martedì 7 febbraio 2023

All'antica. Una maniera di esistere

 


Mi trovavo in una grande libreria del centro storico di Roma. Un luogo, questo, in cui amo spesso confondermi e perdermi per potermi, poi, ritrovare. Vi ero entrato, l’altro giorno, anche per un bisogno di quiete e per stemperare la mia temporanea malinconia, così come a volte si entra in una chiesa per cercare conforto e pregare. Fuori, la città con le sue logiche consumistiche e la perenne confusione di macchine e turisti non sembravano offrire alcun segnale di tregua; all’interno di quel luogo dello spirito, invece, regnava un silenzio ovattato, rotto soltanto dal lieve fruscio delle pagine dei libri. Mi aggiravo curiosando tra gli scaffali zeppi di volumi e, come spesso accade quando ti trovi di fronte a migliaia di pagine scritte, non sei tu a scegliere un libro ma è il libro stesso che ti viene incontro e ti corteggia, attirandoti con la sua bella copertina o con un titolo accattivante. Ed eccolo quel libro: sulla copertina un dipinto che riproduceva una donna d’altri tempi, dal contegno raffinato, così diversa dagli attuali stereotipi femminili. Venivo attratto da quella figura armoniosa che sembrava quasi volesse parlarmi. Poi il titolo, per me davvero invitante: “All’antica. Una maniera di esistere” (Raffaello Cortina Editore). L’autore, un certo Duccio Demetrio, un nome a me sconosciuto che sapeva ugualmente di antico. Dopo aver dato un’occhiata alla quarta di copertina che iniziava con le parole di Leopardi tratte dalle Operette Morali secondo cui “un uomo fatto all’antica” è un uomo “dabbene e da potersene fidare”, l’ho aperto a caso e a pagina 46, ho letto: “Qualche volta può esservi persino capitato che abbiano detto di voi, benevolmente, che eravate un po' all’antica, un po' d’altri tempi, coniando frasi di circostanza ripetitive e banali. Ebbene, se tali espressioni, tanto più esse stesse un po' fuori moda, non vi sono dispiaciute, avendole interpretate come un gratificante elogio, se vi sono sembrate anzi una insolita lusinga, non un canzonatorio rimprovero, allora – forse – questo libro parlerà anche di voi”.


Sono bastate queste parole per ritrovarmi in quel libro: una sorta di amore a prima vista. Un libro che parlava di me e di tutti quelli che non sono schiavi del subdolo e straripante dominio tecnologico, e sono riluttanti e guardinghi nel seguire le mode e le tendenze del presente; ma che sanno apprezzare sensibilità, comportamenti, oggetti, gusti estetici e letterari, modi di essere e di agire definiti – superficialmente - “fuori moda” dal comune sentire. L’ho comprato senza indugi, attratto anche dalla sua elegante edizione con copertina rigida. Direi proprio una pubblicazione all’antica.

Essere all’antica – che è una condizione esistenziale spontanea o coltivata ostinatamente dentro di noi - non vuol dire rifiuto radicale del presente, né va inteso come un tentativo di allontanarsi dalla civiltà della tecnologia, della quale ormai nessuno può più fare a meno di avvalersi. Nulla di tutto questo! Significa, invece, riconoscersi in alcuni valori fondamentali che ci permettano di non tagliare definitivamente i rapporti con il passato, “quel passato – scrive l’autore - che ha saputo migliorare le condizioni di vita e di convivenza dello stare al mondo di ciascuno di noi”. Essere all’antica, quindi, non è lanciare attacchi contro l’era digitale, sognando il ritorno alla Olivetti lettera 32, ai segnali di fumo o ai treni a vapore, ma attenuare o correggere alcune condotte aggressive della contemporaneità che sembrano minacciare o cancellare le nostre memorie più nobili, certe tradizioni, ogni bellezza e risorsa naturale. E per sostenere questo modo di essere, di pensare, di parlare, di desiderare, di guardare, l’autore del libro si affida anche alle suggestioni e al pensiero dei filosofi, dei poeti, degli scrittori- da Seneca a Epicuro, da Lalla Romano a Franco Arminio “il più antico dei poeti italiani d’oggi", da Leopardi a Guido Gozzano… - affinché possano indirizzare diversamente alcuni nostri comportamenti abituali di vita assai poco ispirati a un’esistenza virtuosa. Insomma, “evocare l’antico – sottolinea Duccio Demetrio - non è tornare indietro, è legame del presente con il passato, anche storico, che possa arricchire il primo”. E’ svelare la nostra umanità, la nostra delicatezza, le nostre buone maniere che si oppongono all’arroganza, alla volgarità, alla maleducazione, al pensiero unico e ad ogni forma di insensibilità verso il passato, rappresentato anche dagli oggetti umili fuori moda, dalle “piccole cose di una volta” tanto care ai “crepuscolari”. “Sfortunato è chi non abbia nemmeno una saliera, una tazza, un piatto, una zuccheriera…materna o paterna – scrive Duccio Demetrio - denominata antica più che altro per consuetudine domestica, da conservare ed esibire nei giorni di festa quasi fosse un amuleto”. Una eredità da salvare, da custodire, da amare affinché ciò che consideriamo antico possa rappresentare una crescita piuttosto che una regressione, possa rivelarsi un “punto di vista morale rispetto a ciò che dell’oggi non vogliamo accettare, non ci piace, si dimostra spreco intollerabile”. E se non vogliamo separarci da certi ricordi, da certe virtù, da certe cose passate di mano in mano che ci hanno aspettato e sono diventate preziose per il loro valore affettivo, significa che in noi si nasconde “l’attitudine per il sentimento verso l’antico…l’antico non come rammarico, ma come scelta di vita, come maniera di far esistere il passato purgato dei suoi errori In quel mondo possiamo ritrovare la nostra fragilità, possiamo ritrovare noi stessi e coloro che ci hanno preceduti, non “una rapida e distratta apparizione virtuale”.

L’antico – che è un “altrove” senza tempo e racchiude un modo di esistere all’insegna di valori culturali, civili e umani ereditati da un passato che non ha più età - ci invita essenzialmente a vigilare su come viviamo il presente, un presente a volte intollerabile che non sempre accettiamo e che vorremmo ben diverso, rispetto al quale ci sentiamo spesso estranei e spaesati. L’antico è un “luogo mentale” dove si sono rifugiati i nostri ricordi infantili, le nostre storie e quelle degli altri. L’antico, scrive Duccio Demetrio, “è un sentimento: l’eco di qualcosa che abbiamo perduto, ma che in verità non abbiamo mai posseduto e mai potremo rivivere non avendolo vissuto. Eppure, saperlo dentro di noi allevia ogni mancanza temporanea. La sua figura indefinita va e viene, torna e ci rincuora. Ci dona il senso di appartenenza alla vita presente e non solo, come comunemente si crede, a quella già trascorsa”.

E’ un libro, questo, che non contiene solo parole ma anche immagini: e sono dei dipinti bellissimi della prima metà del secolo scorso che fluiscono tra le pagine, a cui l’autore volutamente non ha dedicato alcun commento. Li ha cercati “in una gamma ridotta di scuole e stili novecenteschi, come aggiunge Berenson, inseguendone soprattutto l’incanto esistenziale”. Ritraggono figure delicate e armoniose scelte per il silenzio che sembra avvolgerle, per il contegno del loro aspetto e per l’eleganza e la misura dei loro gesti antichi. “Desidererei che – scrive Duccio Demetrio – sfogliando il libro con appropriata lentezza, come mi è accaduto cercandole, se ne cogliesse quasi per telepatia…tutta la bellezza taciturna, compita, solenne”. Per finire mi piace aggiungere che un libro – un buon libro - va sempre letto con “appropriata lentezza”. E poi va riletto una seconda volta a distanza di tempo: la prima volta per capire, la seconda per riflettere. Un modo di leggere all’antica.


8 commenti:

  1. Proprio l'altro giorno sfogliavo il mio "antico" Palazzi, dizionario di una vita, dal fascino vetusto che va oltre il vintage (moda trend che ammicca e basta). Io adoro quell'antico non patinato, non fasullamente vecchio, ma che davvero profuma di uno sfogliare che mi porta indietro di oltre qurant'anni con un solo fruscio di pagina, e mi tiene per mano, come di rado vedo i giovani d'oggi..

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    1. Io invece consulto ancora il mio "antico" Zingarelli. E conservo come una reliquia "l'enciclopedia Curcio" di un solo volume, che ricevetti in regalo in seconda media dalla buonanima di mia nonna la quale - con suo grande rammarico - non sapeva né leggere né scrivere. Quel prezioso volume lo pagò con dieci rate mensili di mille lire l'una. Un ricordo che ancora mi emoziona...ma io sono all'antica :)

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  2. Quando entro in una libreria mi dimentico del tempo e infine mi devono garbatamente invitare a uscire perché è l'orario di chiusura. Mi hai emozionato, sarò all'antica come te?

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    1. Si, siamo all'antica - mio caro Enzo - nell'accezione più nobile del termine. Stammi bene!

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  3. Mentre leggevo questo tuo post molto interessante, mi chiedevo. Ma si è all’antica o si diventa? Guardando dentro di me, trovo sempre qualcosa che non appartiene per niente al presente. Ciao. Francesco

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    1. Davvero una bella domanda! Intanto bisogna affermare un principio: essere all’antica non è assolutamente un modo retrogrado di esistere, ma denota una scelta anticonformista di vita, una vita non standardizzata che va oltre le mode e le tendenze del presente. In altre parole è uno stato d’animo, una filosofia di vita che ha bisogno – come scrive Duccio Demetrio – di quotidiano nutrimento per crescere. E il nutrimento è rappresentato dalla lentezza piuttosto che dalla velocità, dal silenzio piuttosto che dal rumore, dall’amore e dal rispetto per la natura e non dalla sua distruzione, dal voltarsi ogni tanto indietro anziché correre in maniera dissennata verso non si sa dove. Una maniera di esistere che se non è innata, dobbiamo cercare di coltivare giorno dopo giorno con i nostri comportamenti virtuosi ma anche con gli esempi vissuti e narrati da chi ci ha preceduto. Senza dimenticare che dentro di noi c’è il tempo vissuto, che è il nostro passato, il nostro “antico”, che va conservato e ci permette di vivere con maggiore avvedutezza il presente. E’ nel passato che noi troviamo gli esempi migliori da seguire, scartando quelli peggiori che però non vanno mai dimenticati. Proprio per poter migliorare il nostro presente e preparare un futuro più umano e vivibile. Ciao Francesco.

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  4. Bellissimo questo tuo scritto e gli accostamenti a certi autori ,immancabili e pertinenti. Essere all'antica in questi termini credo sia il modus vivendi dell'anima,un anima saggiamente"vecchia" ,nel senso di avanzamento evolutivo,di sensibilità verso un certo tipo di bellezza che integra il rispetto verso certi valori ,valori che risiedono in una parte già nostra,riconoscendoli e sperando di tramandarli.

    Buona serata

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    1. Grazie per le tue parole. Si, essere all'antica vuol dire far parlare l'anima nella sua accezione esistenziale e spirituale; un modo di essere, questo, che ci permette di acquisire una diversa sensibilità e di avere un punto di vista morale rispetto alle cose del presente che non ci piacciono.
      Buona giornata a te, Anonimo (si fa per dire...) :)

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