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lunedì 22 marzo 2021

Io e Zeno nella Trieste di Svevo

 


Tra gli scrittori italiani che, più di tutti, hanno lasciato dentro di me un segno profondo c’è sicuramente Italo Svevo, uno dei maggiori narratori che il nostro paese abbia avuto. I suoi tre romanzi più noti, “Una vita”, “Senilità” e “La coscienza di Zeno” - una sorta di trilogia narrativa con cui l’autore triestino ha scrutato l’animo umano attraverso un approccio introspettivo - mi accompagnano da sempre ed in particolare da quando, giovanissimo – era il 1976 – arrivai per motivi di lavoro nella sua Trieste che fa da sfondo alla sua narrazione. Mitteleuropea e plurietnica, crocevia di commerci e di culture, famosa ai più per la bora, le grandi assicurazioni e i caffè storici, ricordo che, prima ancora di innamorarmi di questa città, così diversa dalle altre e così lontana - per usi, cultura e costumi - dal mondo agreste e contadino che avevo lasciato al Sud, mi lasciai sedurre dai libri del suo illustre cittadino. Libri che ancora oggi, a distanza di tempo, continuo a rileggere perché, tra quelle pagine, io ritrovo i miei stati d’animo, le mie malinconie. Le mie inadeguatezze.

I suoi tre romanzi più importanti, dicevo, con i suoi tre principali protagonisti incardinati in storie apparentemente diverse, in verità sembrano raccontare sempre lo stesso personaggio, vero stereotipo sveviano: l’inetto, l’incapace che si sente inadatto a vivere e relazionarsi con gli altri e, pertanto, si lascia vivere in maniera abulica e oziosa. E’ stato detto che Italo Svevo ha scritto tre volte il medesimo libro e basta leggerne uno per scoprire anche gli altri. E’ come se avesse percorso tre tappe narrative diverse scrutando sempre lo stesso uomo: irresoluto, rinunciatario, malato immaginario, insicuro, tormentato, instabile. Ognuno incarna qualcosa che appartiene agli altri; le loro vite sembrano intersecarsi ed amalgamarsi a vicenda, fondersi in un unico soggetto. Sembra quasi che l’Alfonso Nitti di “Una vita” si trasformi, con il passare del tempo nell’Emilio Brentani di “Senilità” per diventare, a sua volta, Zeno Cosini nel terzo e ultimo romanzo “La coscienza di Zeno”, libro, quest’ultimo, che rappresenta il coronamento di un percorso interiore, umano e psicologico, uno scavo introspettivo che ci conduce senza ombra di dubbio al suo alter ego: Ettore Schmitz in arte Italo Svevo.

Eugenio Montale, nella sua bella prefazione a “La coscienza di Zeno” – libro che ho riletto con rinnovato piacere in questi giorni, nella storica edizione Dall’Oglio del 1976 - ha scritto che “non esiste uno scrittore più italiano di questo triestino che si è formato in Germania ed ha trascurato i nostri classici. E non esiste moderno narratore nostro che più di lui abbia allargato la conoscenza dell’anima umana. Tanto importante è stato il suo scandaglio che i suoi immediati successori ne hanno subìto il contagio, e non solo tra i triestini…”

Zeno non sembra estraniarsi dalla vita, come fanno gli altri personaggi sveviani, ma vi si immerge con tutte le sue manchevolezze. Ma chi è questa figura letteraria attraverso la quale possiamo, noi lettori, fare autoanalisi senza accomodarci sul lettino di uno psicanalista? Egli appartiene a una buona e ricca famiglia della borghesia triestina, è un uomo abbastanza intelligente, vive in una bella villa con servitù, ha un segretario tuttofare che gestisce i suoi affari e non avverte nessun desiderio di lavorare. E’ ipocondriaco. “La malattia – dice – è una convinzione” e lui nacque “con quella convinzione”. E, giunto alle soglie dei cinquant’anni, su consiglio del suo medico psicanalista, inizia la stesura di un diario retrospettivo, una sorta di confessione a scopo terapeutico, cercando nel contempo di smettere di fumare, un vizio che lo assilla da sempre. All’inizio di questa sua avventura ha un solo e urgente desiderio: sposarsi. Non per un bisogno di amore, o di affetto o di compagnia, ma per “stanchezza”. Forse stanchezza della vita monotona che conduce. E per questa ragione inizia a frequentare assiduamente una famiglia della sua cerchia sociale dove sono disponibili tre ragazze da marito. Rifiutato dalla più giovane (Alberta), che lui vorrebbe educare al matrimonio, si invaghisce della più bella (Ada), la quale non sembra avere nessun interesse per lui. E una sera, durante una seduta spiritica intorno ad un tavolo, pur di conquistarla, azzarda un “piedino”, ma il buio lo inganna e anziché sfiorare il piede desiderato, preme ripetutamente il piede di legno del tavolo e forse anche quello della sorella (Augusta), strabica e brutta. Respinto anche dalla bella Ada, il nostro personaggio, in poco tempo, si ritrova sposato, senza grande entusiasmo proprio con Augusta, con “quell’occhio sbilenco che a torto faceva credere che anche il resto non fosse al suo vero posto”. Lei lo ama, sa conquistare con garbo il suo rispetto e la sua stima e si rivelerà un’ottima moglie. Lui, invece - combattuto tra la fedeltà e la correttezza della moglie e la sua relazione extraconiugale con una giovane amante, che gli procura continui rimorsi e lo fa sentire “colpevole e malato” - sarà accompagnato da un solo dubbio: “l’amo o non l’amo?”. Tanto da arrivare a pensare - forse per auto-consolarsi - che il vero amore è proprio quello “accompagnato da tanto dubbio”.

Ora, come si fa a non sorridere di fronte all’episodio del piedino, uno dei tanti passaggi comici del libro che mirano a sollecitare l’umorismo del lettore? Come si può non guardare con occhi benevoli questo impacciato antieroe della nostra letteratura che voleva essere commiserato, che aveva paura di invecchiare e soprattutto di morire, che invidiava agli altri la disinvoltura e che, per soddisfare il suo “desiderio di salute”, aveva deciso di studiare il corpo umano? E come si fa a non volergli bene, visto che sapeva ridere di se stesso e delle cose più serie della vita, proprio per rendere la vita più sopportabile? La vita, per Zeno, non è un dramma, come forse lo era per gli altri personaggi nati dalla penna di Svevo, ma una strana e curiosa rappresentazione scenica che non andava presa troppo sul serio. "La vita - per lui - non è né brutta né bella, ma è originale...E non occorreva mica venire dal di fuori per vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastava ricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si è aspettato, per vederla tanto strana da arrivare alla conclusione che forse l'uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene". Con il suo spirito  indolente ma allegro, descritto con arguzia dallo scrittore triestino, il protagonista del romanzo racchiude molte di quelle ambiguità esistenziali presenti nell’inconscio di ognuno di noi. In lui ritroviamo le nostre leggerezze, le nostre ingenuità, i nostri timori, le nostre colpe, i nostri difetti di cui spesso ci vergogniamo. Eppure, questi lati incerti dell’esistenza lui riesce, in qualche maniera, a nobilitarli, a conferire loro una sorta di accettabilità, raffigurazione di una commedia umano-psicologica che sulla pagina scritta acquista un sapore particolare e va oltre ogni possibile giudizio morale. Alla fine della lettura vorremmo abbracciarlo, il nostro Zeno, e dirgli grazie per averci fatto compagnia con quel suo lungo monologo interiore, con i suoi vizi e con la sua goffaggine, con la sua ironia e con il suo candore; e dirgli grazie per averci fatto riflettere e sorridere amaramente sulla nostra umana fragilità e per averci fatto capire che a volte un libro può rendere felice chi lo legge, anche quando racconta l’inettitudine e l’infelicità.


6 commenti:

  1. Svevo appartiene a quel gruppo di autori di cui ho rinviato più volte la conoscenza con un vago senso di mancare a un dovere.
    chissà se la tua allettante recensione mi darà la spinta necessaria a intraprenderne la lettura.
    ml

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    1. Io mi fiderei più delle mie percezioni che delle "recensioni"...degli altri :). Svevo è un autore che a molti risulta pesante. Tutto sta nel captare la leggerezza che risiede comunque nei suoi scritti. E poi è un ottimo psicanalista...ciao Carlo e buona gioirnata

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  2. Ho letto solo Senilità, e l'impotenza del protagonista mi ha lasciato interdetto, quasi fossi offeso e indignato di ritrovarne parte in me stesso, in qualche modo. Ma mentre Svevo la esorcizza in qualche modo, spogliandosene, il lettore debole - quello che forse sono - non riesce ad elevarsi e farne tesoro ma, invece, finisce per deprimersi anziché somatizzare tormenti e fragilità comuni, comunque, a tutti.
    Forse potrebbe essere questa la volta buona, per leggere con occhi nuovi.

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    1. Io credo che la letteratura sia l’unico strumento che ti consente di avere incontri ravvicinati con le persone più strane che, forse, nella vita reale di tutti i giorni difficilmente vorremmo avere come amici, come moglie/marito, come parenti…anche se - detto tra di noi - quest’ultimi a volte sono peggiori di quelli che possiamo incontrare tra le pagine di un libro. I Zeno e gli altri personaggi che escono dalla penna di Svevo potrebbero non essere di nostro gradimento, perché inetti, poco equilibrati, tormentati, che non vivono secondo il nostro modo di pensare e quindi, in qualche maniera, potrebbero disturbarci e influire negativamente sul nostro umore. E’ possibile, se non riusciamo ad elevarci o considerarci un pò migliori o diversi da loro. Tuttavia, io credo che questi non arrivino mai ad urtare così tanto la nostra suscettibilità quanto certi nostri conoscenti reali, con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, i quali a volte si dimostrano insopportabili. E’ pur vero, però, che le persone equilibrate, assennate, sicure di sé che predispongono all’ottimismo spesso, tra le pagine di un libro, sono noiose…. ed è per questo che preferiamo incontrarle fuori, nella realtà. 😊

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  3. Sono certa di averlo a casa il libro di cui parli e mi ha ricordato un po' gli aneddoti che ho raccolto dalle precedenti generazioni quando era vietato anche un sorriso fra due persone che si piacevano e provavano a comunicare in modo un po' nascosto,ricadendo magari in scenari molto più imbarazzanti,e come non sorridere:)

    Certo che se prima era estremo in un senso ,oggi è decisamente estremo nell'altro ...in nome paradossalmente della libertà!

    Grazie per questo post e Auguri di buona Pasqua e Pasquetta a te e ai tuoi cari .



    L.

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    1. E' vero, si è passati da un estremo all'altro. Ciao L. e buona Pasqua anche a te e famiglia

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