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domenica 9 gennaio 2022

Al cimitero

 


Passeggiare lentamente in un cimitero non è una cosa sconfortante, da evitare: è, invece, l’occasione per rintracciare nomi e volti di amici, conoscenti, persone care che non ci sono più e di cui si conserva la memoria, anche solo attraverso storie lontane che ci sono state raccontate. E’ un modo per ritrovare ricordi e significati profondi, per lasciarsi coinvolgere da quella dolce malinconia che, in certi momenti della vita, fa proprio bene all’anima. “Venite vivi a visitare i morti – si legge, non ricordo in quale cimitero – prima che morte a visitar vi venga”. Questa visita al cimitero io la faccio ogni qualvolta ritorno al paese d'origine, nel Cilento. Ma non il 2 di novembre: quel giorno vi si aggirano troppi vivi e io mal sopporto la folla da mercato, tanto più nel posto dove regnano i morti e la pace eterna.

Il piccolo camposanto del mio paese - che si erge su una lieve collina - gode di una posizione davvero invidiabile, oserei dire amena: da una parte guarda verso il mare e la Costiera Amalfitana e, dall’altra, verso la vallata della diga dell’Alento, circondata da una catena di monti a delimitarne l’orizzonte. Certo, è sempre un camposanto, però pensare di essere seppelliti in un luogo così dolce, forse rende più lieve il pensiero della morte. Un posto per l’eternità, con vista sulla bellezza anche questa eterna. Ci sono stato l’ultimo giorno dell’anno appena passato: non sono il tipo che si lascia influenzare dalle superstizioni. Le stupidaggini proprio non le sopporto. Sono i vivi che a volte fanno paura, non i morti. Tantomeno i cimiteri. Diceva Giovanni Papini che “i teatri di marionette e i camposanti sono gli unici luoghi dove l’uomo possa prendere acuta coscienza di sé. Nei primi vede cos’è prima della morte, nei secondi quel che sarà dopo la vita”.

Non c’era nessuno a quell’ora, nel cimitero, solo un signore del paese che io conosco, raccolto nei suoi pensieri sulla tomba del figlio, morto qualche anno fa. Scambio qualche parola con lui: mi dice che viene qui a fargli visita due volte al giorno, la mattina e la sera. Io credo che la morte di un figlio sia, per un genitore, una delle prove più dure e difficili da sopportare, il dolore più straziante e insanabile che possa colpire una persona. Raggiungo il loculo marmoreo dove è sepolto mio padre: guardo quella sua foto, in alto, che lo ritrae sorridente, e gli mando un bacio con la mano. Ho come l’impressione che mi stia aspettando e sia felice di rivedermi. Chiudo gli occhi in muta preghiera, e bastano quei pochi istanti per ripercorrere tutta la sua esistenza: la guerra, che da giovane lo aveva visto prigioniero in Germania (spesso me ne parlava), le difficoltà del vivere, il duro lavoro, i sacrifici per assicurarmi un avvenire migliore, la sua malattia. Un padre vive sempre se non lo lasciamo morire dentro di noi. Ricordo la sua infinita, contagiosa serenità: era capace di stare delle ore seduto davanti l’uscio di casa – durante gli ultimi anni della sua vita - senza mai annoiarsi. E senza mai lamentarsi. Non aveva bisogno di molto per essere contento, questo mi ha insegnato. Avrei voluto stare di più con lui, apprezzarne quell’umanità che ho perduto per sempre. E goderne. Saluto, poi, i miei nonni che “abitano” lì vicino. Quanta tenerezza, quanta nostalgia ancora mi suscitano! Su quei volti in bianco e nero, che sanno di antico, si compie ogni volta il riassunto più rapido della mia adolescenza. Spensieratezza, gioie, sensazioni indelebili di quando ero ragazzo e stavo con loro. “Tutto viene dalla terra” – diceva mio nonno Nicola, contadino – e terra diventeremo”…e come è vivo in me il ricordo di nonna Giovannina: da piccolo mi proteggeva con raccomandazioni e preghiere e ogni giorno aspettava trepidante il mio ritorno dalla scuola, per il pranzo!.. e poi quelle lunghe partite a briscola con nonno Peppo: cercavo sempre di imbrogliarlo per suscitare la sua indignata reazione, che tanto mi divertiva! Questi pensieri, per un attimo, mi commuovono. Passo poi a salutare mio suocero; era di una bontà rara! Faceva il fabbro, un mestiere che, nel paese, è morto con lui. Quanti manufatti in ferro battuto ha realizzato per noi! Giro l’angolo per lasciare un saluto, una preghiera e un fiore a Nicola, mio cognato, che riposa in pace nella cappella della sua famiglia: un drammatico e crudele destino l’ha strappato alla vita e ai suoi cari (moglie e due figlie), quando aveva solo 33 anni, gli anni di Cristo. Sembra quasi che Nostro Signore morto in croce chiami a sé prima i più buoni.

Mi aggiro tra le lapidi, fila dopo fila, tutte guarnite di foto, ed ho come l’impressione che gli occhi di quei defunti prendano vita e mi seguano benevolmente ovunque io vada. Osservo i mazzi di fiori allineati, alcuni freschi altri appassiti, i lumini accesi, le piccole immagini sacre, le tante epigrafi a ricordare chi non c’è più. Forse sono proprio le epigrafi il lato stonato di questo luogo: sembrano tutte uguali, vergate dalla stessa mano, le solite scritte generiche, banali e dolciastre. “A leggerle – diceva Andreotti – uno si chiede: scusate ma se sono tutti buoni, dov’è il cimitero dei cattivi?”. La frase celebrativa incisa sulla lapide dovrebbe forse regalare, come una Spoon River, l’ultimo sorriso o far riflettere sulla fragilità della condizione umana. “Ero ciò che non sono”, si legge sulla tomba di Pessoa; “Allegria” su quella di Mike Bongiorno; “Amici non piangete, è soltanto sonno arretrato” ci ammonisce Walter Chiari.

Quanti morti ci sono in un cimitero! Mentre guardo di qua e di là, rivolgo loro un cenno di saluto con la mano o con la testa. Conosco più le persone che sono qui sepolte che non quelle che vivono nel paese. Contadini, muratori, artigiani…molti di loro li avevo conosciuti anziani, o li vedevo semplicemente girare nel paese, quando io ero ancora ragazzo. E ora li ritrovo qui. E qui, ogni volta, scorgo qualcuno che prima non c’era. E questo mi rattrista e mi ricorda che il tempo passa inesorabilmente. Mi soffermo in raccoglimento davanti alla tomba di Gaetano, di Tony…due amici: se ne sono andati per sempre anzitempo. La morte non sfoglia solo il libro dei vecchi, mi viene da pensare. Ogni volto mi riporta alla mente ricordi e immagini del passato, frammenti di vita vissuta nel paese in cui sono nato.

Esco dal cimitero avvinto da un sentimento d’intensa e profonda compassione per tutte quelle persone assenti. Ma non sono triste! Come dice Franco Arminio “il luogo diventa più dolce se ognuno porta la sua ferita, il suo segreto”. In una delle tante “Cartoline dai morti” (un suo libriccino) sempre Franco Arminio - immaginando un morto che dà dei consigli ai vivi – così scrive“Ora che sono morto io vi dico: fate attenzione quando salutate un vecchio, quando salutate un bambino, sentitevi contenti di avvitare una lampadina, di allacciarvi le scarpe, ma più di tutto godetevi la bellezza di tornare a casa, non importa se da un lungo viaggio o da un funerale”.


8 commenti:

  1. apprezzo molto il tuo vagare per cimiteri con la medesima emozione compassionevole che provo anch'io, specie di fronte a morti sconosciuti di cui immagino la vita dalle poche parole delle lapidi.
    e mi commuove che tu alla fine citi Arminio, perchè avevo intenzione di segnalarti nel commento le sue "cartoline dei morti". Mi hai preceduto e mi fa piacere :)
    massimolegnani

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    1. Se le iscrizioni sulle lapidi sapessero raccontare la vita, in forma concisa ed essenziale come ha fatto Arminio in quelle sue ironiche, incantate e disorientanti “lettere dai morti”, io andrei tutti i giorni al cimitero 😊 Me ne ricordo una che diceva: “Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente”. Un caro saluto

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  2. Mi sono sempre trovato a mio agio per cimiteri, e forse il mio legame nasce da quando mio papà mi permetteva di fare la prima autoscuola tra gli immensi viali di Prima Porta, il secondo cimitero romano. In seguito, prima quando andavo a trovare i miei suoceri, poi mia mamma, a Trigoria, terzo cimitero romano; mi ha sempre incuriosito vagare tra lapidi e vialetti, ed infuso un senso di quiete e serenità, chissà.. mia moglie è una da toccata e fuga, io ci vado la sera addirittura, col buio, a controllare se le lucine ad energia solare funzionano..e resto incantato da quell'atmosfera newyorkese di città illuminata.. ti consiglio Cambiare l'acqua ai fiori, a questo punto, libro di Valerie Perrin che descrive la vita di una custode di cimitero, mettendone in evidenza molte caratteristiche interessanti..

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    1. Il cimitero è un luogo che non deve suscitare né paura né angoscia. Anch'io ci vado sempre con serenità. Anche se si porta dietro la nostra paura della morte. Evidentemente non era così per tuo padre, se ti permetteva di fare l’autoscuola tra i viali di Prima Porta. Il libro da te consigliato, di cui ne avevo sentito parlare, me lo sono segnato: lo comprerò. Ciao Franco e buona domenica

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  3. Io passo ogni mattina davanti al cimitero dov'è mio padre e mi sembra di ricevere il suo saluto.

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  4. Mi sono letta con una certa commozione questo tuo scritto ,una frase particolarmente e vorrei dirti un Grazie per aver condiviso momenti così intimi nello spirito con tutti noi .

    Credo tu sappia quanto io tenga a seguire il tuo blog e ricordo perfettamente quel post dedicato alle "cartoline dai morti di Franco Arminio"...e ci sono tornata su quel post sai e sorrido mentre lo stesso lettore che ti aveva commentato li oggi voleva segnalartene la stessa lettura...Per carità solo una insignificante osservazione o forse una testimonianza di mia esagerata(?) attenzione sulla bellezza:)


    Una cosa che mal sopporto è la visita affrettata nel cimitero ,sono solita fare una visita ai defunti con lentezza anche nelle ricorrenze ,sento proprio una forma di bisogno che riconcilia la memoria all'assenza,come se si ristabilisse un contatto mai perduto.La cosa che mi mette tristezza è tutti quei fiori veri e finti che li trascina il vento e non so come sistemarli e a chi appartengono...evidentemente ai nostri cari non sono utili o magari lo sono a chi ha investito in una sistemazione post mortem in cappella.


    Buona serata


    L.

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    1. Grazie a te L., per le tue gentili parole. Anche le mie visite al cimitero seguono un ritmo lento. Lo percorro tutto, ogni volta: è un luogo piccolo e poi le persone che non ci sono più, da salutare, sono tante. E ogni volta si rinnova in me la commozione per il ricordo. Si, i fiori sono la nota dolente e, per questo, evito di andarci il 2 novembre: troppa gente e troppi fiori che vengono lì abbandonati e poi marciscono. Una lapide senza un fiore è brutta, ma è altrettanto brutta a vedersi se i fiori sono secchi. Danno l'idea dell'abbandono.
      Buona serata a te.

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