martedì 28 novembre 2017

L'assassino nascosto in ognuno di noi



Non riesco a seguire le tante storie di omicidi di cui si occupano quotidianamente tutti i mezzi di informazione, tantomeno sono attratto dai libri polizieschi, rientranti nella cosiddetta “letteratura gialla” . I serial killer, i morti ammazzati, i commissari di polizia, gli indizi per scoprire l’assassino, non mi hanno mai appassionato. Per me la letteratura è altro.
Tuttavia, avevo trovato su un banchetto dell’usato, tempo fa, un romanzo di George Simenon - il principe dei giallisti - che si intitola “L’uomo che guardava passare i treni”, nella bella edizione “la biblioteca di Repubblica”. Ricordo che mi aveva colpito innanzitutto quel titolo che evocava il treno e - da buon ex dipendente delle Ferrovie dello Stato - lo presi senza indugio, salvo poi abbandonarlo tra quelli che aspettano di essere letti. Finalmente mi sono deciso, grazie anche ai consigli di un amico blogger, lettore entusiasta e impenitente dello scrittore belga, l’inventore del famoso Commissario Maigret. Quest’ultimo, però, non ha nulla a che vedere con il libro di cui parlo. Simenon, ne “L’uomo che guardava passare i treni” ha posto al centro dell’analisi un altro protagonista della sua sterminata produzione letteraria: Kees Popinga. Costui è un agiato quarantenne olandese che vive in una bella casa a Groninga “una cittadina casta” dove lavora come impiegato in una ditta di forniture navali. E’ sposato ed ha due figli, conduce una vita normalissima ed abitudinaria - praticamente casa e ufficio - non beve alcolici, va a letto presto, si concede una partita a biliardo di tanto in tanto e non ha mai tradito sua moglie, tranne che col pensiero. Le sue fantasie erotiche inconfessabili, infatti, sono segretamente rivolte alla moglie del suo datore di lavoro, oltre che a Pamela, una formosa prostituta della zona. Però non ha mai avuto il coraggio di andare oltre. “L’umiliazione più grande, per Kees – dice la voce narrante del libro - era di non aver mai osato”. Il massimo della sua dissolutezza, se così si può dire, il nostro personaggio la provava ogni qualvolta vedeva passare un treno nella notte, con i vagoni letto, le luci abbassate e le tendine calate sul mistero dei viaggiatori: in quel momento percepiva una sorta di furtiva emozione - di cui quasi si vergognava – fino a turbarlo, nell’immaginare chissà quali storie licenziose si potessero nascondere dietro quelle tendine di quel treno che sfrecciava nel buio della notte.

Questo tran tran quotidiano durava ormai da circa quindici anni e da altrettanti, sia Kees che la moglie, “erano irrigiditi negli stessi atteggiamenti”. Nulla pareva cambiarli e scuoterli da quell’immobilismo. Lui si compiaceva della sua immagine dignitosa e impassibile di buon olandese e di buon padre di famiglia sicuro di se, andava fiero della sua onorabilità e della sua virtù. Tanto che “…avrebbe scrollato le spalle se gli avessero detto che la sua vita sarebbe cambiata di punto in bianco, e che quella fotografia sulla credenza, che lo ritraeva in piedi tra i familiari, una mano distrattamente poggiata sulla spalliera di una sedia, sarebbe stata riprodotta da tutti i giornali d’Europa”. Ma spesso l’imponderabile è dietro l’angolo e, nella fattispecie, si manifesta, all’improvviso, con il fallimento della ditta in cui lavora che pone il protagonista del libro di fronte alla prospettiva di un suo inevitabile tracollo economico; pensiero, questo, che lo sconvolge e gli fa perdere completamente la testa. Allora, Popinga abbandona la famiglia, ammazza la prostituta Pamela  perché, alla sua richiesta, lo aveva deriso e fugge a Parigi con un treno della notte, dove inizia un lungo vagabondaggio per le strade della città, in mezzo alla folla che gli passa accanto ignara, sfidando la polizia e scrivendo lunghe lettere ai giornali per raccontare la sua verità e smentire le false notizie riportate dagli stessi giornali. “Non sono né pazzo né maniaco – scrive in una di queste lettere – solo che a quarant’anni ho deciso di vivere come più mi garba senza curarmi delle convenzioni né delle leggi, perché ho scoperto un po’ tardi che nessuno le osserva e che finora sono stato gabbato”.
“L’uomo che guardava passare i treni” si è rivelato un ottimo romanzo, scritto con una prosa chiara ed essenziale, con tempi di attesa e di suspense molto efficaci. La cosa che sorprende è che la narrazione si allontana dallo schema classico del giallo, dove immancabilmente si è in presenza di un omicidio e non si conosce l’assassino. In questo libro, invece, l’assassino lo conosciamo subito, fin dalle prime pagine, e su di lui si concentra tutta l’attenzione dello scrittore e la sottigliezza della sua analisi psicologica nel descrivere i mostri ed i fantasmi che lo divorano. Ne viene fuori un personaggio memorabile, dalle molteplici sfaccettature, che si lascia osservare e giudicare con distacco e disincanto, a volte quasi con benevolenza e mai con orrore, nonostante abbia commesso un delitto e ne abbia tentato un secondo. Un personaggio, quello uscito dalla penna di Simenon, che fa riflettere sugli abissi più reconditi della psiche umana e ci accompagna in un finale velato di struggente malinconia.

8 commenti:

  1. dal mazzo della sua sterminata produzione hai pescato una delle carte migliori. Tra l'altro il libro è ben rappresentativo del Simenon romanziere, assai diverso, a mio parere, dal S. giallista.
    nei romanzi il nostro autore fa prevalere sulla trama noir l'osservazione, attenta e benevola, dei suoi personaggi che ci mostra non col piglio severo del giudice ma col distacco indulgente dello psicologo a cui preme più il perchè del che cosa ha fatto il protagonista.
    felice che ti sia piaciuto
    massimolegnani

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    1. Credo che mi sia piaciuto perché il libro si allontana dal "giallo" tradizionale, per concentrarsi sugli aspetti psicologici dei suoi personaggi, con particolare riguardo al protagonista. Questo mi conferma che la trama noir - fatta di indizi, di commissari di polizia, di indagini e depistaggi per confondere il lettore - è un genere che non mi appartiene. Pertanto io preferisco, al Simenon giallista, il S. romanziere che scruta l'uomo piuttosto che le sue nefande azioni. Grazie e un saluto.

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  2. la sottile perversione nell'immaginare incontri sessuali consumati nei vagoni letto di un treno in corsa è roba sopraffina, intendo psicologicamente parlando. Spesso gli aspetti più belli di un libro sono flash casuali rubati alla vita ma, altrettanto spesso, sono frutto di approfonditi studi e impegnative ricerche. Ottima recensione, come sempre.

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    1. Grazie per le tue belle parole, Tads. E' vero quello che dici: il mondo dell’immaginazione, a volte, è un vasto territorio gratificante, dove puoi ottenere quello che non trovi nel reale. L’immaginazione ti porta dappertutto e ti permette di vedere l’invisibile. Ma per immaginare bisogna avere anche una discreta intelligenza. Diceva Victor Hugo che l’immaginazione è l’intelligenza con un’erezione. Pensiero, questo, che si attaglia molto bene al personaggio del libro ed alle sue fantasiose perversioni erotiche :-)

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  3. Le tue recensioni sono come un romanzo nel romanzo, un racconto di cui ci si beve ogni parola fino in fondo.

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    1. Sono compiaciuto per le tue belle parole, Daniele. Sei troppo buono e ti ringrazio davvero... :-)

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  4. Simenon non ha mai sbagliato un libro, e questo è uno dei migliori. Ricordo il momento preciso della mia vita in cui lessi questo libro, le emozioni che avevo in quel momento, tutto.

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    1. Questo è il mio primo libro di Simenon: mi è piaciuto.

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