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sabato 22 luglio 2023

Radici

 


Ritornare nel “natio borgo selvaggio” - da cui forse non mi sono mai allontanato – è un rito irrinunciabile che si ripete ogni estate. E’ il luogo dell’infanzia e dell’adolescenza dove la “dolente bellezza” (prendo a prestito questa espressione di Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”) non si manifesta esplicitamente in opere d’arte, in fontane seicentesche e statue barocche, ma la si scopre in certi angoli appartati, ben nascosta ad un osservatore frettoloso, in certi panorami al tramonto, in certi scorci naturali avvolti nella calura estiva, dove il silenzio è rotto solo dal canto incessante delle cicale.

Ogni piccola cosa degna di essere osservata è necessario scovarla, in un paese, e prendersene cura affinché resista nel tempo; ogni ricordo va nutrito, coltivato affinché si rinnovi quell’ intesa di fiducia e fedeltà alle proprie radici, quel senso di appartenenza su cui si fonda la nostra identità. E’ la casa in cui si è nati; è la strada in cui si è giocato a pallone; sono gli alberi su cui ci si è arrampicati scorticandosi le ginocchia; sono le case abbandonate, un tempo abitate da persone del posto; è il dialetto che parlavi come la sola lingua conosciuta; è il cimitero dove sono sepolti i propri defunti; è quel viottolo di campagna percorso in groppa all’asino del nonno; è il rintocco delle campane a festa che chiamava a raccolta una comunità che, oggi, non esiste più. Perché quel tempo non esiste più!

Immagini, sensazioni, ricordi che ritornano alla mente. Cose semplici colorite di infinite illusioni che ti appaiono, adesso, come le scene di un teatro a spettacolo finito, mentre senti il tuo cuore stretto da un’ indicibile malinconia. La malinconia degli anni che passano e delle stagioni della vita che si succedono, “del tacito infinito andar del tempo” diceva Leopardi. E mentre te ne stai, da solo e in silenzio, su quel terrazzino della casa avita che guarda verso il mare, riemerge quello che sei stato, come un temporale improvviso che ti coglie alla sprovvista e ti bagna. E tu ti lasci bagnare senza cercare alcun riparo, concedendo ai ricordi di fluire leggeri. E ti domandi cosa è rimasto in te del tuo paese, della vita di prima, quando non sapevi come sarebbe stato il tuo futuro e il solo immaginarlo ti faceva stare male, perché capivi che il futuro non poteva essere lì. E ti domandi cosa è rimasto di quella antica civiltà contadina esiliata dalla storia e con una diversa concezione del tempo, dove i giorni, i mesi, gli anni si succedevano monotoni senza che nulla cambiasse.

Si può essere costretti a spezzare gli antichi legami e partire. Ma poi arriva il momento del ritorno. E ritornare nel luogo in cui tutto è cominciato significa compiere una sorta di cammino a ritroso e guardare la realtà che ritrovi con occhi diversi. Ma niente è più come prima. Quella zona lontana che chiami passato non è altro che uno spazio d’oblio che attende, comunque, il momento per risorgere. Se ne sta nascosto in qualche anfratto, magari in un insospettabile oggetto, in un delicato profumo di madeleine. E proprio quando non rimane più nulla di quel lontano passato “l’odore e il sapore permangono ancora a lungo come anime – scriveva Proust -  a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo”.


3 commenti:

  1. ogni anno il tuo ritorno al paesello è accompagnato da struggimento e poetica nostalgia.
    invidio la profondità emotiva delle tue radici.
    ml

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    1. Grazie Carlo, per le tue parole. Si, sto per ritornare al paesello, dove non potrò seguire il blog, almeno fino a settembre. Lì non esiste – ma solo per me – connessione. In fondo, caro Carlo, io sono un inguaribile nostalgico, sono attaccato ai ricordi come l’edera al muro. E questo mio struggimento interiore è sempre accompagnato da una sottile malinconia. Quelle immagini del passato che serbo nella memoria e in cui mi identifico sono state stravolte da questa moderna società dei consumi usa-getta-distruggi, che alimenta un turismo di massa spesso disastroso per qualsiasi luogo. Con questo non voglio dire che si stava meglio prima, né rimpiango il tempo che fu: ci mancherebbe! non era un “paradiso” quello, né lo è il tempo che viviamo. Devo dire, però, che il ritorno al paese mi riserva sempre una cosa che sembra immutabile nel tempo e di cui non esiste traccia in città: il silenzio. Un caro saluto e stammi bene.

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    2. Oggi San Michele di Ganzaria, vicino Caltagirone, dove mia moglie è voluta passare a ricordare infinite estati, i dolci e i ricami della nonna e delle zie, i vicoli, le finestre, le ombre e le botteghe, i ruderi e gli odori..l'ho vista raggiante, colma di bellezza e vita che si rimaterializzava all'improvviso..giochi, feste, rimproveri anche..un paese che d'improvviso si traveste da macchina del tempo.. e crea sogno..❤️

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