“il racconto è dolore, ma anche
il silenzio è dolore”
“Il male oscuro” di Giuseppe
Berto è un libro che lascia un segno profondo e indelebile nell’animo del
lettore. E’ un racconto autobiografico - duro e spietato - di una nevrosi, fondata
sulla paura di vivere, e per uno scrittore, anche sulla paura di scrivere. Un libro che l’autore vergò di getto, quasi impetuosamente,
in una località della Calabria - Capo Vaticano - dove si era ritirato in
solitudine, impiegando poco più di due mesi di tempo per redigere le oltre
cinquecento pagine. La sua grande paura era proprio quella di fermarsi e di
non avere più la forza di continuare a scrivere; e forse fu proprio questa paura che lo
portò ad elaborare una tecnica narrativa nuova ed originale: periodi
lunghissimi, interminabili, che corrono per pagine e pagine senza alcuna
punteggiatura. “Era come se avessi scoperto – scrive Berto - il
bandolo d’un filo che mi usciva dall’ombelico: io tiravo e il filo veniva
fuori, quasi ininterrottamente, e faceva un po' male si capisce, ma anche a
lasciarlo dentro faceva male”. Raccontare per guarire. La scrittura come
autoanalisi e medicina dell’anima. Ma, una volta arrivato alla fine, Berto si
rese conto che il romanzo andava rivisto e in qualche maniera riscritto; e fu
un lavoro che gli costò molto più tempo e fatica di quanto non gli fosse
costato scriverlo la prima volta. Pubblicato nel 1964, si aggiudicò in poche settimane
due premi prestigiosi: il Viareggio e il Campiello. E' sicuramente un classico della nostra letteratura.
Da tempo volevo procurarmelo, ma
poi usciva quasi sempre dai miei pensieri e, come dire, lo perdevo di vista, fino
a quando non l’ho scovato sul solito banchetto di un mercatino dell’usato. Non
è un romanzo facile, a dir la verità, tuttavia pur trattando il tema della
malattia che forse mai nessuno, prima di Berto, aveva avuto l’ardire di raccontare
in una maniera così cruda, senza pregiudizi e impedimenti, il libro non appare sconfortante.
La lettura scorre veloce e senza affanno, nonostante i lunghi periodi, che a
volte possono suscitare una sorta di effetto apnea. E tutto questo grazie ad
una diffusa e sottile ironia che avvolge gli episodi più tragici, più
sgradevoli e tristi della vicenda. Lo stesso Berto ebbe a scrivere
nell’appendice: “non è certo un’invenzione mia: Svevo e Gadda ci sono
arrivati assai prima di me, e d’altronde un nevrotico non potrebbe scrivere se
non fosse sostenuto dall’umorismo: una fortuna in mezzo a tanti malanni”. Attraverso
la sua umana esperienza, l’autore de “il male oscuro” sembra volerci insegnare
che non dobbiamo avere paura di guardare dentro di noi, perché nascondere certe
oscure verità, certi disagi, certe paure non serve che a renderci sempre più
ammalati e infelici.
"Attraverso la sua umana esperienza, l’autore de “il male oscuro” sembra volerci insegnare che non dobbiamo avere paura di guardare dentro di noi, perché nascondere certe oscure verità, certi disagi, certe paure non serve che a renderci sempre più ammalati e infelici"
RispondiEliminaDirei che è una ottima analisi e servirebbe davvero un simile risveglio.Purtroppo concentrare tutta l'attenzione su un mondo rotto all'esterno non fa altro che contribuire all'allontanamento da se stessi,in certi casi anche una scusante per non affrontare la verità interiore.Troppo comodo infilarsi tra la massa e protestare a colpi di slogan.Troppo dura questa mia osservazione?
Buona settimana:)
L.
Sono d'accordo con te: pur di non guardare dentro di noi, concentriamo tutta la nostra attenzione "su un mondo rotto all'esterno", tutto all'insegna dell'apparire, di ciò che si vede subito, che sta in superficie. E come dice Andreoli, l'uomo è un essere di superficie ed è finito il tempo dell'introspezione e del valore nascosto dentro di noi.
EliminaCiao L.
Avevo letto solo alcune parti di questo libro, poi una decina di anni fa in estate trascorsi poco più di una settimana in un albergo a un paio di chilometri da Capo Vaticano.
RispondiEliminaSituazione paradossale, un ambiente paesaggisticamente meraviglioso, un mare aperto e luminoso, un faro che si accendeva assieme alla sera e alle stelle, un tramonto divino...cosa poteva indurre Berto a scrivere di una nevrosi devastante? Eppure la prima stesura avvenne proprio lì, nella grande villa di proprietà della famiglia con lo Stromboli a rischiarare le notti col suo fuoco d'artificio. Lungo i muri della proprietà era stata murata una targa che riportava una frase presa dal "male oscuro" e sembrava quasi un ammonimento a non lasciarsi andare del tutto alla magia del luogo.
Quest'anno la targa non c'era più; mi hanno detto che era stata tolta anni fa a causa di una ruggine tra l'amministrazione comunale del luogo e i Berto. Le solite cose, i soliti squallori italiani...il mio pensiero è volato altrove.
La riflessione che fai la condivido: un luogo meraviglioso dovrebbe allontanare qualsiasi tristezza. Ma a volte i dolori, le angosce personali sono più forti della bellezza. E allora la scrittura diventa l'unica medicina.
RispondiEliminaHai ragione: "i soliti squallori italiani". Puoi essere anche Dante Alighieri, ma se la tua ideologia è contraria a quella dell'Amministrazione Comunale, vieni immediatamente emarginato e la tua opera letteraria non conta più nulla.
Un saluto.