“Può
anche apparirti del tutto diverso, da adulto, un posto che amavi da ragazzino,
e rivelarsi una delusione; oppure può ricordarti quello che non sei più e
metterti addosso una gran tristezza”
Tra le mie letture preferite
ci sono molti libri che hanno vinto premi importanti, quali lo Strega e il
Campiello. Sono opere di autori che hanno lasciato un’impronta significativa
nella nostra letteratura, autori con i quali sono cresciuto e mi sono formato.
Penso a Pavese, a Moravia, alla Morante, a Tomasi di Lampedusa, a Calvino, a
Cassola, a Petroni, a Silone, a Tabucchi…Tanto per fare qualche nome. Devo
dire, però, che da un po’ di tempo a questa parte, l’assegnazione di tali ambiti
riconoscimenti si ispira più a criteri commerciali che letterari, tant’è che
difficilmente mi lascio irretire dall’uscita dell’ultimo “capolavoro”,
vincitore di questo o quell’altro premio. Non leggere il libro del momento -
che di solito decora le vetrine di tutte le librerie - può addirittura apparire
come una forma di snobismo o insofferenza per il bestseller, tuttavia ritengo
che a volte un romanzo debba maturare e aspettare tra gli scaffali, perché in
letteratura e, in particolar modo nel mondo editoriale, nessun giudice è più
giusto e veritiero del tempo.
Devo dire, però, che così non
è stato per il romanzo di Paolo Cognetti “Le otto montagne” (Einaudi editore), vincitore
dell’ultimo Premio Strega. L’ho letto la scorsa estate, a pochi giorni dalla
sua pubblicazione, con discreto gradimento. E’ un libro che si allontana dalle
mode editoriali e letterarie oggi vigenti. Ricordo che ero rimasto
particolarmente colpito dalla semplicità e dalla timidezza di questo giovane scrittore
milanese, dall’indole solitaria - non ancora quarantenne - il quale,
durante una sua intervista televisiva, raccontava di come un bel giorno,
stanco della vita di città, avesse deciso di trasferirsi in una baita a duemila
metri di altezza, lontano dal caos, dalle macchine e dagli uomini. Era
cresciuto in montagna, la sua palestra di vita: almeno fino ai vent’anni era
stato il luogo dell’estate dove si liberava di tutte le regole e tornava in uno
stato quasi selvatico, per lui sinonimo di libertà e di felicità “Se uno va a stare in alto – scrive nel
libro - è perché in basso non lo lasciano
in pace”. Insomma, aveva scelto una vita da eremita, con due sole fidate presenze
a vigilare sulla sua sicurezza: la scrittura e la montagna. La scrittura – come
diceva Pavese – ti permette di parlare da solo e, contemporaneamente, di
parlare ad una folla; la montagna, invece, ti fa apprezzare il silenzio, ti spinge
a cercare una dimensione più umana, ti invita a conquistare la sua vetta, ti
costringe a governare le tue paure. E, sempre la montagna, sembra volerti
accogliere, come se uno fuggisse in alto dalle cose che lo tormentano in basso.
Sapeste quante volte anch’io ho immaginato di isolarmi in un simile contesto! Poi,
finisco soltanto per fuggire nel mondo dell’immaginazione, che è pur sempre un
vasto territorio gratificante, dove il rischio di essere inseguiti è davvero
minimo.
Il libro di Cognetti racconta,
con una prosa essenziale e, direi, con ritmi estremamente lenti - come si
conviene ad una storia ambientata in alta montagna - l’amicizia autentica e
genuina tra due ragazzi della stessa età (che diventeranno poi uomini) i quali,
pur nella loro apparente diversità (Pietro è un ragazzino di città, solitario e
scontroso, Bruno, invece, vive quasi allo stato selvatico pascolando le vacche
tra i monti), si ritrovano tutte le estati in un piccolo paese ai piedi del
monte Rosa (Grana), dove i genitori di Pietro, appassionati di montagna (si
sono conosciuti e sposati sulle pendici delle Tre Cime di Lavaredo), amano
trascorrere le vacanze estive. Ma il libro racconta anche il controverso rapporto,
a volte competitivo, tra un padre e un figlio. “Sapevo una volta per tutte – dice il protagonista – di
aver avuto due padri: il primo era l’estraneo con cui avevo abitato per
vent’anni, in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il
padre di montagna, quello che avevo intravisto eppure conosciuto meglio, l’uomo
che mi camminava alle spalle sui sentieri, l’amante dei ghiacciai…” Un testo autobiografico che può essere letto, oltre
che come un romanzo di formazione, anche come un invito a guardare il mondo con
occhi differenti. “Si può dire che abbia
cominciato a scrivere questa storia quand’ero bambino – scrive Cognetti – perché è una storia che mi appartiene quanto
mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni, quando mi chiedevano di
cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna. Sì, parla proprio
di questo”.
Salve Remigio, avrei bisogno di inviarti un messaggio privato. Posso avere una tua e-mail?
RispondiEliminaEccola: remigiomontestella@gmail.com
RispondiEliminanello stesso periodo dell'intervista televisiva, avevo letto un lungo articolo (su Repubblica) su questo giovane scrittore in eremitaggio montano. Ricordo che ebbi l'immediata sensazione che gli stessero tirando la volata, cioè gli stessero facendo un battage pubblicitario studiato a tavolino (non pensavo allo Strega, ma genericamente a un lancio concordato con la casa editrice). Nonostante questi pensieri comprai il libro, incuriosito dai luoghi dell'ambientazione che conoscevo bene.
RispondiEliminal'ho trovato un romanzo dagli indubbi pregi (la limpidezza dei temi: il rapporto padre-figlio, l'esaltazione dell'amicizia che supera le rivalità amorose e le differenze culturali, la montagna come luogo simbolo di solitudine e di natura incontaminata) e da qualche difetto (tutta la divagazione sulle montagne nepalesi è stonata, ingenua nella contrapposizione, e sembra inserita solo per giustificare il titolo). Forse non è da Strega ma è sicuramente un romanzo valido.
massimolegnani
Sono d'accordo con la tua analisi. Quel richiamo alle montagne nepalesi, anch'io, l'ho trovato fuori luogo. Nel complesso, però, il romanzo merita una lettura. Grazie Carlo. Un saluto
EliminaGrazie d'avermelo ricordato, me n'ero dimenticata!
RispondiEliminaPasserò in libreria.
Sempre belle le tue segnalazioni
Grazie Sabina, sei molto gentile
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