L’estremo paradosso dei vecchi è
che desiderano morire ma vogliono vivere
Finalmente un libro sulla vecchiaia che non cede alla retorica e che evita di darne un’immagine edulcorata e seducente, come sempre più spesso viene raccontata non solo da certi testi, ma soprattutto dai mezzi di informazione e dalla pubblicità. Questo godibile libriccino di poco più di cento pagine, una via di mezzo tra il saggio e l’autobiografia, l’ha scritto Massimo Fini (aveva appena compiuto sessant’anni, oggi ne ha 78), ed era stato da poco “agguantato” dalla vecchiaia. Si intitola “Ragazzo - Storia di una vecchiaia” (Marsilio Editore). Un libro che parla della vecchiaia ma che in realtà, come scrive lo stesso Fini nella sua breve introduzione, è “un inno a quella irripetibile età in cui ci chiamavano ragazzi”. Con arguzia e con lucida spietatezza, sempre sorretto dai suoi ricordi, riesce a dare una sorta di valenza universale alle sue esperienze personali, tant’è che spesso mi sono immedesimato e ritrovato nel suo racconto.
Sappiamo quanto sia sferzante,
sarcastica, provocatoria, ironica, ma anche piacevole la scrittura di questo
libero pensatore del nostro tempo, che non si è mai adeguato al “politicamente
corretto”, e anche in questa
occasione non smentisce la sua fama di fustigatore. Il risultato è una crudele
analisi senza falsi infingimenti, senza ipocrisie e senza inganni su quella che,
in modo eufemistico e consolatorio, ci ostiniamo a chiamare “terza età”. Un
libro consigliato soprattutto a chi sta per essere “agguantato” dalla vecchiaia
che Terenzio definiva “morbus”; e Seneca, correggendolo, si premurò di
aggiungere: “enim insanabilis morbus est”, in verità è una malattia
insanabile. “La vecchiaia è una carogna”, diceva sempre la buonanima di mio
nonno, locuzione che ripete spesso mia madre che di anni ne ha 93.
Scrive Fini che “abbiamo, al di
là delle retoriche di rito, un autentico orrore della vecchiaia. E continuiamo
a spostarne in avanti l’inizio. A rigore non dovrebbero più esserci vecchi,
tanto abbiamo portato in là questo inizio.” E’ vero che la vita si è allungata,
ma la vecchiaia comincia a sessant’anni – secondo l’autore - quindi
abbiamo aumentato il tempo di vivere in questa “età atroce”. L’unico modo per
fregare la vecchiaia – si legge nel libro - è anticiparla. Ma mentre “il
suicidio del giovane ha una sua nobiltà, una grandezza estetica ma anche etica.
Perché mette sul piatto tutto quello che ha – la vita – a favore della morte. Quello
del vecchio è semplicemente patetico. Non possiede alcun valore, perché da
giocarsi non ha che gli spiccioli”. Oggi i ragazzi guardano i vecchi – sostiene
l’autore del libro - con la stessa incredulità venata di affetto e di pena con
cui lui, alla loro età, guardava quelli della sua. Perché i ragazzi non pensano
mai che anche un vecchio è stato giovane.
Ognuno di noi ha, in partenza,
un organo più debole degli altri, che è il primo a cedere. Prima divoravi cibi
in quantità industriale e stavi bene: ora anche un brodino diventa indigesto.
Se stai accovacciato un po' più a lungo, fai fatica a rialzarti. Fai lavoretti
di ordinaria amministrazione, che avevi sempre fatto, e dopo un po' ti accorgi
che sei stanco morto. Tutto si complica. Tutto cala. Tutto diventa più
difficile. Tutto diminuisce. “Curiosamente una sola cosa cresce: degli orribili
peli nel naso e nelle orecchie. E’ cominciata l’atra senectus”.
La mente, si sa, invecchia molto più tardi del corpo e, prima di indolenzirsi
definitivamente, può scrutare con ribrezzo i mutamenti fisici che stanno
avvenendo. E allora, dice Fini, “sia benedetta l’arteriosclerosi, siano
innalzati peana all’Alzheimer, che impediscono al vecchio di rendersi conto
delle sue condizioni”. Tutti noi, oggi, cerchiamo di dimostrare un’età diversa
da quella che abbiamo. Ma possiamo ingannare noi stessi, non il tempo. “La
vecchiaia è diventata, insieme alla morte, il tabù dei tabù
dell’uomo contemporaneo. Abbiamo così creato un’intera e inedita classe di
spostati e di infelici che prima non esisteva e che nella società sviluppate
continua a ingrossare le proprie fila a causa del rapido invecchiamento della
popolazione dovuto al combinato disposto dell’allungamento della vita e della
bassa natalità. Siamo una società di vecchi che coltiva un paradossale e
grottesco culto del giovanilismo andando così ad accrescere il senso di
frustrazione, di inadeguatezza e di umiliazione degli anziani. (…) Le
rapidissime trasformazioni tecnologiche fanno del vecchio, e sempre più spesso
anche di chi biologicamente non lo è ancora, un analfabeta, uno spaesato, la
sua esperienza non serve più a nulla, non conta più nulla”. E se un vecchio
nella società agricola era un saggio, nell’attuale società industriale e
supertecnologizzata è “un relitto”.
Il titolo mi ha scosso. Tra un po' arrivo ai 62 e il tema vecchiaia comunque campeggia in più pensieri. Il mio papà è davvero vecchietto, la mamma se ne è andata l'anno scorso, gli acciacchi iniziano a essere una costante. Le visite mediche si moltiplicano e le analisi si spulciano come una volta le carte da poker.
RispondiEliminaPerò si, si rinnova crescendo una sfida tacita al tempo, non è propriamente un volersi ingannare ma un tirarla per le lunghe, un tergiversare con nonchalance, un non perdere le distanze, mantenere l'orizzonte pieno, sentirsi radice e nuovo germoglio in una visione d'assieme troppo complicata, che produce giustamente inadeguatezza, persa nel culto della cresta dell'onda, anziché accontentarsi della carezza di una risacca.
Il titolo mi ha scosso. Ma forse è un buon segno. L'alzata di spalle, modalità "non mi riguarda" sarebbe stata più preoccupante.. ;)
Sorrido…io di anni ne ho 69 e se la vecchiaia inizia a 60 – come sostiene Fini – io ci sto dentro da un bel pezzo. Tu, invece, sei un “giovane vecchio”, diciamo così.
EliminaTempo fa ho incontrato un mio coetaneo che non vedevo da molti anni, il quale, dopo avermi osservato per qualche istante, mi ha detto: ti trovo bene! Quella mattina – caro Franco - ho capito, per la prima volta, che anch’io avevo imboccato quella fase calante dell’esistenza che lo specchio di casa non mi aveva ancora svelato: ero diventato vecchio a mia insaputa. Si, perché mai prima di allora avevo ricevuto un siffatto “apprezzamento”. Lo diresti, tu, ad uno di 30 anni: ti trovo bene? Naturalmente l’ho ringraziato per la sua bontà d’animo e, per non essere da meno, gli ho risposto – mentendogli – che anche lui aveva una bella cera. Ma nessuno specchio è più affidabile della faccia di un tuo coetaneo che non vedi da molto tempo. E quella faccia invecchiata di quel mio amico che avevo davanti, era anche la mia faccia. Certo, senza voler drammatizzare, la vecchiaia non è proprio una sciagura: elargisce anche qualche vantaggio, ma le sofferenze sono tante. C'est la vie!
Un abbraccio :)
Mah, sono perplesso. Vado per i 69 e non credo che si possa parlare genericamente di vecchiaia se non dal punto di vista sociale, di come ce la presenta e la vive la società. Altra storia è la vecchiaia di ciascuno di noi, quella nostra, personale. Ci possono essere malattie molti gravi ma se tutto si limita nel prendersi cura di acciacchi, mi sembra si rientri nella norma e si possa accettare mettere in conto e andare piacevolmente avanti. Certo bisogna anche avere un buon rapporto con la morte e accettare il gioco della vita fino in fondo...
RispondiEliminaAbbiamo paura della vecchiaia e facciamo di tutto per camuffarla proprio perchè non abbiamo "un buon rapporto con la morte". I nostri genitori, e prima ancora i nostri nonni, accettavano l'idea di essere vecchi ad una certa età: anzi ne erano fieri e si proclamavano tali. Prova a dire, oggi, ad una persona di 80 anni che è vecchia! Nella migliore delle ipotesi si offende e non ti rivolge più la parola. Oggi dobbiamo essere sempre giovani...dobbiamo avere progetti per il futuro anche a 90 anni...sembra che la vecchiaia non esista più. Mentiamo, sapendo di mentire. Certo, ognuno di noi vive a modo suo questa età piena di acciacchi e di difficoltà. Ma continuare ad inseguire il culto del giovanilismo, tipico dei nostri tempi, è una cosa davvero grottesca e imbarazzante.
Eliminapremesso che la miglior definizione della vecchiaia l'ha data tuo nonno, questo libretto mi sembra, in questo momento della mia vita, di un realismo dissacrante che mi mette a disagio. E' proprio vero.."Ognuno di noi ha, in partenza, un organo più debole degli altri, che è il primo a cedere." E, aggiungo io, cede all'improvviso, a tradimento, lasciandoti completamente disorientato (recentissima esperienza personale).
RispondiEliminamassimolegnani
L'importante è non scoraggiarsi e raccogliere quei piccoli piaceri della vita che la vecchiaia - nonostante tutto - riesce ancora ad elargire. Non voglio essere catastrofico! :)
EliminaStammi bene, Carlo