Giacomo Leopardi non era un viaggiatore
– come certi artisti e letterati del suo tempo che non rinunciavano mai al
cosiddetto “gran tour” - tanto meno era scrittore di letteratura di viaggio,
visto che non ci ha lasciato libri di questo genere. Più che farli,
probabilmente Leopardi preferiva immaginarli i suoi viaggi, perché il muoversi per
lui significava “separazione e fatica” e in questa sua “proiezione immaginaria”
così scriveva nello Zibaldone: “è assai più dolce il ricordarsi del bene (non
mai provato, ma che in lontananza sembra d’aver provato) che il goderne, come è
più dolce lo sperarlo, perché in lontananza sembra di poterlo gustare”. I suoi
tragitti, a volte molto brevi, si risolvevano sempre “in fughe disperate e in
ritorni angosciosi”, come scrive Attilio Brilli, autore di un libro molto
piacevole che si intitola “In viaggio con
Leopardi” (il Mulino). Parlare, quindi, di questi spostamenti da/per le
principali città italiane quali Roma, Bologna, Milano, Venezia, Firenze, Pisa,
Napoli… significa innanzitutto scoprire quel suo bisogno di evadere dal “natio
borgo selvaggio”; ma significa anche rivivere le sue insoddisfazioni e le sue paure
che nascevano nel momento stesso in cui doveva lasciare la casa paterna.
Il libro ripercorre luoghi e
città – fra il 1822 e il 1833 – visti e raccontati attraverso le lettere che il
poeta inviava a familiari ed amici, dove ritroviamo la sensibilità e la
sottigliezza delle osservazioni di uno degli ingegni più grandi della nostra
letteratura. E non mancano, nel libro, le belle e profonde riflessioni di altri
viaggiatori dell’Ottocento – quali Hutton, Lady Morgan, Stendhal, Ruskin,
Hazlitt, Vieusseux) che si ritrovavano a percorrere gli stessi itinerari, quasi a voler mettere a confronto stati
d’animo differenti nell’osservare lo stesso luogo. Scrive Brilli che un luogo
visitato o solo intravisto dalla carrozza, per Leopardi, era tanto più
seducente ed interessante quanto più riusciva quel luogo a stimolare la memoria
del borgo nativo, come a dire che anche quando si trovava in un’altra città, lui
cercava sempre quelle “rimembranze” che gli ricordassero l’ambiente della sua
Recanati, il suo “carcere” amato e odiato. Leopardi, insomma, non aveva una
grande capacità di entrare in sintonia con un luogo che non fosse quello
d’origine, verso il quale si riversavano comunque i ben noti motivi di rigetto.
Lo dice in una lettera indirizzata al padre il 3 ottobre 1825, mentre si
trovava a Bologna: “Io non cerco altro che libertà, e facoltà di studiare senza
ammazzarmi. Ma veramente non trovo in nessun luogo né la libertà né i comodi di
casa mia…”. Nelle sue parole si coglie sempre un senso di estraneità e rifiuto nei
confronti della grande città, dove non riesce a coltivare rapporti di
solidarietà e amicizia. Una lettera inviata al fratello Carlo, due giorni dopo
il suo arrivo a Roma, nel 1822, rivela tutta la delusione e il disagio che gli
procura la città eterna: “…delle gran cose che io vedo non provo il minimo
piacere, perché conosco che sono meravigliose ma non le sento, e t’accerto che
la moltitudine e la grandezza loro m’è venuta a noia dopo il primo giorno…”. Neanche
Milano sembra conquistarlo. E se a Stendhal - che l’aveva visitata non molto
tempo prima – era apparsa una meta ideale in cui “bighellonare” tra i suoi
monumenti che gli offrivano “un’idea della bellezza lombarda, una delle più
conturbanti”, al poeta recanatese, invece, il capoluogo lombardo era sembrato “insociale” dove non si poteva “fare altra
vita che quella del letterato solitario”. Aveva apprezzato, però, la calda
atmosfera e la buona accoglienza che gli offriva Bologna, una città a misura
d’uomo, dove aveva “contratto più amicizie assai in nove giorni, che a Roma in
cinque mesi”. Così come era rimasto incantato dalla bellezza e dal clima di
Pisa, che tanto bene procurava al suo fisico malandato. E poi c’è Napoli che è
una città – come scrive Brilli – “sempre sul punto di essere travolta dai
detriti dei luoghi comuni dai quali non fu del tutto immune nemmeno Leopardi”.
Il poeta visse quel suo lungo soggiorno a Napoli – vi era arrivato assieme
all’amico Antonio Ranieri - come un ospite precario “separatissimo dalla gente”
ed il suo risentimento nei confronti della città e dei suoi abitanti, definiti
“Lazzaroni e Pulcinelli nobili e plebei” affiora spesso nelle sue lettere.
Come tutti i libri di viaggio
– di cui sono un estimatore, lo confesso – anche questo piccolo saggio l’ho gustato
con squisita lentezza, interrompendo ogni tanto la lettura per soffermami con la
fantasia sulle incredibili peripezie e sugli inconvenienti cui andavano incontro i viaggiatore
di un tempo: le strade insicure e malridotte, le carrozze, le soste alle
locande, gli incidenti di percorso. Nulla a che vedere con i viaggi dei nostri
tempi. Queste letture le consiglio solo a coloro che sanno viaggiare senza
partire, e che amano intraprendere un viaggio nel viaggio, traendo diletto
dalle esperienze e dalle descrizioni di chi ha visitato luoghi incontaminati,
non ancora stravolti dal turismo di massa. Leggere i pensieri di un grande
viaggiatore del passato – mi viene in mente Goethe, Ruskin, Piovene – non è
come ascoltare passivamente il racconto di un amico al ritorno dalle sue
vacanze estive. Quest’ultimo, con enfasi autocelebrativa, non fa che sciorinare
un elenco infinito di cose e di luoghi visitati, costringendoti a guardare un
migliaio di foto catturate con il suo smartphone, incurante della noia che dopo
un po’ ti assale. Il grande scrittore/viaggiatore, invece, senza nessuna fotografia
ma solo con parole, le più suggestive, ha la straordinaria capacità non solo di
raccontare il fascino di un luogo, ma anche di trasmettere la sua emozione al
cospetto della bellezza, nonché la sua repulsione di fronte alla bruttezza: sensazioni, queste, che diventano nostre attraverso la lettura.
Di Brilli ho in attesa... Quando viaggiare era un'arte, con questa altra curiosità che hai innescato, come non allungare la lista?
RispondiEliminaFaccio lunghi viaggi la notte, nei luoghi, nel tempo e nei mille sentimenti umani, poi, ultimamente, spengo nelle mattinate e mi addormento paga del sapore e dell'atmosfera che rubo ai libri.
Attilio Brilli è uno dei massimi esperti della letteratura di viaggio, un filone letterario che io apprezzo molto...e noto che anche a te piace viaggiare senza partire. :)
EliminaCiao Gingi
A Leopardi l'evasione, come capita a taluni autentici reclusi, risulta più insoddisfacente della propria prigione.
RispondiEliminamassimolegnani
E' vero quel che dici: Leopardi provava ad evadere da quel carcere che era Recanati, tuttavia non vedeva l'ora di rientrare perchè il trauma che gli procurava l'evasione era sempre meno sopportabile della reclusione. Ciao Carlo
EliminaLeggo spesso le tue recensioni. Hai un modo molto avvolgente di raccontare un libro. E poi mi piace quando fai parlare l'autore entrando tra le pagine del testo. Francesco
RispondiEliminaGrazie, Francesco, per il tuo apprezzamento. E' vero, quando scrivo di libri mi piace estrarre dal testo parole e pensieri dell'autore. Credo che sia il modo più appropriato e serio per far conoscere una storia. Diciamo che mi servo delle stesse parole dell’autore del libro per puntellare le mie modeste “recensioni”. Ciao
EliminaCiao, Pino! Per caso, come di solito succede, ho scoperto il tuo blog.Ti seguirò:-)
RispondiEliminaGiacinta
Ciao Giacinta, benvenuta qui. Se mi segui non può che farmi piacere :)
Eliminainteressantissima recensione. occasione in più per indagare ulteriormente nell'animo tormentato di Leopardi.
RispondiEliminacomplimenti per il sito..
Grazie per le tue generose parole
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