“Mi sono svegliato con un
allegro pensiero: “Ma io sono preparato davvero a morire?”. E ho concluso che
no. So che devo morire – statisticamente – in questa decade, che va pressappoco
dai miei ottanta ai miei novanta. Ora ne ho ottantuno. Dunque tra breve. Ma “non
ci sto”, non posso crederci realmente e mi comporto e vivo come se non ci
credessi. Ne parlo spesso in questo diario, per esorcismo e con poca vera
convinzione. Non riesco proprio a immaginare che non ci sarò più. E’
inevitabile lo so, so che capita a tutti, faccio anche la concessione di
accettarlo con una certa umiltà come una forma infine di vera uguaglianza che
vale per l’uomo e l’animale, per me e per il mio cane, per il ricco e per il
povero di spirito, ma fingermene almeno con la fantasia la vera portata, questo
stamattina non mi riesce. E se ci provassi entrerei in una specie di racconto
di Poe, che da una parte è terrificante e dall’altra non ha senso, perché non
ha senso credere di poter sperimentare ciò di cui non è dato a nessuno fare
esperienza da vivo.
Una parabola, raccontata dal
solito saggio cinese, descrive bene quel che sento a volte quando penso al
destino ineluttabile che m’aspetta. Un uomo entra in una sala con tante porte,
quante sono le occasioni della vita all’inizio. Deve sceglierne una per uscire,
lui esita parecchio, ci sono mille opportunità, poi apre una porta che lo
conduce in una sala più piccola che di porte ne ha soltanto la metà, e poi di
metà in metà arriva a una sala con sei porte. Ne sceglie una per andarsene ma
questa dà in un’altra stanza che ha tre porte. Di nuovo ne sceglie una e
finisce in una stanza con una porta sola. E quando apre quella entra in una
stanza senza porte. Veramente la parabola del saggio cinese non finisce così,
io l’ho modificata. Quella del saggio cinese non finisce in una stanza senza
porte (come la mia) ma in un lungo corridoio in fondo al quale c’è un carnefice
con una spada sguainata, la Morte. Io sono, nella mia immaginazione, forse più
cinese del cinese, perché la mia angoscia al pensiero della morte è
claustrofobica, sono morto ma allo stesso tempo sono un vivo che pensa se
stesso come un morto. Insomma sono incapace di pensarmi in altro modo se non
vivo. Ma poiché devo morire, entro in una stanza senza uscita e lì rimango per
l’eternità come un sepolto vivo di Poe. Meglio non pensarci, meglio non pensare
la morte se la pensi nell’unico modo in cui puoi pensarla: da vivo. E poi è possibile
tenersi così in basso come fai tu? Neanche un po' di metafisica? Si, mi tengo
in basso e penso ai due momenti in cui sento che il morto viene separato dai
vivi: quando saldano la cassa di zinco e avvitano le viti del coperchio della
bara, e quando in chiesa la bara viene portata via e tutti con un sospiro di
sollievo “non ci pensano più” e se ne vanno finalmente per i fatti loro nella
luce del sole, parlando delle solite cose. E’ allora che penso alla solitudine
del morto e ne ho pietà. Allora sento che è abbandonato al suo destino, destino
di distacco, di non ritorno, di addio definitivo. E penso al povero corpo
lasciato solo al cimitero mentre cala tra le tombe l’ombra e l’umidiccio della
sera. E comincia il processo graduale verso l’oblio totale”.
tratto da
“L’estro quotidiano”
di
Raffaele La Capria
Io ci penso spesso alla morte, siamo amici. Vago con piacere tra cimiteri e lapidi, immagino quando qualcuno sbircerà magari la mia. Del cinese famoso mi sbrigo spesso ad aprire più porte possibili pensando che un giorno non farò più in tempo, e così facendo mi metto fretta da solo, sarà per questo che amo fotografarle le porte, riguardarle belle chiuse, che mi fanno l'occhiolino. Forse è il modo diverso di guardarla la morte, anche da vivo.
RispondiEliminaE anche lei magari si sente meno a disagio.
Capita anche a me di pensare alla morte: ma non siamo amici. Mi cammina a fianco, come un'ombra, ma ognuno va per la sua strada. Certo, quando ti ritrovi ad avere 99 anni, come La Capria, te la senti addosso e sai che da un momento all'altro avrà la meglio. Ma non ho paura di lei...semmai ho paura della malattia, che è più subdola. D'altra parte, come diceva qualcuno, quando ci siamo noi lei non c'è, quando c'è lei noi non ci siamo più. Perciò - caro Franco - pur camminando insieme, non ci possiamo mai incontrare. Quindi, non abbiamo nulla da temere. Lunga vita a noi! :)
EliminaAccidenti! Che diavolo di argomento per me che da almeno 2 anni penso spesso alla morte.
RispondiEliminaNon sono suo amico ma la rispetto, è un totem di giustizia assoluta perchè lei non risparmia nessuno. Credo e penso che solo la metafisica, il pensiero di un'altra dimensione, seppur non sperimentabile, possa impedirci di impazzire di spavento. Tutta la nostra vita, le nostre emozioni, i nostri ricordi...tutto ma proprio tutto svanisce così nel nulla? Che immenso spreco. Comunque nell'ultima stanza, dopo l'ultima e unica porta io immagino uno spazio immenso, in cui venire inghiottiti per uscirne come non so. Nessuno può saperlo.
Si comincia a pensare alla morte ad una certa età: da giovani è difficile che affiori questo pensiero. L'importante - caro Enzo - è pensarci con serenità e con filosofia, altrimenti si impazzisce davvero. E noi siamo sereni....E poi - come diceva quel filosofo - quando c'è Lei noi non ci siamo e quando ci siamo noi Lei non c'è. E allora perchè avere paura?
EliminaLunga vita a noi :)