Mi
trovavo in una grande libreria del centro storico di Roma. Un luogo, questo, in
cui amo spesso confondermi e perdermi per potermi, poi, ritrovare. Vi ero
entrato, l’altro giorno, anche per un bisogno di quiete e per stemperare la mia
temporanea malinconia, così come a volte si entra in una chiesa per cercare
conforto e pregare. Fuori, la città con le sue logiche consumistiche e la
perenne confusione di macchine e turisti non sembravano offrire alcun segnale
di tregua; all’interno di quel luogo dello spirito, invece, regnava un silenzio
ovattato, rotto soltanto dal lieve fruscio delle pagine dei libri. Mi aggiravo curiosando
tra gli scaffali zeppi di volumi e, come spesso accade quando ti trovi di
fronte a migliaia di pagine scritte, non sei tu a scegliere un libro ma è il
libro stesso che ti viene incontro e ti corteggia, attirandoti con la sua bella
copertina o con un titolo accattivante. Ed eccolo quel libro: sulla copertina un
dipinto che riproduceva una donna d’altri tempi, dal contegno raffinato, così
diversa dagli attuali stereotipi femminili. Venivo attratto da quella figura armoniosa
che sembrava quasi volesse parlarmi. Poi il titolo, per me davvero invitante:
“All’antica. Una maniera di esistere” (Raffaello Cortina Editore). L’autore, un
certo Duccio Demetrio, un nome a me sconosciuto che sapeva ugualmente di antico.
Dopo aver dato un’occhiata alla quarta di copertina che iniziava con le parole
di Leopardi tratte dalle Operette Morali secondo cui “un uomo fatto
all’antica” è un uomo “dabbene e da potersene fidare”, l’ho aperto a
caso e a pagina 46, ho letto: “Qualche volta può esservi persino capitato
che abbiano detto di voi, benevolmente, che eravate un po' all’antica, un po'
d’altri tempi, coniando frasi di circostanza ripetitive e banali. Ebbene, se
tali espressioni, tanto più esse stesse un po' fuori moda, non vi sono
dispiaciute, avendole interpretate come un gratificante elogio, se vi sono
sembrate anzi una insolita lusinga, non un canzonatorio rimprovero, allora –
forse – questo libro parlerà anche di voi”.
Sono
bastate queste parole per ritrovarmi in quel libro: una sorta di amore a prima
vista. Un libro che parlava di me e di tutti quelli che non sono schiavi del
subdolo e straripante dominio tecnologico, e sono riluttanti e guardinghi nel seguire
le mode e le tendenze del presente; ma che sanno apprezzare sensibilità,
comportamenti, oggetti, gusti estetici e letterari, modi di essere e di agire
definiti – superficialmente - “fuori moda” dal comune sentire. L’ho comprato
senza indugi, attratto anche dalla sua elegante edizione con copertina rigida. Direi
proprio una pubblicazione all’antica.
Essere
all’antica – che è una condizione esistenziale spontanea o coltivata
ostinatamente dentro di noi - non vuol dire rifiuto radicale del presente, né
va inteso come un tentativo di allontanarsi dalla civiltà della tecnologia,
della quale ormai nessuno può più fare a meno di avvalersi. Nulla di tutto
questo! Significa, invece, riconoscersi in alcuni valori fondamentali che ci
permettano di non tagliare definitivamente i rapporti con il passato, “quel
passato – scrive l’autore - che ha saputo migliorare le condizioni di
vita e di convivenza dello stare al mondo di ciascuno di noi”. Essere
all’antica, quindi, non è lanciare attacchi contro l’era digitale, sognando il
ritorno alla Olivetti lettera 32, ai segnali di fumo o ai treni a vapore, ma attenuare
o correggere alcune condotte aggressive della contemporaneità che sembrano
minacciare o cancellare le nostre memorie più nobili, certe tradizioni, ogni
bellezza e risorsa naturale. E per sostenere questo modo di essere, di pensare,
di parlare, di desiderare, di guardare, l’autore del libro si affida anche alle
suggestioni e al pensiero dei filosofi, dei poeti, degli scrittori- da Seneca a
Epicuro, da Lalla Romano a Franco Arminio “il più antico dei poeti italiani
d’oggi", da Leopardi a Guido Gozzano… - affinché possano indirizzare
diversamente alcuni nostri comportamenti abituali di vita assai poco ispirati a
un’esistenza virtuosa. Insomma, “evocare l’antico – sottolinea Duccio
Demetrio - non è tornare indietro, è legame del presente con il passato,
anche storico, che possa arricchire il primo”. E’ svelare la nostra
umanità, la nostra delicatezza, le nostre buone maniere che si oppongono
all’arroganza, alla volgarità, alla maleducazione, al pensiero unico e ad ogni
forma di insensibilità verso il passato, rappresentato anche dagli oggetti
umili fuori moda, dalle “piccole cose di una volta” tanto care ai
“crepuscolari”. “Sfortunato è chi non abbia nemmeno una saliera, una tazza,
un piatto, una zuccheriera…materna o paterna – scrive Duccio Demetrio - denominata
antica più che altro per consuetudine domestica, da conservare ed esibire nei
giorni di festa quasi fosse un amuleto”. Una eredità da salvare, da custodire,
da amare affinché ciò che consideriamo antico possa rappresentare una crescita
piuttosto che una regressione, possa rivelarsi un “punto di vista morale
rispetto a ciò che dell’oggi non vogliamo accettare, non ci piace, si dimostra
spreco intollerabile”. E se non vogliamo separarci da certi ricordi, da
certe virtù, da certe cose passate di mano in mano che ci hanno aspettato e
sono diventate preziose per il loro valore affettivo, significa che in noi si
nasconde “l’attitudine per il sentimento verso l’antico…l’antico non come
rammarico, ma come scelta di vita, come maniera di far esistere il passato
purgato dei suoi errori In quel mondo possiamo ritrovare la nostra fragilità, possiamo
ritrovare noi stessi e coloro che ci hanno preceduti, non “una rapida e
distratta apparizione virtuale”.
L’antico
– che è un “altrove” senza tempo e racchiude un modo di esistere all’insegna di
valori culturali, civili e umani ereditati da un passato che non ha più età -
ci invita essenzialmente a vigilare su come viviamo il presente, un presente a
volte intollerabile che non sempre accettiamo e che vorremmo ben diverso,
rispetto al quale ci sentiamo spesso estranei e spaesati. L’antico è un “luogo
mentale” dove si sono rifugiati i nostri ricordi infantili, le nostre storie e
quelle degli altri. L’antico, scrive Duccio Demetrio, “è un sentimento:
l’eco di qualcosa che abbiamo perduto, ma che in verità non abbiamo mai
posseduto e mai potremo rivivere non avendolo vissuto. Eppure, saperlo dentro
di noi allevia ogni mancanza temporanea. La sua figura indefinita va e viene,
torna e ci rincuora. Ci dona il senso di appartenenza alla vita presente e non
solo, come comunemente si crede, a quella già trascorsa”.
E’
un libro, questo, che non contiene solo parole ma anche immagini: e sono dei
dipinti bellissimi della prima metà del secolo scorso che fluiscono tra le
pagine, a cui l’autore volutamente non ha dedicato alcun commento. Li ha
cercati “in una gamma ridotta di scuole e stili novecenteschi, come aggiunge
Berenson, inseguendone soprattutto l’incanto esistenziale”. Ritraggono
figure delicate e armoniose scelte per il silenzio che sembra avvolgerle, per il
contegno del loro aspetto e per l’eleganza e la misura dei loro gesti antichi. “Desidererei
che – scrive Duccio Demetrio – sfogliando il libro con appropriata
lentezza, come mi è accaduto cercandole, se ne cogliesse quasi per
telepatia…tutta la bellezza taciturna, compita, solenne”. Per finire mi
piace aggiungere che un libro – un buon libro - va sempre letto con
“appropriata lentezza”. E poi va riletto una seconda volta a distanza di tempo:
la prima volta per capire, la seconda per riflettere. Un modo di leggere
all’antica.
Proprio l'altro giorno sfogliavo il mio "antico" Palazzi, dizionario di una vita, dal fascino vetusto che va oltre il vintage (moda trend che ammicca e basta). Io adoro quell'antico non patinato, non fasullamente vecchio, ma che davvero profuma di uno sfogliare che mi porta indietro di oltre qurant'anni con un solo fruscio di pagina, e mi tiene per mano, come di rado vedo i giovani d'oggi..
RispondiEliminaIo invece consulto ancora il mio "antico" Zingarelli. E conservo come una reliquia "l'enciclopedia Curcio" di un solo volume, che ricevetti in regalo in seconda media dalla buonanima di mia nonna la quale - con suo grande rammarico - non sapeva né leggere né scrivere. Quel prezioso volume lo pagò con dieci rate mensili di mille lire l'una. Un ricordo che ancora mi emoziona...ma io sono all'antica :)
EliminaQuando entro in una libreria mi dimentico del tempo e infine mi devono garbatamente invitare a uscire perché è l'orario di chiusura. Mi hai emozionato, sarò all'antica come te?
RispondiEliminaSi, siamo all'antica - mio caro Enzo - nell'accezione più nobile del termine. Stammi bene!
EliminaMentre leggevo questo tuo post molto interessante, mi chiedevo. Ma si è all’antica o si diventa? Guardando dentro di me, trovo sempre qualcosa che non appartiene per niente al presente. Ciao. Francesco
RispondiEliminaDavvero una bella domanda! Intanto bisogna affermare un principio: essere all’antica non è assolutamente un modo retrogrado di esistere, ma denota una scelta anticonformista di vita, una vita non standardizzata che va oltre le mode e le tendenze del presente. In altre parole è uno stato d’animo, una filosofia di vita che ha bisogno – come scrive Duccio Demetrio – di quotidiano nutrimento per crescere. E il nutrimento è rappresentato dalla lentezza piuttosto che dalla velocità, dal silenzio piuttosto che dal rumore, dall’amore e dal rispetto per la natura e non dalla sua distruzione, dal voltarsi ogni tanto indietro anziché correre in maniera dissennata verso non si sa dove. Una maniera di esistere che se non è innata, dobbiamo cercare di coltivare giorno dopo giorno con i nostri comportamenti virtuosi ma anche con gli esempi vissuti e narrati da chi ci ha preceduto. Senza dimenticare che dentro di noi c’è il tempo vissuto, che è il nostro passato, il nostro “antico”, che va conservato e ci permette di vivere con maggiore avvedutezza il presente. E’ nel passato che noi troviamo gli esempi migliori da seguire, scartando quelli peggiori che però non vanno mai dimenticati. Proprio per poter migliorare il nostro presente e preparare un futuro più umano e vivibile. Ciao Francesco.
EliminaBellissimo questo tuo scritto e gli accostamenti a certi autori ,immancabili e pertinenti. Essere all'antica in questi termini credo sia il modus vivendi dell'anima,un anima saggiamente"vecchia" ,nel senso di avanzamento evolutivo,di sensibilità verso un certo tipo di bellezza che integra il rispetto verso certi valori ,valori che risiedono in una parte già nostra,riconoscendoli e sperando di tramandarli.
RispondiEliminaBuona serata
Grazie per le tue parole. Si, essere all'antica vuol dire far parlare l'anima nella sua accezione esistenziale e spirituale; un modo di essere, questo, che ci permette di acquisire una diversa sensibilità e di avere un punto di vista morale rispetto alle cose del presente che non ci piacciono.
EliminaBuona giornata a te, Anonimo (si fa per dire...) :)