Cerca nel blog

sabato 30 marzo 2019

Bellezza e morte a Venezia



“…la parola può, sì, celebrare la bellezza, ma non è capace di esprimerla”
Il conflitto tra l’arte e la vita, che a volte può generare una presunta “diversità” dell’artista rispetto alla “normalità” dei comuni mortali, è un tema molto suggestivo che da sempre affascina gli scrittori. Questo aspetto affiora prepotente nell’opera di Thomas Mann, in particolare in un suo libro molto famoso “La morte a Venezia”, che rappresenta – secondo me - una delle più alte espressioni artistiche della letteratura di tutti i tempi. E’ un’opera d’arte, alla stregua di un dipinto di Leonardo o di una scultura di Michelangelo. Quando mi trovo a dover parlare di un libro così importante – l’ho riletto in questi giorni – mi trovo in difficoltà, mi sento inadeguato, e mi chiedo cosa potrei mai scrivere che non sia già stato scritto da persone molto più autorevoli e competenti di me.
Con questo breve romanzo (meno di cento pagine, scritto nel 1912), lo scrittore tedesco eleva la condizione spirituale di uno dei suoi personaggi più controversi - Gustav Aschenbach - ad un tale livello di esaltazione estetica, da creare un distacco incolmabile tra la sua esistenza di artista e amante del bello e la realtà circostante. Aschenbach è un noto e celebrato scrittore sui cinquant’anni, che riesce a conquistare con le sue opere letterarie sia l’apprezzamento del largo pubblico che la stima severa dei raffinati. Ha scelto Monaco di Baviera come residenza stabile, dopo la morte della moglie, ma trascorre tutte le estati, in solitudine, nella sua casa rustica in montagna. Conduce un’esistenza borghese, metodica, quasi monacale, senza trasgressioni. Ma un bel giorno decide di fare un viaggio, viene preso da un desiderio smanioso di liberazione e di fuga dal quotidiano, sente la necessità “di un periodo di vita nomade”. Dopo qualche breve riflessione sul dove andare, sceglie Venezia. E in questa città “che affascina irresistibilmente le persone colte”, si imbatte in un bellissimo adolescente, che alloggia con la sua famiglia nel suo stesso albergo. Di fronte a questa visione i suoi sentimenti ed i suoi istinti vengono improvvisamente sconvolti; egli sente crollare la propria identità e non riesce più a trovare un giusto equilibrio tra ragione e passione, tra corpo e anima. Il ragazzo “era di una bellezza perfetta – racconta la voce narrante del libro - Il suo viso, pallido e graziosamente chiuso, attorniato da ricci color del miele, col naso diritto, la bocca amabile, un’espressione di gentile e divina serietà, ricordava le sculture greche dei tempi più nobili, e accanto alla purissima perfezione della forma recava un fascino così unico e personale, che parve al riguardante di non aver mai veduto né in arte né in natura nulla di così felicemente riuscito…” . Aschenbach, in un primo momento, si rifiuta di riconoscere la sua omosessualità, l’attrazione erotica che prova nei confronti di quel ragazzo, non vuole ammettere a se stesso il fuoco interiore che lo divora; attribuisce a quel suo sentimento un puro richiamo estetico e contemplativo, persuadendosi  che la sensazione di benessere che prova osservando quella “visione divina” è simile al piacere che si verifica quando si crea un’opera d’arte o quando ci si trova dinanzi ad un capolavoro architettonico. Insomma il bellissimo Tadzio è un’opera d’arte vivente, una scultura che cammina e come tale lui l’ammira. Ma queste deboli scuse a difesa della sua stima personale e professionale, della sua intransigenza morale, in breve tempo crollano: l’anziano letterato, innamorato follemente dell’efebico ragazzo, finisce per favorire i suoi istinti deliranti, la sua ebbrezza sensuale e - pur di carpire un suo sguardo fugace – si trucca e si tinge i capelli per sembrare più giovane ai suoi occhi, lo pedina furtivamente, lo spia, lo insegue, si apposta per vederlo passare, lo cerca accaldato ed esausto per i vicoli di una Venezia oppressa dal caldo e dal contagio della peste che incombe….insomma, si copre di ridicolo, pur di attirare la sua attenzione, in un esasperato crescendo di cupa e autodistruttiva attrazione morbosa…”poiché la passione soffoca il discernimento e s’abbandona in buona fede a piaceri che la sana ragione giudicherebbe ridicoli o rifiuterebbe con fastidio”.
“La morte a Venezia” è un’opera letteraria di rara bellezza: elegante, delicata e malinconica si presta a innumerevoli chiavi di lettura. In essa troviamo le più straordinarie riflessioni sull’arte e sull’idea della bellezza; vi troviamo la passione che tutto travolge e il tempo che passa lasciando i suoi segni; vi troviamo la malattia e la morte, che si fondono in un connubio fatale con la bellezza. Il tutto amalgamato in una Venezia distante e decadente, con le sue calli anguste e la sua laguna torbida, popolata da figure di contorno inquietanti, alle prese con un’epidemia che miete vittime e che le autorità cercano di nascondere per non diffondere allarmismi. Thomas Mann ci spinge - con la sua prosa colta e raffinata - a tollerare un uomo che oggi verrebbe classificato come pedofilo, ci fa schierare a favore di un personaggio come Aschenbach nonostante i suoi immorali e indegni propositi. Solo la grande letteratura riesce a fare questi miracoli.

8 commenti:

  1. E' un capolavoro della letteratura che tu hai raccontato con chiarezza e rispetto.

    RispondiElimina
  2. Ho visto il film di Visconti, tratto dal libro di Mann. Una grande opera artistica.
    Piero

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io non ho visto il film, però ti posso consigliare il libro. Ciao Piero

      Elimina
  3. mi complimento per la chiarezza della tua recensione di cui condivido il contenuto.
    Il breve romanzo di Mann è la dimostrazione che la letteratura, e l'arte in genere, non può essere valutata col metro della morale o del costume, ma solo con quello dell'estetica.
    massimolegnani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per le tue generose parole. E' proprio così: la letteratura è l’unico strumento espressivo che ci consente di avere un incontro ravvicinato ed esclusivo con qualsiasi tipo di personaggio, fosse anche il più spregevole moralmente. E questo avviene senza alcun turbamento da parte nostra. A volte sono personaggi poco affidabili che di sicuro - se li dovessimo veramente conoscere nella realtà di tutti i giorni – difficilmente desidereremmo averli come amici. La grande letteratura è proprio quella che sa andare oltre i comportamenti e le miserie umane, è quella che sa celebrare la bellezza attraverso le parole: ed è questa che noi cogliamo quando ci imbattiamo in libri come "La morte a Venezia".

      Elimina
  4. Buongiorno esimio,
    sottoscrivo in toto il commento di Carlo Calati e la tua erudita risposta, lasciami però aggiungere una considerazione, oltre all'arte e la letteratura è il talento che rende indulgenti appassionati e fruitori. Lo vediamo anche nella storia recente, personaggi unici nel loro genere capaci di emozionare ai quali viene perdonata una disdicevole vita privata. Come giustamente scrivi, li amiamo artisticamente ma non li vorremmo come amici.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tads carissimo, buongiorno a te.
      Dici bene, un libro non basta per farci amare artisticamente un personaggio dalla dubbia moralità, se chi l'ha scritto non sa esprimere con le parole la bellezza di quel personaggio. Nella storia recente mi viene da pensare a Maradona: gli si perdonava tutto quando giocava a calcio. Ma lui era Maradona, un genio nel suo campo.

      Elimina