“non amavo
altro che le parole: avrei innalzato cattedrali di parole sotto l’occhio
azzurro della parola cielo”
Ancora una
rilettura: “Le parole” di Jean Paul Sartre, pubblicato nel 1964, l’anno
in cui lo scrittore francese rifiutò il Premio Nobel, per difendere la sua
libertà di pensiero. Non me
lo ricordavo così piacevole! Probabilmente la prima volta che lo lessi – credo negli
anni ‘80 – non avevo ancora maturato le necessarie attitudini per apprezzare la
bellezza di certi libri autobiografici. A conferma del fatto che a volte il
gradimento o meno di un libro dipende anche dal periodo in cui lo si legge.
Con questa
opera Sartre ripercorre la sua dorata infanzia trascorsa in una famiglia
borghese che vantava, tra i suoi membri, illustri intellettuali e pastori
luterani. Intriso di autoironia, “Le parole” è diviso in due parti: “leggere” e
“scrivere”. E mette al centro della narrazione quel bambino che fu Sartre, il
quale aveva un solo difetto: era troppo avanti rispetto alla sua età. Orfano
del padre morto prematuramente, fu il nonno a incarnare la figura paterna, un autoritario
e intransigente professore di tedesco che stravedeva per il nipote. Lo
considerava la sua “meraviglia”, e la sua sola presenza lo appagava
totalmente e lo rendeva felice. E lui, il piccolo Jean Paul, si divertiva a
recitare la parte del bravo bambino: non piangeva mai, non faceva rumore,
appariva serioso, rideva poco e gli “piaceva piacere”. In famiglia lo
adoravano e lo viziavano e lo coccolavano: gli dicevano che era intelligente,
che era bello, lo ritraevano in mille pose ritoccando anche le foto con matite
colorate. La madre, che non aveva conosciuto molto suo marito “né prima né
dopo il matrimonio” e che preferiva il dovere al piacere, metteva nella vita
di quel bambino “tutto quello che mancava alla sua”. E poi tutti lo controllavano
e si preoccupavano della sua salute delicata, “non lo trovi un po'
palliduccio ?…Sono sicuro che è dimagrito!”, e gli sentivano il polso gli
misuravano la febbre lo costringevano a far vedere la lingua… E lui, sotto
questi sguardi inquisitori si sentiva un oggetto, “un fiore nel vaso”.
E poi
c’erano i libri nella grande biblioteca del nonno, la sua prima grande scoperta,
con i quali voleva fare quotidianamente “un bagno di cultura”. Non
sapeva ancora leggere, però era affascinato da quei volumi stretti sui ripiani
come mattoni. Li osservava, li toccava, li sfogliava di nascosto per “onorare”
le sue mani con la loro polvere, e assisteva ogni giorno a un cerimoniale di
cui gli sfuggiva il significato: il nonno maneggiava quegli oggetti culturali “con
una destrezza da officiante”. Talvolta si avvicinava per osservare da
vicino quelle “scatole che si aprivano come ostriche” e scopriva che al
suo interno con c’era niente, solo dei “fogli pallidi e muffiti,
leggermente gonfi, coperti di venuzze nere, che assorbivano l’inchiostro e
mandavano un sentore di fungo”. Giorno dopo giorno, però, le parole che scopriva
in quei libri e quelle che andava scrivendo nei suoi quaderni divennero “la
quintessenza delle cose”. Aveva trovato la sua religione, la libreria era
il suo tempio, e nulla gli pareva più importante di un libro. Scrivendo esisteva e si sottraeva alle persone grandi. “Questo bambino sarà uno
scrittore” - dicevano in famiglia - e il nonno, che si estasiava sulle sue
virtù, posando la mano sul suo cranio, amava ripetere: “ha il bernoccolo
della letteratura”. Lo “lasciarono vagabondare fra i libri” e fra i
suoi quaderni che riempiva di parole, e lui diede “l’assalto all’umano
sapere”.
Se hai una famiglia che ti opprime, e da come la descrivi mi sembra che quella di Sartre fosse sulla buona strada, hai due possibilità: o diventi un disadattato oppure ti ribelli e diventi un genio, un trascinatore di folle. E Sartre certamente non fu un disadattato. Ciao
RispondiEliminaFrancesco
Vero! Sartre fu il pensatore di riferimento dei giovani contestatori del'68 che mettevano in discussione la società e la famiglia. Personaggio fuori dagli schemi, fu il vero paladino dei ribelli del suo tempo. Ciao
EliminaRitratto assai affascinante di Sartre bambino in progress. Grazie di questa dritta. Buon tutto.
RispondiEliminaGrazie per l'apprezzamento e buona giornata a te, Maria
EliminaSai che penso che i libri meritino una rilettura a distanza di anni?Il libro è sempre lo stesso ,magari più con "pagine ingiallite" ...a ricordarci che in qualche modo su certi temi dovremmo ritornarci ,ingiallire/invecchiare anche noi ,solo per riscoprirne la bellezza.
RispondiEliminaFacevo anche un'altra riflessione proprio su Sartre,circondato e incuriosito sin da bambino da tutti quei libri che in un certo senso lo avranno ispirato e spronato a diventare un grande scrittore.Ecco mi chiedevo se dietro un grande scrittore non vi sia sempre un grande lettore prima,e se oggi la velocità e la troppa tecnologia non abbia in gran modo assorbito un investimento di tempo penalizzante per la lettura dove il libro per la maggiore viene sostituito da un cellulare(magari ho estremizzato?).
Buon fine settimana
L.
Non hai affatto estremizzato mia cara L.: oggi, molto del nostro tempo viene assorbito da quel giocattolo che si chiama smartphone, a scapito della lettura e di tante altre cose più piacevoli. Ma così va il mondo…anche se è un problema che non mi riguarda perché – come ben sai – io quel giocattolo non ce l’ho. :)
EliminaCerti libri, che hanno lasciato in qualche maniera un segno dentro di noi, meritano di essere riletti, non vanno mai abbandonati. E’ come riascoltare più volte una canzone che ci piace, o rivedere un vecchio film che amiamo. Tutti i grandi libri vanno letti e riletti. Bisogna abitarli, sentirseli addosso, ricordare qualche aforisma, attingere sensazioni. Se ognuno di noi facesse un rapido conto dei libri più importanti che ha letto, ebbene questi non arriverebbero ad un centinaio. A volte molti di questi hanno aspettato anni prima di essere ripresi tra le mani; e magari ci siamo affidati al loro conforto – trovandolo – per alleviare le nostre amarezze in un giorno di particolare crisi esistenziale. Ciao L. e buona domenica :)