Cerca nel blog

lunedì 2 dicembre 2019

Paesi



E’ “povero” chi non ha un paese in cui riconoscersi. Paese non nell’accezione estesa del termine - paese come nazione - ma luogo antropologico più intimo e localistico che contiene le radici più nascoste;  e che conserva quegli aspetti socio-culturali che plasmano una piccola comunità e che in base a quello spazio, quasi familiare, si costruisce la propria identità e si rafforzano i rapporti con gli altri che vivono quel territorio. Il paese come condizione esistenziale, come immagine e approdo a misura d’uomo. Forse tutti noi cerchiamo o ci inventiamo un paese dove ritornare o dove fuggire, magari solo con l’immaginazione, nei momenti di dolce malinconia.

Luogo della memoria e dell’anima: questo è il paese; una minuscola patria di origine all’interno della grande patria di appartenenza; territorio in cui ci si identifica e ci si ritrova, dove il tempo sembra arrestarsi e dove anche la noia e la tristezza appaiono più sopportabili. Ma il paese è anche luogo fuori dal tempo che regala bellezza e tranquillità dove il silenzio e la natura, il camino acceso nelle case in pietra e la serenità dei volti della gente, l’ospitalità e la solidarietà, i ritmi lenti e il culto dello stare assieme e le antiche tradizioni, rendono più dolce l’esistenza.  Ma il paese è anche il luogo in cui senti il tuo corpo in maniera diversa e - con amore o con disagio - può essere di volta in volta un eden o un carcere, un simbolo di libertà o di oppressione. Ti mantiene sospeso su un ciglio che ondeggia sempre tra il desiderio di andare via e quello di rimanere aggrappato alle sue piccole certezze.

Il poeta Alfonso Gatto ricorda in una sua poesia che “abbiamo tutti fretta di morire per tornare al paese natale”. E come non citare le parole sempre attuali di Cesare Pavese che diceva: “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Certo, il paese è fatto di partenze e di abbandoni, di fughe e di rimpianti, ma è fatto anche di ritorni: il ritorno al paese nativo dell’emigrante, di chi ha lasciato il proprio paese per lavoro.  E’ il momento, questo, in cui subentra quel sentimento nostalgico dei tempi vissuti e ormai perduti. “Quante volte, o paese mio nativo - recita una poesia di Cardarelli - in te venni a cercare ciò che più m'appartiene e ciò che ho perso. Quel vento antico, quelle antiche voci, e gli odori e le stagioni d'un tempo, ahimè, vissuto”.

10 commenti:

  1. Lo prendo come un invito a rileggere Pavese e Caldarelli ma soprattutto Alfonso Gatto poeta dimenticato e profondo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tre grandi della nostra letteratura: non dovremmo mai stancarci di rileggere

      Elimina
  2. le parole di Pavese illuminano l'ambivalenza del rapporto col proprio paese d'origine che spesso abbandoniamo non per costrizione ma per scelta.
    massimolegnani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pavese aveva un rapporto di amore-odio nei confronti di Santo Stefano Belbo, il suo paese natale. Per lui il paese era bello perchè gli consentiva la fuga o, quantomeno, di immaginarla. E si sentiva un esule sia a Brancaleone, dove realmente venne confinato, che nel suo paese nativo. Credo che lui si sentisse straniero ovunque

      Elimina
  3. paese come dimensione, come cultura, come tessuto sociale. per me, almeno per me, non come bandiera, forse neppure come terra.

    RispondiElimina
  4. Come sempre i tuoi scritti sono molto ricchi di spiritualità!

    Sai cosa sento?Che in fondo i paesi non sono mai completamente abbandonati... si spostano soltanto con chi li ha vissuti,circoscrivono una cartina geografica nelle anime e viaggiano come bagagli,con tutte le loro tradizioni , profumi e culture... assumono solo un altra dimensione!

    Buona serata


    L.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, per le tue belle parole di apprezzamento.
      E' proprio così: i paesi non muoiono mai e non sono "mai completamente abbandonati", anche quando andiamo via. E mi verrebbe da dire, anche quando fuggiamo da loro per i motivi più disparati. Ce li portiamo comunque dietro, nel cuore e nella mente: quei profumi, quelle atmosfere, quelle abitudini, quelle strade piccole e strette, quei silenzi, difficilmente usciranno dalla nostra memoria. Dai nostri ricordi. Chi è nato in un paese, sarà sempre abitato da quel paese. Se lo porterà dietro ovunque vada. Basti pensare che quando i nostri migranti lasciavano la loro terra – da nord a sud - per trovare lavoro all'estero (in America, in Germania ecc.) sentivano sempre il bisogno di ricreare, nei luoghi che li accoglievano, una sorta di “doppio” del paese di origine. E' come dire che il paese di origine si spostava all'estero con loro. Il paese, con le sue storie e con le sue tradizioni, ma anche con le sue rovine, non morirà mai fino a quando ci sarà qualcuno che se ne ricorderà e saprà ricostruirne gli eventi.
      Buona serata a te

      Elimina
  5. Hai sviluppato perfettamente il mio sentire,cogliendo in pieno quello che intendevo far arrivare!

    Ho letto un tuo post che descrive le sensazioni che provi stando su un albero di ulivo ,intendo alla raccolta:)


    Credo che molti qui dentro hanno bisogno di questo genere di esperienza...
    toccando con mano l'esistenza...

    Ma ci sono anche molti (tu tra questi), che riescono in modo quasi impeccabile a portare quell'esistenza in questa forma di dipendenza,resistenza(tecnologica).

    "...sentire sempre il bisogno di ricreare, nei luoghi che ci accolgono, una sorta di “doppio” del paese di origine...

    Guarda te che similitudine :)

    Chiedo scusa ad ogni lettore che capiti a leggere questi commenti ,non vogliono ferire nessuno ma solo elogiare un evidenza!


    L.



    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi hai fatto sorridere: lo ricordo bene quel mio post. E poi, detto tra di noi, posso dire di essere appena sceso da quell'ulivo: la raccolta di quest'anno l'ho terminata da poco e ne sono molto soddisfatto. Si, "toccando con mano l'esistenza" (davvero bella questa tua immagine, me la sono segnata), si vive e si osserva il mondo da una diversa prospettiva. Ma, naturalmente, ognuno vive la propria esistenza come meglio crede. C'è chi preferisce tenere tra le mani un rastrello per la raccolta delle olive e chi, invece, non riesce a staccare le proprie mani da uno smartphone. De gustibus non disputandum est
      Ciao :-)

      Elimina