Siamo frastornati dal “troppo” che oramai
invade le nostre esistenze. L’altro giorno mi trovavo su un treno della
metropolitana di Roma. Seduta accanto a me una bella signora (ingioiellata
come la Madonna di Pompei) mi costringeva ad ascoltare la sua affranta
telefonata. Costei raccontava ad una sua amica che dopo una giornata di duro
lavoro in ufficio (sob!), doveva sobbarcarsi: alle 16 un corso di pittura, alle 17,30
portare fuori il cane per i suoi bisogni, alle 18 la palestra, alle 19,30 la spesa
al supermercato, in serata una cena con i colleghi per festeggiare un compleanno
e, prima di andare a letto – dulcis in fundo - l’immancabile visita ai social.
Che vitaccia!
Sembrerebbe – a sentire quella signora - che le
nostre giornate siano ormai zeppe di impegni e di appuntamenti, veri o falsi
che siano. Tra corsi di inglese e gare di ballo, tra esercizi in palestra e acquisti
compulsivi, tra incontri virtuali in rete e serate in pizzeria con gli amici, tra
fiumi di messaggi improbabili e telefonate
superflue, pianifichiamo il nostro tempo in maniera irrefrenabile, senza alcuna
pausa. E come se tutto ciò non bastasse, ci si mettono pure i mezzi di
informazione bombardandoci con immagini e messaggi pubblicitari, video i più
disparati e assurdi, notizie di ogni genere che dovrebbero suscitare, in
chiunque, una reazione di rifiuto e di nausea: ma ciò non succede, assuefatti
come siamo ad ogni forma di orrore. Non contenti, poi, ci spostiamo velocemente
da un posto all’altro del pianeta, prendiamo
la macchina anche per percorrere pochi metri e nulla sembra più turbarci:
violenza, maleducazione, volgarità, rumori, sporcizia nei posti in cui viviamo.
Siamo sempre alla ricerca spasmodica di “qualcosa” che possa riempire quel probabile
“vuoto” giornaliero e che faccia tacere quel silenzio di cui abbiamo una paura
fottuta. E allora, musica di sottofondo che non è una sinfonia ma solo
rumore; e poi televisione sempre accesa in casa, monitor nei locali pubblici,
nelle stazioni dei treni e delle metropolitane che sparano pubblicità. Ma la
cosa che più ci appassiona e con cui trascorriamo la maggior parte del nostro
tempo è il cellulare. Smanettiamo istericamente su quella magica scatoletta mentre
guidiamo, mentre mangiamo, mentre stiamo con i nostri figli, mentre camminiamo…insomma,
sempre, tranne in quelle poche ore di sonno. Non siamo più capaci di stare
fermi e pensare, di oziare senza fare niente, di guardare trasognati il mondo
che ci circonda, di emozionarci davanti alla bellezza della natura o dell’arte ;
non esistiamo senza uno smartphone tra le mani. E non conosciamo più l’attesa, perché dobbiamo agire e rispondere con urgenza in qualsiasi momento ed in qualsiasi situazione.
Tutto è diventato terribilmente improrogabile. Facciamo troppe cose, anche in
una giornata ordinaria. E quando troppe cose premono contemporaneamente alle
porte e reclamano di essere soddisfatte e capite, finiamo per esserne
sopraffatti. Ma non ce ne rendiamo conto.
Dice Franco Arminio, poeta e scrittore molto
sensibile a queste tematiche del vivere quotidiano: “In un giorno incontriamo
tante persone, gli incontri in rete comunque sono incontri e le parole sono
parole e le emozioni sono emozioni: è tutto vero e tutto falso ed è tutto un
ronzio che ci sfinisce. Per guardare il mondo ci vuole un poco di silenzio, bisogna
restaurare le vigilie. Adesso le cose accadono una dietro l’altro, le
attacchiamo senza tregua, senza spazi vuoti: magari ascoltiamo un messaggio
mentre ci laviamo la faccia, parliamo al telefono mentre guidiamo, decidiamo un
amore villeggiando al sole di facebook. I luoghi possono ancora essere visti,
ma non basta andare in un luogo, bisogna aver cura di vedere poco, di fare
poche cose in un giorno, di lasciare un poco di vuoto in mezzo alle giornate.
L’assillo di esserci rischia di farci diventare sempre più irreperibili a noi
stessi e agli altri. E il mondo diventa vago e imprendibile come una nuvola”
Diamogli un seguito:-)
RispondiElimina"Forse semplicemente la peste è ognuno di noi, per come siamo diventati, siamo tutti degli appestati, onesti o disonesti, colti o ignoranti. La questione non è il mondo, ma siamo noi. Siamo colpevoli per i posti dove andiamo e per quelli dove non andiamo. - La vera emergenza di questo tempo è l’antipatia degli uomini verso gli altri uomini. Il razzismo è la declinazione più pericolosa di questa antipatia. In verità è come se non sapessimo più farci compagnia. Una stretta di mano, mangiare un gelato assieme, passeggiare: è come se quello che facciamo non bastasse mai, come se avessimo sempre bisogno di fare altro. La peste siamo noi quando facciamo i turisti e quando stiamo a casa. Abbiamo riempito il mondo di miliardi di io e l’io ingrombra più del corpo, è come uno scatolone vuoto, pieno di parole vuote. E il mondo è senza spazio." Franco Arminio
P.s
Faccio un po fatica a leggere il modo di scrittura di alcuni post ,come questo ad esempio...
L.
Grazie per il contributo. E buona giornata :)
EliminaPerdonami... ma questo post è così ricco di verità che si poteva omettere quel contributo,vero?
EliminaFranco Arminio ho avuto modo di aporofondirlo in un occasione bellissima...e il suo senso spirituale di persona e scrittore non smette mai di stupirmi.Ecco perché spesso si cerca di aumentarne la dose dei suoi scritti e mi fa piacere che tu lo citi nel tuo blog ... guarda caso anche di sostanza spirituale!
Buona giornata!
L.
Quel contributo non solo arricchisce il mio post, alquanto modesto, ma lo migliora. Quindi ancora grazie. Si, Franco Arminio è davvero una bella persona, da leggere ed ascoltare. Peccato che non lo si vede spesso in televisione: ne avrebbe di cose da raccontare e sarebbe la volta buona per guardarla (la televisione) con piacere ed attenzione. :) Buona giornata a te
Elimina"bisogna restaurare le vigilie", è vero, nella fretta di fare abbiamo perso il senso dell'attesa.
RispondiEliminamassimolegnani
L'attesa del piacere è essa stessa un piacere, non so chi lo disse, ma è la verità. L'abbiamo persa, caro Carlo: oggi puntiamo subito alla festa, dimenticando la vigilia.
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