Ad attirare la mia attenzione – mentre,
afflitto dall’afa di questi giorni, girovagavo tra i banchetti dei libri usati ubicati
nei pressi della stazione Termini di Roma – è stata una inconsueta copertina dal
colore rosso marocchino, o meglio cardinalizio, bordata in oro. Una copertina
d’altri tempi, davvero impensabile per l’odierno mercato editoriale, che
predilige tutt’altri format per accalappiare lettori, in primis l’effigie del
volto noto dell’autore. E come un’ape che si posa su un fiore colorato per
succhiarne il nettare, così il mio sguardo si è posato su quella sorpassata edizione
della Bompiani del 1980: “L’età breve” di Corrado Alvaro pubblicato per la
prima volta nel 1946.
Lo ammetto: sono attratto da
vecchie pubblicazioni fuori moda; l’occhio mi cade spesso su certi scrittori
dimenticati o poco conosciuti che, però, hanno il dono della scrittura. E mentre
incuriosito rigiravo questo libro tra le mani, e lo sfogliavo alla ricerca di
una parola…di un’aforisma…di una bella frase che mi invogliasse all’acquisto e
ne giustificasse la lettura, pensavo “malinconicamente” che - da un po' di
tempo a questa parte - mi capita di leggere quasi esclusivamente autori già
morti. Come se, poi, la patina del tempo potesse rendere migliore un’opera
letteraria. Come se l’autore, da morto, potesse acquisire un’aura di nobiltà o
conquistare quella grandezza non riconosciutagli o addirittura negatagli in
vita. Non so perché, ma tranne alcune lodevoli eccezioni - e fatti salvi certi
libri di saggistica - non riesco a farmi piacere gli autori contemporanei che
addobbano le vetrine delle librerie. Insomma, gli scrittori ancora vivi. Per
carità, lunga vita a loro! Li leggerò quando io vivrò un’altra vita e quando i
loro libri saranno affrancati dal presente. Oggi al posto di Flaiano, di
Pavese, di Moravia, di Alvaro, impazzano gli scrittori da romanzi thriller che
sanno raccontare solo storie di delitti, di detective, di serial killer. Come
se la letteratura poliziesca fosse più vicina alla sensibilità e allo stato
d’animo del lettore, ansioso di scoprire l’assassino, e la vita non potesse
fare a meno di tingersi di giallo.
E allora ben vengano scrittori
come Corrado Alvaro, morto oltre sessant’anni fa ma ancora vivo per chi sa apprezzare
l’altra letteratura, quella fatta di metafore, di figure simboliche, di mondi arcaici
che non smettono mai di rivelare l’essenza più profonda del vivere, di storie
che sanno raccontare il presente pur parlando del passato. L’età breve è un romanzo
di formazione e coglie il difficile passaggio dall’adolescenza alla maturità di
un ragazzo calabrese che da grande voleva fare il poeta. E quando lo disse per
la prima volta ai suoi genitori, “sua madre si mise a piangere, forse di
gioia, e suo padre lo prese sul serio. Erano miseri possidenti d’un ettaro di
terra, e perciò non lo sgridarono, non lo derisero; lo consideravano visitato
da un male divino (…) Essere poeta voleva dire partecipare, come soltanto
possono partecipare i poveri, alla grandezza terrena”. E' davvero impensabile che un bambino,
oggi, possa mai esprimere un simile desiderio. Oggi sogna di diventare
calciatore, cuoco, poliziotto, attore, cantante. Ma anche questi sono segni
dei tempi che viviamo.
"Lo consideravano visitato da un male divino". È proprio così. Ciao Pino.
RispondiEliminaTu ne sai qualcosa, visto che leggi e scrivi poesie :)
EliminaCiao Ettore
in effetti, a volte almeno, la morte dell'autore certifica la sopravvivenze della sua scrittura.
RispondiEliminaml
Proprio così...ciao Carlo
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