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venerdì 13 dicembre 2019

Quando parlano i morti



Si può guardare la vita da un osservatorio improbabile, cioè dalla sua fine? La si può osservare da morti? Franco Arminio – poeta e scrittore tra i più interessanti e originali del nostro firmamento letterario – riesce a farlo a modo suo, consegnandoci 151 “cartoline” da un aldilà , da un altrove che, tutto sommato, non sembra destare inquietudini, grazie soprattutto al suo tono ironico, disincantato e disorientante.

“Cartoline dai morti 2007 – 2017” - questo il titolo del libro – è il resoconto degli ultimi istanti di vita raccontati, in forma concisa ed essenziale,  non già da chi resta e vede, ma da chi se n’è andato per sempre. Ognuno di questi personaggi passati a miglior vita vive il proprio trapasso senza troppi affanni, riflette con poche parole sulla caducità della vita, a volte governata da un avverso o grottesco destino: “Il giorno dell’apertura della caccia qualcuno mi ha scambiato per una quaglia”, scrive uno; e un altro ancora: “Tutto per colpa di una vacca che di notte stava in mezzo all’autostrada”. E c’è chi, nonostante tutto, non si rassegna alla brutta fine che il destino gli ha riservato: “Sono sempre stato un tipo tranquillo. Non meritavo di finire sotto un camion.”

Ogni cartolina è un flash di immagini e di sensazioni, da cui emergono vizi e virtù di ciascuno, ma anche recriminazioni, delusioni, rassegnazioni, inganni nei confronti della vita e di chi è rimasto:

“Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente”;

“All’inizio chi ci ama vorrebbe riaverci, poi si abitua al fatto che siamo morti, poi per tutti stiamo bene dove stiamo”;

“Sono sempre stato un ottimista. E mi va bene anche così”

“Sono sempre stato un tipo sfortunato. Il giorno del mio funerale si parlava del funerale della figlia del farmacista, morta il giorno prima”;

“Mi dispiace per te, ho detto a mia moglie che mi stringeva le mani. Nessuno quando stiamo bene ci stringe le mani in questo modo, nessuno".

C’è qualcuno - tra gli estensori di queste cartoline - che ricorda, con amarezza, il suo ultimo estremo desiderio da vivo, quel suo agognato miraggio di morire di notte, magari nel sonno, e comunque in una giornata senza sole; e invece: “Fuori era una bella giornata. Non volevo morire con tutto quel sole fuori. Ho sempre pensato di morire di notte, nell’ora in cui abbaiano i cani. E invece sono morto a mezzogiorno, mentre alla televisione cominciava un programma di cucina”. E c’è chi, a sua insaputa, si porta dietro il superfluo, quel superfluo così ambito dai vivi: “Nella bara mi hanno vestito con un abito firmato. E di nascosto nella tasca mio figlio mi ha infilato pure il cellulare”. Susciterebbe tenerezza, quel figlio, se il suo gesto - solo apparentemente inverosimile – non infondesse spavento. Si, perché stiamo inculcando nella mente dei nostri figli l’idea, secondo cui un cellulare oggi può tutto: anche resuscitare un morto.

Queste “cartoline dai morti” sono brandelli di vita vissuta che ci parlano della provvisorietà delle cose e della fragilità della condizione umana; sono piccole storie che racchiudono un mondo, una filosofia di vita, raccontate con garbo e con sottile ironia. Franco Arminio  ci parla della morte in maniera lieve e spiazzante, sdrammatizza questo evento di cui tutti hanno paura, facendo riflettere, commuovere e sorridere il lettore. Leggendo questi brevi frammenti – che in qualche maniera ricordano gli epitaffi di Spoon River di Edgar Lee Masters - sembra quasi che la morte arrivi per caso, è come se stesse passando e si fermasse un momento, così senza impegno, per andare subito via. E’ una morte, quella che ci racconta lo scrittore avellinese, che perde le sembianze della tragedia e si scioglie in un episodio malinconico ed inevitabile, quasi banale, l’ultimo tassello di quel puzzle che si chiama vita.

E c’è forse qualcuno, meglio di un morto, che può dare dei consigli ai vivi? “Ora che sono morto io vi dico: fate attenzione quando salutate un vecchio, quando salutate un bambino, sentitevi contenti di avvitare una lampadina, di allacciarvi le scarpe, ma più di tutto godetevi la bellezza di tornare a casa, non importa se da un lungo viaggio o da un funerale”.


12 commenti:

  1. Grande Franco Arminio. Io ho letto il suo notevole "Resteranno i canti"e ho comprato ma non ancora letto un'altra sua silloge. Fai bene ad accostare questo libro a Spoon River. Dalle belle citazioni che ne hai estratto, si percepisce un'analoga forza.

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    1. Franco Arminio è un personaggio unico. "Resteranno i canti" si trova già nel mio elenco di libri da comprare. Grazie

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  2. Mi piace questa tua recensione. Non conoscevo Arminio, che ora conosco grazie a te. A volte i morti fanno ridere più dei vivi
    Francesco

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    1. Grazie per la condivisione. A volte alcuni "morti" (mi riferisco a certi maestri di vita e di cultura) sono più vivi di certi "vivi" che, pur parlando a sproposito e facendo ridere, sono già morti.

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  3. Non riesco a ridere dopo questa tua recensione: da una decina di anni e via via sempre più spesso l'idea della morte mi fa una non voluta compagnia. Anche se il tono è ironico e leggero, anche se
    la scrittura di Arminio è di grande spessore, mi resta in bocca il sapore amaro di una giornata di sole lasciata controvoglia.

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    1. La morte, comunque la si pensi - caro Enzo - fa compagnia a tutti, in maniera strisciante e occulta: ai giovani e ai vecchi. Ed è, come giustamente dici tu, una compagnia "non voluta", di cui tutti ne farebbero a meno. Le lettere dai morti di Arminio, più che far ridere, fanno riflettere con leggerezza, senza appesantire e sconvolgere la nostra sensibilità e senza creare timori e angosce.

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  4. Beh qui hai valorizzato qualcosa e qualcuno racchiudendoli in un bel post.

    F.Arminio più lo leggi e più lo senti...


    L.

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  5. Lo legge spesso una mia amica.
    Io non lo conosco per niente

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  6. Prova a leggere qualche sua poesia...potrebbe essere di tuo gradimento

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  7. formidabili queste cartoline, devo procurarmele.
    io sullo stesso tema ho appena letto "e serbi un sasso il nome" di Elisabetta Cacioppo e Massimo Tafi (pentagora edizioni). Un viaggio tra tombe sconosciute e archivi polverosi per ridare voce ai morti.
    massimolegnani

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    1. Si, sono fuori dal comune: parlano della morte ma raccontano la vita. Ciao Carlo

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