“Oggi il novanta per cento
delle mostre d’arte figurativa non è un’impresa intellettuale, ma è solo
un’impresa commerciale, il prodotto di una fiorentissima fabbrica degli eventi,
che non ha lo scopo di educare, ma quello di far soldi”.
Lo afferma il prof. Tomaso
Montanari, storico dell’arte tra i migliori in Italia (che io vedrei molto bene
come Ministro per i Beni Culturali in un futuro governo), in un suo recente
saggio che si intitola “Le pietre e il popolo”, con sottotitolo “Restituire ai
cittadini l’arte e la storia delle città italiane”. Secondo il prof. Montanari questo
strano sistema di far conoscere l’arte in Italia attraverso “la fabbrica degli
eventi” è sponsorizzato, in primis, da soprintendenti e politici poco corretti
e poi da sedicenti associazioni pseudo-culturali, in cerca di visibilità, che
gravitano intorno ai musei più importanti del nostro Paese. Ma per sostenere
realmente il patrimonio storico-artistico (che sempre più spesso cade a pezzi
sotto i nostri occhi) non sono tanto necessari i soldi e le leggi – sostiene
ancora Montanari – quanto le competenze e le capacità di chi è preposto a
custodire e valorizzare tale patrimonio. Patrimonio, poi, che dovrebbe stare
alla larga dalle invadenze politiche, mentre oggi viene soggiogato da una
classe politica, sempre più avida e incolta. L’arte, con i suoi monumenti, i
suoi dipinti, le sue sculture, le sue bellezze deve essere – scrive Montanari
nel suo libro - “uno strumento di
educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale” e pertanto appare
assurdo far pagare un biglietto a chi vuole entrare in una chiesa (vedi Santa
Croce e Battistero di Firenze), oppure ridurre un museo ad una sorta di mercato
affittandolo a dei privati per organizzarvi una sfilata di moda. Il museo, che è
il luogo della memoria storica di un paese, ha il compito di educare alla
bellezza ed alla civiltà e dovrebbe, quindi, essere sottratto al potere del
mercato. La messa in scena di eventi a getto continuo nelle principali città
d’arte, spesso con la rappresentazione di soggetti artistici non legati
storicamente tra di loro, è diventato il principale obiettivo delle soprintendenze
e degli enti locali, che celebrano la retorica menzognera delle “emozioni”,
illudendo così i cittadini e facendo loro credere che si possa godere dell’arte,
senza conoscenza e senza nessuno sforzo intellettuale. Questa è l’industria
culturale che “sta trasformando il patrimonio storico e artistico della nazione
italiana in una Disneyland che forma non cittadini consapevoli, ma spettatori
passivi e clienti fedeli”.
L’arte - ci ricorda infine il
prof. Montanari - non deve trasformarci in turisti ma deve renderci cittadini,
migliori e responsabili. E ciò può avvenire a condizione che le nostre città
d’arte, i nostri musei non diventino “templi del mercato” dove poter vendere
prodotti slegati dal contesto storico, ma siano luoghi di conoscenza, di
riflessione, di approfondimento. E luoghi di cittadinanza.
onestamente sono perplesso. da una parte condivido la maggior parte delle considerazioni del professor Montanari, dall'altra percepisco nelle sue parole un certo assolutismo utopico. Vorrebbe un'arte incontaminata dal denaro e dal "provincialismo culturale" delle masse. Un'arte arroccata nella correttezza dei percorsi culturali privi di scorciatoie e di facili richiami per le folle.
RispondiEliminamassimolegnani
Non credo che Montanari sia un sostenitore dell'arte per le elites in contrapposizione all'arte per le masse. No. E' proprio il contrario. Per lui l'arte è di tutti. E proprio perché è un bene comune, non può e non deve diventare un bene di mercato; il mercato forma clienti, non cittadini informati. A volte si costruisce un "evento", gestito da privati (che si arricchiscono), intorno ad un artista i cui dipinti potrebbero essere facilmente ammirati, senza pagare un biglietto, se la gente sapesse dove trovarli e fosse leggermente informata. A Roma, per esempio, esiste un ciclo pittorico del Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi, che non tutti conoscono. Se, invece, viene allestita a Roma una mostra su Caravaggio, subito parte la grancassa mediatica per far conoscere "l'evento". E la gente corre a fare la fila. Ma può anche succedere che una star come Madonna venga in Italia (giugno 2012) e per poter visitare gli Uffizi, gli stessi vengano chiusi al pubblico affinché la "divina" non abbia tra i piedi "il popolo italiano" a cui appartengono. Ecco, il prof. Montanari mette in discussione questo modo di fare arte che non ci aiuta a diventare cittadini, ma ci rende clienti passivi. Ciao Carlo. Un caro saluto.
EliminaConcordo sul principio che sanscice l'autore, non penso però che ci siano così tante mostre "nazional-popolari" ma forse solo strutturate in maniera più moderna. Al Ducale di Genova ci sono state tante mostre importanti (Munch, la Kahlo, Picasso al momento) e non mi pare siano state o siano "imprese commerciali".
RispondiEliminaIl problema è che se la gente corre alla mostra e fa la fila per partecipare all'evento mediatico, e poi non entra mai in un museo - dove magari potrebbe trovare gli stessi capolavori - una riflessione certamente si pone. Hanno recentemente fatto una mostra sul "ritorno al barocco" spendendo molti soldi, mentre i tanti capolavori barocchi che si trovano nelle chiese o l'architettura barocca di tante nostre città d'arte cadono letteralmente a pezzi. Questo, per dire, che preferiamo gli "eventi commerciali" alla manutenzione del patrimonio. Così come preferiamo - ma questo è un altro discorso - le grandi opere alla manutenzione del territorio. Grazie per il tuo commento, Daniele.
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