Ricordo
di essermi accostato - per la prima volta - allo scrittore Raffaele La Capria
leggendo quel suo bellissimo libro che si intitola “L’estro quotidiano”: pagine
autobiografiche di grande intensità emotiva che mi svelarono un autore straordinario, un napoletano colto e
raffinato, una figura di primissimo piano nel panorama della letteratura
contemporanea italiana. Ed è proprio sulla scia di quella piacevole lettura che
ho iniziato a leggere “Ferito a morte”. Devo dire, però, che il libro mi ha un
po’ deluso: mi aspettavo altro. Tuttavia, se non sono riuscito ad apprezzarlo come
si deve, la colpa non può essere che mia. Può anche darsi che il romanzo meriti
una rilettura, da farsi in un momento
diverso.
Ambientato
in quella Napoli a lui tanta cara “che ti
ferisce a morte e ti addormenta, o tutt’e due le cose insieme”, questo
romanzo - che si aggiudicò il premio Strega nel 1961 – ripercorre la storia di
Massimo de Luca, un giovane della Napoli “bene” – probabilmente alter ego
dello scrittore – il quale rievoca, attraverso un susseguirsi di ricordi e di
immagini tra il sogno e la realtà, tra il presente e il passato, le sue vicende
esistenziali, i suoi fallimenti e le sue “occasioni mancate” sullo sfondo di
una Napoli assolata e luminosa a cavallo tra la seconda guerra mondiale e gli
anni cinquanta. E sembrano proprio le occasioni mancate, il tema dominante del
libro, quelle occasioni che i napoletani, storicamente, non hanno mai saputo
cogliere per il proprio riscatto sociale, così come il protagonista non sa
cogliere l’amore per la bella Carla Boursier.
La
storia non presenta un vero e proprio intreccio narrativo; mostra invece,
almeno nella prima parte - che io ho trovato alquanto noiosa - una serie di
istantanee all’interno delle quali si sovrappongono in cerchi concentrici, tra il
passato e il presente, le passioni e le speranze, i dubbi e le certezze, i vizi
e le virtù di una moltitudine di personaggi dalla spiccata napoletanità.
D’altra parte, La Capria, napoletano doc, è molto bravo nel far percepire gli
odori della sua Napoli, gli odori di una bella giornata, gli odori del caffè,
come solo certi napoletani sanno fare, gli odori ed i rumori del mare, tutto
ciò raccontato con una vena di struggente nostalgia. La
Capria racconta inoltre quella Napoli che “cerca
l’assoluzione da ogni condanna” e dipinge, attraverso i suoi caratteristici
personaggi “il napoletano che vive nella
psicologia del miracolo, sempre nell’attesa di un fatto straordinario tale da
mutare di punto in bianco la sua situazione....con la sua antitesi di miseria e
commedia, di vita e teatro”. Spinge il suo sguardo, con occhio ironico e a
volte compiacente e complice,
sull’odiata classe media, causa e origine di tutti i mali del sud, perché a “qualsiasi partito appartenga il
cavaliereavvocatocommendatore resta, e rimesta sempre nel solito impasto
d’imposture”. Naturalmente
c’è una spinta ad evadere da questo mondo, tanto che il protagonista lascia
Napoli, per trasferirsi a Roma. Ma il richiamo per la città partenopea è troppo
forte, tant’è che nei suoi ritorni lui ripercorre quei momenti che l’avevano
visto protagonista, insieme a tutti quei personaggi che ora ritrova invecchiati
e stanchi, non più all’altezza delle gesta del passato.
Richiami spesso libri di cui non so nulla.
RispondiEliminaSono proprio una capra!
Sorrido...capre sono il 60% degli italiani che non leggono neanche un libro all'anno. Tu invece - da quel poco che so - sei una lettrice infaticabile che divora libri dalla mattina alla sera. a volte, diversi da quelli che legge il sottoscritto. Ognuno ha le sue preferenze e le mie non sono certamente superiori alle tue. Ci mancherebbe! E poi, diciamocelo: in questo paese si pubblicano troppi libri, spesso inutili, che intasano solo le librerie
EliminaLibro del 1961, quindi autore capace di leggere il futuro del Paese da quei dati legati al sud (ma oramai estesi a tutta la penisola italica) che già il presente gli forniva.
RispondiEliminaE' proprio così, Daniele. Ciao
Elimina