, di sicurezza e ordine" che riesci a cogliere nei miei post. Evidentemente, con la mia scrittura, riesco molto bene a nascondere le mie inquietudini e le mie insicurezze. :)
      Un caro saluto e una serena giornata a te.

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    2. Concordo ,l'autore di questo blog infonde con i suoi post sempre un senso di quiete e pacatezza.Diciamo che io lo leggo da anni perché ha una notevole saggezza e gli riconosco nei suoi scritti una nobiltà di animo, capace di ascolto e lentezza ,valori , ahimè ,ormai in via di estinzione,invece di elemento portante e guida al buonsenso ....

      Ma le mie osservazioni su questa forma di estinzione si sono spesso soffermate al quando abbiamo spostato i dibattiti politici e le notizie di cronaca anche in alcuni blog. È come vivere in trincea,davvero.

      Un motivo in più per sostenere questo post già condiviso...qui si và alla "radice" da dove tutto prende origine per poter distinguere quel che è bene e quel che è male.

      Grazie e buona giornata a te Pino e a tutti:)

      L.

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    3. Grazie di cuore, Linda, per le tue belle parole di apprezzamento. Diventavo rosso, da ragazzo, quando qualcuno lodava un mio requisito caratteriale o comportamentale: ero molto timido. Ci ha pensato, poi, il tempo a togliermi d'impaccio. E chissà, forse quella mia timidezza, quella mia inadeguatezza giovanile si è trasformata, con la scrittura, in qualcos'altro che non saprei definire. Di sicuro i miei post sono influenzati dalle mie letture, spesso non in linea con i tempi che viviamo. Devo dire che raramente tratto i temi di attualità politica o di cronaca o di gossip (non è il mio compito e poi esistono strumenti informativi molto più autorevoli del mio blog), cerco invece di cogliere, attraverso le mie parole , il senso vero dell'esistenza, di dare voce alle mie aspettative, ai miei desideri, alle mie amarezze, di raccontare le mie impressioni sui libri che leggo, di parlare delle bellezze e delle brutture dei luoghi che viviamo, di dare conforto e rifugio alla mia solitudine.
      Buona serata, L.

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  4. Sono d'accordo con te: sarebbe bello se ci si potesse affidare soltanto ai prodotti biologici, a quelli locali, alle colture tutte naturali... Al supermercato questa roba c'è e cosa di più e nemmeno mi fiderei al 100%, perché - purtroppo - ho scarsa fiducia nel genere umano. Un tempo il mio sogno era avere una campagna dove realizzare un orto e, pensa, nella prima casa in cui ho abitato qui a Roma avevamo un giardino; io e i miei figli ci siamo spesi molto per coltivarne una parte con lattughe, carote e pomodori. Poi un giorno un'alluvione terribile ha distrutto miseramente ogni cosa: la nostra delusione è stata schiacciante :)
    Comunque, la domenica vado spesso in un punto vicino casa dove vendono a Km zero. Tutto ha un altro sapore!

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  5. Si, sarebbe proprio bello se potessimo avere sulle nostre tavole prodotti locali. Invece andiamo al mercato per comprare mandarini che arrivano dalla Turchia, mentre i nostri, quelli siciliani, vanno al mercato estero. E' pazzesco! Io ho avuto sempre un rapporto molto stretto con la campagna: sono nato in un piccolo paese del sud e i miei genitori erano contadini, così come i miei nonni. Amo i contadini, persone semplici, buone, generose. Vivo a Roma da oltre 40 anni, ma appena posso mi rifugio lì, nella mia terra, nella mia campagna, tra i miei ulivi che mi donano un olio genuino. Capita anche a me di andare in questi mercatini dove vendono a km zero: ne conosco uno che sta dalle parti del Circo Massimo.
    Ciao Marina

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  6. Il tuo articolo mette in luce una riflessione importante e attuale, soprattutto nel contesto delle sfide ambientali e sociali che stiamo affrontando oggi. La rivalutazione del lavoro contadino, che un tempo veniva spesso disprezzato e associato all'ignoranza, è oggi non solo necessaria ma anche vitale. Come sottolinei, il legame tra la terra e l'uomo è primordiale, e l'agricoltura è la base di tutto ciò che ci permette di vivere. Dobbiamo riconoscere che lavorare la terra non è solo un mestiere, ma una vera e propria arte che richiede intelligenza, conoscenza e rispetto per gli ecosistemi.

    L'idea che "chi non studia vada a zappare" oggi è anacronistica e fuori luogo. Il ritorno alla terra non è un segno di fallimento o arretratezza, ma una scelta consapevole e rivoluzionaria, come sottolinea Carlo Petrini. Studiare l'agricoltura, il cibo, il modo in cui produciamo e consumiamo è essenziale per cambiare il mondo e migliorare la qualità della vita. Quindi, l'agricoltura non è solo un ritorno alla tradizione, ma una prospettiva per il futuro sostenibile.

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    1. Grazie, Giuseppe, per il tuo prezioso contributo. Dici bene: "lavorare la terra non è solo un mestiere, ma una vera e propria arte che richiede intelligenza". Ritornare alla terra, oggi, è l'alternativa per una vita più sana. Lo sfruttamento eccessivo del suolo, lo sviluppo sfrenato - non il progresso che è tutt'altra cosa - ci stanno portando lontano dalla natura e dalle sue tante espressioni, ci costringono a consumare più risorse di quante il pianeta sia in grado di produrre. Se vogliamo salvarci, dobbiamo perciò cambiare il nostro stile di vita, il nostro attuale modo di creare ricchezza, più rispettoso dell'ambiente in cui viviamo. Per sconfiggere la globalizzazione del mercato – che io considero nefasta – è necessario rivitalizzare e riscoprire l’artigianato locale e preferire i prodotti agricoli del nostro territorio. Quando vado al mercato io compro le arance della Sicilia e non quelle provenienti dalla Spagna, secondo logiche di mercato per me incomprensibili. Io sono un sostenitore di quel modello economico che si chiama "decrescita felice" che non intende ritornare al medioevo, che non è nemico del progresso, ma fautore di un rinnovamento industriale sostenibile, in chiave ecoloigica.
      Un saluto.

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  7. Per problemi tecnici ho perso il blog.Se vorrai seguirmi sarò felice.https://unagerladidee.blogspot.com/

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