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venerdì 24 gennaio 2020

Arte e pubblicità



Qualcuno certamente ricorderà quella raccapricciante immagine di qualche anno fa riguardante il David di Michelangelo - simbolo della Firenze rinascimentale – che imbraccia una mitragliatrice, grazie ad un abile fotomontaggio. Si trattava di una campagna pubblicitaria di un’azienda americana produttrice di armi, la quale, senza alcuna autorizzazione e senza alcuna vergogna, aveva avuto la brillante idea di trasformare quel capolavoro dell’arte universale in un rambo grottesco. Inoltre, allo stesso David, una nota azienda di abbigliamento pensò bene di infilargli pure un paio di jeans fino al ginocchio: da rambo pronto alla battaglia a indossatore per una sfilata di moda, il passaggio fu breve. Credo  che la salma di Michelangelo si rigiri ancora nella tomba. Ma non è finita qui, perché la celebre scultura si poteva anche ammirare, inquadrata di spalle, sui manifesti affissi in alcune città italiane con un prosciutto a tracolla a mò di zaino. E che dire, poi, delle campagne pubblicitarie create intorno alla “povera” Gioconda: stravolta e sbeffeggiata in tutte le salse e credo che molte persone, oggi, facciano fatica a comprendere ed a distinguere il dipinto originale dall’immagine deformata. Si potrebbe continuare, perché gli esempi di aziende che ricorrono alle immagini di opere d’arte per promuovere i loro prodotti sono davvero tanti.

Pubblicità ed arte sono due mondi molto distanti l’uno dall’altro e con fini assai divergenti; pertanto non credo proprio che possano incontrarsi ed amalgamarsi: la prima crea desideri e bisogni e spinge le persone a comprare in maniera compulsiva delle cose, la seconda incoraggia le persone a riflettere sul bello elevando i loro desideri e selezionando i loro bisogni. C’è da dire, inoltre, che da un pò di tempo a questa parte ha preso piede un’altra strategia di marketing, rappresentata da quei giganteschi pannelli pubblicitari che coprono le facciate di interi palazzi in restauro nei centri storici di molte città d’arte. Una violenza visiva, questa, davvero insopportabile resa ancora più scioccante quando il cartellone riveste un’intera chiesa, un’antica fontana o un monumento importante. Anche queste aziende, in maniera diversa rispetto a quelle che “rubano” un’ immagine artistica, sfruttano l’arte per sponsorizzare le proprie mercanzie, i cui profitti e ritorni di immagine sono di gran lunga superiori ai finanziamenti dovuti per il restauro. Secondo me, con queste operazioni si altera il messaggio insito nell’arte, che è un messaggio culturale che tocca le corde più sensibili del nostro animo e non può diventare la rendita di una griffe, che arruola Michelangelo e Leonardo tra i propri testimonial. Non è giustificabile che un marchio di fabbrica possa appropriarsi del nostro patrimonio artistico ed architettonico, accostando il suo contenuto più profondo alla merce pubblicizzata e beneficiandone in termini di prestigio e di profitto. Accreditare l’idea che una basilica paleocristiana o una dimora gentilizia siano luoghi commerciali anziché luoghi dello spirito, è un errore che andrebbe evitato. Il patrimonio storico-artistico, tutto, dovrebbe essere sottratto al potere del mercato che oramai divora e fagocita ogni cosa, compreso il sacro insito in un’opera d’arte frutto dell’ingegno umano.

6 commenti:

  1. Arte e pubblicità !...una forte contrapposizione, dove la prima è perfino terapeutica per l'anima è la seconda
    distruttiva per la stessa!

    È talmente evidente che c'è il peso del denaro a sbilanciarne le menti!

    Buona serata...


    L.



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    1. ...e già, il denaro: il generatore simbolico di tutti i valori della nostra società, come dice Umberto Galimberti.
      Ciao L. e buona serata anche a te

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  2. La pubblicità muove il mondo.
    Dovremmo averlo capito da tempo.

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    1. L'ho capito, ma e' un mondo che non mi appartiene e detesto la pubblicità, in ogni sua declinazione

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