Facciamo di
tutto per essere infelici: è forse la cosa che ci riesce meglio. D’altra parte
i motivi non mancano mai: le ipocrisie della classe politica, gli effetti
deleteri del tran tran quotidiano, il traffico della grande città, la
spazzatura che ci sommerge, la crisi economica, gli anni che avanzano
inesorabilmente, il lento disfacimento del corpo, ecc.
Facevo queste
amare riflessioni mentre mi trovavo a gironzolare tra i banchi di un mercatino
dell’usato, illudendomi di trovare qualcosa che potesse scacciare dalla mente quel
mio temporaneo malumore. All’improvviso la mia attenzione è rivolta ad un
libro, dal titolo tutt’altro che appetibile: “L’infelicità – Storia di una
passione”. Considerato anche il mio stato d’animo, non sembrava affatto il
balsamo della situazione. E’ pur vero che se dovessimo soffermarci solo sul
titolo, certi libri apparirebbero autentici “mattoni” che non invogliano alla
lettura. A volte può capitare, infatti, che per una serie di motivazioni
psicologiche difficili da spiegare, o di pregiudizi duri a morire - che
probabilmente nascono dal tema trattato, ma anche dalla dimensione del volume -
almeno inizialmente si avverta una strana sensazione che ti fa pensare di non
riuscire a portare a termine certe letture. Nonostante queste premesse, l’ho
comprato senza indugi e a lettura ultimata mi viene da pensare che un libro ti
può dare felicità anche se parla di infelicità. E’ un po’ come leggere una
poesia di Leopardi, che sebbene contenga tutto il dolore di questo mondo,
riesce tuttavia a trasmettere gioia in chi la legge (almeno al sottoscritto),
grazie alla bellezza ed alla profondità dei versi e alla ricchezza delle
immagini che sa creare. E poi, se proprio vogliamo fare un discorso leggermente
egoistico: non esiste forse un sottile e cinico legame tra l’infelicità degli
altri e il nostro personale piacere? Tutte le tragedie familiari che vengono
trasmesse a puntate dai programmi televisivi, che generano angoscia e dolore in
chi le subisce, non sono forse liberatorie per chi le guarda con eccessivo e morboso interesse?
“L’infelicità”,
con quel suo sottotitolo che rimanda ad una passione, è un libro godibile,
delicato e accattivante, scritto con leggerezza ed ironia da Armando Torno,
giornalista e scrittore. Ci tiene a sottolineare l’autore che con questo testo
non intende approdare ad alcun risultato, né a dare consigli per debellare le
sofferenze che attanagliano l’umanità; tanto meno è sua intenzione
competere con i grandi del passato che si sono cimentati in dotte dissertazioni
su tale tematica. Perché l’infelicità, scrive Torno, “la proviamo, la
viviamo, la subiamo, ma non riusciamo però a conoscerla razionalmente”. E’
uno strano e impenetrabile sentimento che tutti i giorni “si incontra
con gli uomini, frequenta le loro case, indugia nei loro pensieri”. L’hanno
cantata i poeti, l’hanno raccontata gli scrittori, ne hanno discusso i sommi
filosofi dell’antichità. Tutti i grandi animi hanno incontrato l’infelicità,
chiamandola con nomi diversi e cercando di sconfiggerla, con le loro opere e
con il loro esempio, senza però riuscirci.
E’ ormai
risaputo, scrive l’autore, che l’infelicità aumenta di pari passo con la
civiltà; ma pare che esista anche uno stretto rapporto tra l’intelligenza e
l’infelicità. Nell’Ecclesiaste si legge “grande sapienza grande
tormento, più intelligenza avrai, più soffrirai”. Anche Arthur Schopenhauer
puntualizzava che “man mano che la conoscenza diviene più distinta e
che la coscienza si eleva, cresce anche il tormento, che nell’uomo raggiunge
quindi il grado più alto, e tanto più alto, quanto più l’uomo è intelligente;
l’uomo di genio è quello che soffre di più”. Sembrerebbe, quindi, che
la stupidità attenui l’infelicità e che non occorra particolare acume per
essere felici. Davvero una magra consolazione: l’idiota non sa nulla ed è
felice. Ma come si fa ad affievolire e combattere l’infelicità? Naturalmente non esiste un metodo
preciso; l’uomo ha bisogno del piacere, uno dei pochi anestetici contro il
dolore e le sofferenze che tanta infelicità gli procurano. Ma anche qui siamo
dinanzi ad un enigma – afferma Armando Torno – perché ci si chiede cosa sia
questo piacere che sa lenire i dolori dell’infelicità. A questo punto ci vengono
in soccorso i filosofi: Aristotele, Epicuro. Montaigne e tanti altri. Ha
scritto Eugenio Montale in Ossi di seppia che la nostra vita
si svolge al di qua di “una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di
bottiglia”. Per Armando Torno quella muraglia si può chiamare con un nome più
semplice: infelicità. Vale comunque la pena trarre giovamento da chi ha
sofferto e ha conosciuto l’infelicità, perché nessuno meglio di chi è stato
infelice può darci lezioni di quotidiana felicità.
L'infelicità va combattuta vivendo, perché è uno stato soprattutto mentale, più che fisico. Si può essere felici con molto poco, e tristi con tantissimo.
RispondiEliminaAd esempio leggerti con piacere procura felicità, di quella autentica. ;)
Grazie per le tue belle parole: ci siamo dati reciproca felicità :-)
EliminaUn post straordinario un vero mini saggio sul tema. Ho amato il tuo post tantissimo ed anche questo è stato un modo per godrete di un momento di felicità.
RispondiEliminaSei troppo buono, Daniele. Grazie. Come diceva Franco, sopra, basta davvero poco per essere felici:un sorriso, una gentilezza, un commento positivo ad un post...
Eliminaaffascinanti le tue riflessioni nel presentare questo saggio.
RispondiEliminasono un cercatore di piccole felicità, le uniche che ci sono concesse e ogni volta che le trovo mi accorgo che queste sono rivestite da una patina di malinconia (perchè fugaci, perchè esterne alla vita quotidiana, perchè legate a una tristezza altrui) che le fanno assomigliare a piccole infelicità.
massimolegnani
Grazie, Carlo. Apprezzo molto i tuoi commenti, perché aggiungono sempre qualcosa di nuovo alla riflessione e la rendono migliore. Quando parli di piccole felicità "legate a una tristezza altrui" - rimanendo nel campo artistico - mi vengono in mente alcuni dipinti di Hopper da cui traspare la solitudine dell'uomo (che poi è anche la nostra) celata dietro le cortine delle finestre, lungo una strada assolata di periferia o in una stazione ferroviaria. Ebbene, nonostante l'artista ci parli di tristezza e sveli quella patina di malinconia nascosta nelle pieghe della vita di tutti i giorni, noi osservatori (tu diresti noi cercatori di piccole felicità), ne traiamo conforto tant'è che quella "tristezza altrui" dipinta sulla tela, come per magia, diventa la nostra felicità. La nostra gioia momentanea.
RispondiEliminaforse perché sto vivendo un periodo particolarmente triste e infelice della mia vita, il tuo post mi ha accarezzato un po’ l’anima.
RispondiEliminagrazie
Grazie a te, Nina, e benvenuta qui. Che dirti...se le mie parole sull'infelicità hanno sortito un effetto positivo sul tuo animo, non posso che esserne felice. Un sorriso
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