Qualcuno
certamente ricorderà quella raccapricciante immagine di qualche anno fa riguardante
il David di Michelangelo - simbolo della Firenze rinascimentale – che imbraccia
una mitragliatrice, grazie ad un abile fotomontaggio. Si trattava di una
campagna pubblicitaria di un’azienda americana produttrice di armi, la quale,
senza alcuna autorizzazione e senza alcuna vergogna, aveva avuto la brillante idea di trasformare quel capolavoro dell’arte universale in un rambo grottesco.
Inoltre, allo stesso David, una nota azienda di abbigliamento pensò bene di
infilargli pure un paio di jeans fino al ginocchio: da rambo pronto alla battaglia a
indossatore per una sfilata di moda, il passaggio fu breve. Credo che la salma di Michelangelo si rigiri ancora
nella tomba. Ma non è finita qui, perché la celebre scultura si poteva anche ammirare,
inquadrata di spalle, sui manifesti affissi in alcune città italiane con un
prosciutto a tracolla a mò di zaino. E che dire, poi, delle campagne
pubblicitarie create intorno alla “povera” Gioconda: stravolta e sbeffeggiata
in tutte le salse e credo che molte persone, oggi, facciano fatica a
comprendere ed a distinguere il dipinto originale dall’immagine deformata. Si
potrebbe continuare, perché gli esempi di aziende che ricorrono alle immagini di
opere d’arte per promuovere i loro prodotti sono davvero tanti.
Pubblicità
ed arte sono due mondi molto distanti l’uno dall’altro e con fini assai
divergenti; pertanto non credo proprio che possano incontrarsi ed amalgamarsi:
la prima crea desideri e bisogni e spinge le persone a comprare in maniera
compulsiva delle cose, la seconda incoraggia le persone a riflettere sul bello elevando
i loro desideri e selezionando i loro bisogni. C’è da dire, inoltre, che da un
pò di tempo a questa parte ha preso piede un’altra strategia di marketing,
rappresentata da quei giganteschi pannelli pubblicitari che coprono le facciate
di interi palazzi in restauro nei centri storici di molte città d’arte. Una
violenza visiva, questa, davvero insopportabile resa ancora più scioccante
quando il cartellone riveste un’intera chiesa, un’antica fontana o un monumento
importante. Anche queste aziende, in maniera diversa rispetto a quelle che
“rubano” un’ immagine artistica, sfruttano l’arte per sponsorizzare le proprie
mercanzie, i cui profitti e ritorni di immagine sono di gran lunga superiori ai
finanziamenti dovuti per il restauro. Secondo me, con queste operazioni si altera
il messaggio insito nell’arte, che è un messaggio culturale che tocca le corde
più sensibili del nostro animo e non può diventare la rendita di una griffe,
che arruola Michelangelo e Leonardo tra i propri testimonial. Non è giustificabile
che un marchio di fabbrica possa appropriarsi del nostro patrimonio artistico ed architettonico, accostando
il suo contenuto più profondo alla merce pubblicizzata e beneficiandone in
termini di prestigio e di profitto. Accreditare l’idea che una basilica
paleocristiana o una dimora gentilizia siano luoghi commerciali anziché luoghi
dello spirito, è un errore che andrebbe evitato. Il patrimonio
storico-artistico, tutto, dovrebbe essere sottratto al potere del mercato che
oramai divora e fagocita ogni cosa, compreso il sacro insito in un’opera d’arte
frutto dell’ingegno umano.
Arte e pubblicità !...una forte contrapposizione, dove la prima è perfino terapeutica per l'anima è la seconda
RispondiEliminadistruttiva per la stessa!
È talmente evidente che c'è il peso del denaro a sbilanciarne le menti!
Buona serata...
L.
...e già, il denaro: il generatore simbolico di tutti i valori della nostra società, come dice Umberto Galimberti.
EliminaCiao L. e buona serata anche a te
La pubblicità muove il mondo.
RispondiEliminaDovremmo averlo capito da tempo.
L'ho capito, ma e' un mondo che non mi appartiene e detesto la pubblicità, in ogni sua declinazione
Eliminacome non essere d'accordo con te?
RispondiEliminaml
Non avevo dubbi...un saluto :)
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