“Vai a zappare”: lo si diceva, un tempo, a chi non aveva molta voglia di
studiare. Un modo di dire, questo, per ribadire che se non sei portato per la
“cultura” puoi dedicarti solo alla “coltura” e quindi alla terra. Un’attività
quasi da disprezzare, adatta solo alle persone rozze e dotate di poca
intelligenza. Devo dire che io sono di diverso avviso. Ho sempre visto il
zappatore (di leopardiana memoria), come una figura di tutto rispetto;
ho sempre considerato nobile il lavoro del contadino che nasce con la comparsa
stessa dell’uomo sulla terra. D’altra parte, prima ancora che diventassimo
falegnami o muratori, medici o avvocati, impiegati o manager, siamo stati
zappatori della terra da cui ha origine tutto il necessario per la nostra
sussistenza. Mi diceva sempre la buon’anima di mio nonno: ricordati che tutto
viene dalla terra.
Pare che oggigiorno l’accostamento
“ignorante uguale zappatore” sia stato definitivamente superato tant’è
che Carlo Petrini, il fondatore del movimento “Slow Food”, ha detto che “l’era
del “vai a zappare” per chi non è portato per studiare è finita da
un pezzo. Oggi a zappare ci vanno quelli che studiando hanno capito che è a
partire dal cibo che si cambia il mondo, e si migliora l’ambiente, la salute,
la qualità della vita di tutti”. Fino a qualche anno fa,
probabilmente, nessuno si sarebbe mai aspettato una simile rivalutazione di
quello che era considerato il lavoro più umile e dequalificante; nessuno
avrebbe scommesso sull’agricoltura contadina, protagonista di un processo di
ritorno alla terra per migliorare la qualità della vita.
Come sostiene anche il professor
Serge Latouche, uno dei principali fautori della “decrescita felice”,
bisogna rivedere l’uso del territorio, come bene comune da preservare, elemento
centrale di tutta la cultura umana; bisogna togliere la terra all’agricoltura
intensiva, alla speculazione fondiaria, all’impatto inquinante dell’asfalto e
del cemento per darla all’agricoltura contadina, biologica, rispettosa degli
ecosistemi; bisogna rendersi conto che una crescita infinita, su cui si fonda
sempre di più la nostra società, è incompatibile con un pianeta finito, fatto
di risorse destinate ad esaurirsi con il tempo. Il pianeta che noi abitiamo non
ci basta più e per poter continuare a tenere lo stesso tenore di vita, ne
occorrerebbero molti di più. Per assicurare il benessere all’insieme
dell’umanità, la Banca mondiale ha calcolato che nel 2050, la produzione di
ricchezza dovrebbe essere quattro volte superiore a quella attuale. Ma come è
possibile pensare che si possa produrre all’infinito?
E’ necessario, allora, che nella
nostra società i valori di riferimento ed i comportamenti delle persone vengano
rivisti e magari sostituiti con altri più opportuni: quindi basta con la
competizione sfrenata, consumare prodotti locali anziché d’importazione,
sostituire la produzione industriale con la biologica. E’ necessaria una vera e
propria rivoluzione culturale; è fondamentale abbandonare l’idea secondo cui
l’unico scopo della vita è quello di produrre e consumare sempre di più. C’è da
dire che già si avvertono dei piccoli segnali che fanno ben sperare; in
particolare, si sta diffondendo un modo di coltivare la terra sempre più vicino
a quello tradizionale, che veniva adottato dai nostri nonni, che zappavano la
terra. Il modello agroindustriale che utilizza dosi massicce di diserbanti è
sotto accusa perchè danneggia la qualità e la bontà del cibo che arriva sulle
nostre tavole. Oggi, chi ha la possibilità, abbandona la città per vivere in
campagna e dedicarsi alla coltivazione del proprio orticello con sistemi
naturali. Si sta tornando a quegli antichi metodi di conservazione delle
sementi che si tramandavano i nostri nonni, al fine di custodire prodotti e
conoscenze altrimenti destinati a scomparire. Sempre più spesso si incontrano,
nei mercatini rionali, piccoli imprenditori agricoli che cercano di contrastare
la grande distribuzione, con prodotti a km 0. Nelle grandi città sorgono i
cosiddetti “orti urbani”: piccoli fazzoletti di terra che vengono affidati ai
cittadini, a titolo gratuito, ed utilizzati per la coltivazione ortofrutticola.
E’ un'iniziativa efficace per salvaguardare il territorio comunale dal degrado, e
consentire ai beneficiari di riscoprire quell’antico e nobile piacere di vedere
crescere, e poi gustare, frutta e verdura prodotta con le proprie mani. O
meglio con la propria zappa.