Mi viene da pensare: ma dove
eravamo rimasti? Poi mi rendo conto che una simile domanda non è più
sostenibile, appare quanto mai anacronistica, fuori dal tempo. Io però mi
ostino ad andare controcorrente. Con i moderni mezzi di comunicazione, oggi non
esiste più sospensione tra il prima e il dopo. Non ci si lascia mai. Si è
sempre connessi con il mondo intero senza soluzione di continuità. E non esiste
più l’attesa. Abbiamo rinunciato alla “vigilia”, un tempo prolungato di
felicità e di piacere, saltando direttamente alla festa che è, invece, un tempo
breve che vola via in un attimo. Intanto il tempo inesorabilmente scorre, come
sempre, rosicchiando i nostri giorni. Le nostre stagioni. E in questo
precipitare verso la fine viviamo velocemente. Senza pause. Senza fermarci mai.
Comunque sia, ci eravamo
lasciati in piena estate, o meglio, avevo chiuso questo spazio durante quelle
interminabili roventi giornate di luglio. Ad oggi, i giorni si susseguono quasi
identici, il caldo ancora imperversa e non sembra finire, anche se stiamo
scivolando lentamente verso l’autunno, almeno dal punto di vista meteorologico.
Ma non esistono più neanche le stagioni di una volta… e non è solo un modo di
dire: ce la stiamo mettendo davvero tutta per stravolgere anche quelle. Ormai si
passa direttamente dal caldo al freddo e viceversa. Ma cosa rappresentano per
noi le stagioni? Ho cercato di scoprirlo leggendo il libro - poetico e
malinconico – del filosofo Duccio Demetrio “Foliage - vagabondare in autunno”. Ed
è proprio l’autunno il filo conduttore di questo saggio, arricchito dal
pensiero filosofico, da poesie, da cenni letterari e diaristici, da immagini
pittoriche, in particolare di quelle scuole che più l’hanno dipinto come gli
impressionisti e i macchiaioli.
Ognuno di noi si immedesima in una
stagione e durante lo scorrere delle altre non fa che aspettare che torni la
propria, si legge nel libro. La mia sta arrivando e – diciamo pure – che ci sto
già dentro: è l’autunno. E’ quella che mi è più congeniale. Prima ancora che
una stagione dell’anno, l’autunno per me è uno stato mentale, un tempo
interiore, una disposizione d’animo, un modo di vivere. Le quattro stagioni
sono la metafora della condizione umana. Che la primavera rappresenti la
giovinezza, l’estate il pieno fulgore (la bella estate di Pavese) e l’autunno
la vecchiaia ai suoi inizi, ad un passo dall’inverno che ci verrà a trovare,
prima o poi, con i suoi silenzi, le sue solitudini e i suoi acciacchi – scrive
Duccio Demetrio – è un’immagine fin troppo risaputa. D’altra parte ogni
stagione, in quanto esperienza prima di tutto sensoriale, incide su di noi e
indirizza il nostro modo di essere e di agire. In particolare l’autunno, con le
foglie che cadono dagli alberi – “dal mio nome ogni giorno cade una lettera”,
dice Franco Arminio - con i suoi ritmi lenti, con lo scemare progressivo della
luce, con i suoi paesaggi nebbiosi, con il suo declinare verso il freddo dell’inverno,
si rivela molto vicino a certi miei stati d’animo velati di malinconia. “Veder
cadere le foglie mi lacera dentro/soprattutto le foglie dei viali/soprattutto
se sono ippocastani”, recitano i versi di una struggente poesia del poeta
turco Nazim Hikmet. L’autunno è da sempre fonte di ispirazione poetica, tanto
triste per i suoi detrattori quanto dolce per chi lo ama e in esso si
immedesima.
Vagabondare con la mente, se non
si riesce con le gambe, deve condurci a riscoprire questa stagione in tutta la
sua essenza, in tutta la sua bellezza. L’autunno ci invita a scrivere, a non
smarrire i ricordi di questi mesi, a viverlo sia come esperienza interiore che
come impegno esteriore rivolto a tutti quei piccoli accadimenti, alle suggestioni
e alle atmosfere che più ci colpiscono. L’autunno che è in noi va cercato e
scoperto, bisogna prendersene cura come un modo di esistere, come stile di vita
in controtendenza. E’ infatti in questi giorni settembrini che si fanno largo
(tra passeggiate nei boschi a cercare funghi o castagne, allegre vendemmie o
solitarie meditazioni) “i bilanci esistenziali necessari a dar senso morale
alla propria vita”.
“Amo l’autunno – scriveva
Flaubert - questa triste stagione si addice ai ricordi. Quando gli alberi
non hanno più foglie, quando il cielo conserva ancora al crepuscolo la rossa
tinta che indora l’erba appassita, è dolce guardare spegnersi tutto ciò che
poco fa bruciava ancora in noi”.
Proprio l'altro giorno, in lento passeggio per i boschi di Monteporzio, tra silenzi e calura attutita dalle lunghe ombre di foglie ancora ben vitali, mi chiedevo quanto minimi siamo in questa totalità di armonia, di equilibrio, di sistema perfetto che ci scorge attraversare i suoi viottoli, ammirare per un momento la sua vastità, e tornare subito dopo al traffico, alla frenesia, alle dimenticanze, a mille preoccupazioni, delle quali forse un paio valide, e tutte le altre appena velleitarie.. buon arrivo di autunno, Pino..
RispondiEliminaCiao Franco. L'autunno sia a noi propizio...
Eliminasorrido perchè per una felice coincidenza l'immagine dei larici dorati che ho messo a corredo del mio ultimo post ben si adatta alle parole del tuo scritto.
RispondiEliminaben tornato, Pino
ml
E' davvero una felice coincidenza...ho già letto il tuo ultimo post. Ben trovato, Carlo.
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