Un
libro deve avere la capacità di aprire la mente e lasciare una traccia del suo
passaggio. In questa orgia di pubblicazioni noi oggi sembriamo rincorrere solo
le novità, le mode letterarie, l’immediata fruibilità di un prodotto, come se
il libro fosse equiparabile all’ultimo modello di telefonino e non fosse,
invece, un luogo di metafore, di incontri, uno strumento di autoanalisi. Mi
piacerebbe che ogni tanto la televisione, anziché pubblicizzare l’ennesimo
libro di Carofiglio, di Vespa e di Vattelapesca, riproponesse qualcuno dei
tanti ottimi scrittori italiani del Novecento che – pur non avendo mai frequentato
i salotti televisivi – hanno fatto la storia della nostra letteratura scrivendo
opere che non muoiono mai. Sono autori del tutto dimenticati e che oggi nessuno
più legge. Eppure hanno scritto libri importanti e hanno vinto premi significativi.
Tra questi, c’è sicuramente Michele Prisco, scrittore partenopeo (era nato a
Torre Annunziata) di grande spessore culturale, morto circa venti anni fa. Egli sa rendere bella anche “la vita del condominio” -
come chiamava le storie del presente e dell’ordinario Sebastiano Vassalli – sa
dare dignità letteraria anche alla banalità del vivere quotidiano: e non è da
tutti. E questo, grazie ad uno stile corposo ed elegante che non può non
incantare chi ama la bella scrittura. Prisco – da acuto osservatore del suo
tempo – concentra la sua attenzione quasi sempre su pochi personaggi, per lo
più appartenenti alla ricca borghesia partenopea, a quella “provincia
addormentata” (che è anche il titolo di un suo libro di racconti), adagiata sulle
falde del Vesuvio. E intorno a questi soggetti, sempre tormentati da dilemmi
etici e morali, costruisce la trama psicologica dei suoi romanzi che toccano
debolezze e fragilità dell’animo umano, vizi e virtù. Ne escono degli affreschi
esistenziali sempre attuali. Sempre piacevoli da leggere e su cui riflettere.
Mi piacerebbe che una mattina, passando davanti ad una libreria qui a Roma,
scorgessi in vetrina accanto all’ultimo libro di Carofiglio e della
Lambertucci, anche la nuova edizione di un vecchio romanzo di Michele Prisco:
non dovrei più cercarlo sulle bancarelle dei mercatini dell’usato.
“Lo
specchio cieco” è uno di questi
suoi romanzi, uscito nel 1984. Il protagonista, e voce narrante, è un noto
scrittore, che vive con la moglie a Roma (forse lo stesso Prisco, il suo alter
ego) il quale, arrivato alla soglia dei cinquant’anni - dopo aver pubblicato
diversi libri di successo - si ritrova come svuotato e impoverito dentro, tanto
da non riuscire a scrivere più niente. A questo indebolimento della sua
fantasia narrativa, si unisce pure un sentimento di sfiducia o disillusione
sulla reale necessità del suo lavoro intellettuale, tant’è che spesso si
domanda se non sia arrivato il momento di deporre definitivamente la penna. Complice
anche quel “processo d’involgarimento sempre più pervasivo” innescato
dai mezzi di informazione di massa, in primis la televisione, attraverso
l’intrusione dentro le nostre case della realtà esterna, così “violentemente
prevaricante e preponderante”. Ma, come per incanto, l’incontro casuale con
una donna conosciuta molti anni addietro e che aveva perso di vista (era stata
la seconda moglie del padre di un suo caro amico d’infanzia), ha la capacità di
interrompere quel suo stato di inerzia. Un incontro, questo, che lo riporta con
la mente indietro nel tempo, agli anni della sua tranquilla vita a San Severino,
un piccolo paese in provincia di Salerno, che aveva custodito i suoi sogni
adolescenziali di diventare scrittore. L’immagine di questa donna, così diversa
da come l’aveva conosciuta, e poi i luoghi della giovinezza, i ricordi e gli
amici di quel tempo sembrano favorire il recupero del suo equilibrio interiore,
da cui dipende il suo futuro di narratore. E per ritrovare fiducia nella
scrittura, decide di raccontarne la storia, di romanzarla o addirittura camuffarla
con la fantasia, facendo riaffiorare dal passato episodi e figure e volti e
paesaggi della sua vita di provincia, là dove solo poteva rintracciare la
sorgente vera delle sue radici. “In quel mondo unico e irriducibile –
dice il protagonista – che poi avrebbe trasformato il tempo in memoria e che
non era propriamente il tempo della mia adolescenza ma era come l’adolescenza
del tempo, di quella insostituibile età, voglio dire, che rappresenta per tutti
noi, in accezione individuale o collettiva, il solo possibile punto di
riferimento per un disegno del nostro destino”.
Non ho mai letto nulla di Prisco, ho visto Una spirale di nebbia però, tratto da un suo romanzo, che mi lasciò assai freddino. Il tuo appassionato parlarne, però, credo meriti un ritorno all' "adolescenza del tempo".
RispondiEliminaSai meglio di me – caro Franco - che un film tratto da un romanzo può, a volte, riservare delle delusioni, soprattutto a chi – avendo letto prima il libro – conserva un ricordo diverso della vicenda narrata. Nel libro contano le parole, e come queste descrivono le immagini, nel film le immagini e basta. Si, bisognerebbe ritornare all’ ”adolescenza del tempo”, alle belle letture di una volta, ed era un tempo, quello, in cui scrivevano e pubblicavano solo quegli autori che ne avevano le capacità. E senza andare in televisione a presentare le proprie opere. Oggi le immagini hanno la capacità di spodestare le parole e basta che uno scribacchino qualsiasi si presenti da Fazio o dalla Gruber, per diventare un grande scrittore. Ho parlato di Prisco, ma avrei potuto aggiungere Arpino, Chiara, Ortese, Bianciardi, Volponi, Petroni, Patti, Brancati…tutti scrittori che meriterebbero una diversa attenzione, anche da parte degli editori. Invece nelle vetrine delle librerie troviamo solo volti noti della televisione e dello spettacolo. Stammi bene!
EliminaBrancati lo amo in maniera viscerale!
EliminaE già...Brancati! Narrano le cronache che lo si poteva incontrare seduto in qualche bar in Via Veneto, insieme a Cardarelli...Flaiano...Moravia. Oggi, in quella che fu la strada della dolce vita, chi incontri? Altri tempi...e altra letteratura!! :)
EliminaVattelapesca non lo conosco proprio mi son detta:))...e cosi con una certa leggerezza ho dato il via ad una ricerca su un eventuale scrittore dal nome Vattelapesca.
RispondiEliminaEcco cosa scopro:"Vattelapesca fu anche lo pseudonimo di Pierre Lucciana, (Bastia,1832 – Bastia, 1909), uno scrittore francese còrso che insegnò l'italiano in un liceo di Bastia.
Lucciana scrisse oltre 40 commedie in dialetto bastiese e numerose poesie (raccolte nel volume Versi italiani e corsi, 1887). Nel 1904 fondò la prima società letteraria della Corsica, l'Accademia Cirnea
Non per spostarmi dalla traccia del tuo post ,ma il periodo storico e letterario del 900 viene fuori da se ,quando si ha voglia e interesse di farlo emergere e notavo che Vattelapesca proprio non ce la fa a stare affianco a Vespa nemmeno in una citazione :))
Caro Pino oggi con questo altro post ho trovato l'ennesimo arricchimento,grazie.
Il tuo spazio è un ossigenazione per la mente e per lo spirito, fuggendo dal suo stesso corpo che viene continuamente preso d'assalto da tante forme di varianti di un virus ormai fuori controllo.
Buona giornata
L.
Ma guarda un pò! E pensare che io questo Vattelapesca neanche lo conoscevo. L'avessi saputo non lo avrei certamente accostato a Vespa. Mi perdonerà! :)
EliminaIo sono un inguaribile appassionato della letteratura del passato e, in particolare, del nostro Novecento: chi mi segue l'avrà notato dai tanti libri che sono l'oggetto dei miei post. Però riconosco che questa mia idiosincrasia verso gli autori contemporanei mi allontana anche da certi bravi scrittori del presente - che pure ci sono - confinandomi in una sorta di limbo dorato che certamente non si addice alla Letteratura. Non riesco ad essere un lettore onnivoro, sono molto selettivo: d'altra parte abbiamo una sola vita e ognuno si sceglie le letture che meglio lo rappresentano. E grazie per le tue parole di apprezzamento.
opera meritoria e stimolante la tua.
RispondiEliminasenza prendere in considerazione i Volo e i Vespa, ma solo autori contemporanei di vaglio (che pure ci sono) trovo che anche loro finiscono nel tritacarne dell'oblio. Sono tempi troppo veloci e superficiali che osannano e subito dimenticano con una fretta sbalorditiva.
ml
E' vero quello che dici, andiamo troppo di fretta. Rincorriamo sempre qualcosa di nuovo e tutto diventa in maniera frustrante "usa e getta". E allora, ancor di più, è necessario saper cogliere le cose che veramente contano, che durano nel tempo, che non si lasciano sopraffare dalle novità e dalle mode. A costo di andare sempre controcorrente :)
EliminaUn saluto