La Sicilia è di sicuro la patria di
alcuni grandi scrittori della nostra letteratura. Tra questi vorrei ricordarne
uno che – sebbene oggi risulti ingiustamente dimenticato dagli editori e dalla
critica – io considero tra i più interessanti del ‘900, un autore che meriterebbe
una più attenta considerazione, anche da parte dei lettori più giovani. Mi
riferisco a Ercole Patti, il cui percorso
umano e letterario si svolse tra Catania (dove nacque nel 1903) e Roma, che lo
accolse giovanissimo e dove si spense nel 1976. Si narra che la sua più grande
aspirazione fosse quella di andare a vivere proprio a Roma e quando finalmente
realizzò questo suo intimo desiderio, lo scrittore siciliano così ebbe a
scrivere: "andavo vagando per le
strade giornate intere, non mi stancavo di respirare l’aria di Roma a tutte le
ore. I sedili del Pincio erano le mie soste preferite nella tarda mattinata e
nelle prime ore del pomeriggio. Con un giornale in mano mi sedevo accanto a qualche
busto di marmo e il mio cervello partiva in quarta sognando libri da scrivere,
novelle da pubblicare sui giornali romani dove non conoscevo nessuno”.
“Un amore a Roma” è uno dei suoi romanzi, certamente non quello più
importante, che ho appena finito di leggere. E’ un testo fuori produzione: l’ho
scovato sui banchi di un mercatino delle occasioni, nella sua prima e
bellissima edizione del 1956 (editore Bompiani – Lire settecento). I protagonisti
del romanzo sono due giovani caratterialmente molto diversi (Marcello e Anna)
che, pur vivendo il loro rapporto amoroso in maniera alquanto burrascosa (tra
sospetti, tradimenti e continue separazioni), non riescono tuttavia a rompere
in maniera definitiva un legame che li fa apparire inadatti a stare insieme. Lui
– giornalista con velleità artistiche e letterarie - ha 35 anni e appartiene ad
una aristocratica famiglia romana. Amante delle donne, è incapace di legarsi in
una vera e propria relazione e si accontenta sempre di piccole avventure
passeggere “dopo poco tempo che conosceva
una donna scopriva in lei delle cose che non andavano. Le donne erano sempre o
troppo noiose, o attaccaticce o troppo civette, o amavano delle cose che lui
detestava. Talvolta erano troppo intellettuali e dicevano cose irritanti, oppure
troppo stupide e volgari”. Lei, invece, è una ragazza veneta semplice e
spregiudicata di 22 anni, ha vinto un concorso cinematografico e si è quindi trasferita
a Roma dove fa l’attrice, anche se ha avuto solo delle parti secondarie in alcuni
film. Vive in una modesta pensione nel quartiere Prati, è attratta da qualsiasi
novità e spesso si comporta con leggerezza. Soprattutto con gli uomini. Intorno
ai due protagonisti del romanzo, alle prese con la loro tormentata vicenda
sentimentale, gravitano altri emblematici personaggi i quali, seppure complementari
rispetto alla storia, sono rappresentativi di quella borghesia romana degli
anni cinquanta, corrotta e disinvolta, attaccata egoisticamente al denaro, interessata
soprattutto a salvaguardare se stessa. Spicca la figura del padre – il Conte
Cenni - con il suo “profilo navigato che
esprimeva nobiltà e servilismo al tempo stesso”, guardia nobile del Papa. Costui
suole circondarsi di amici influenti che si erano dati molto da fare durante il
fascismo occupandosi sempre di politica, quali ex deputati, assessori, liberali
di estrema destra e monarchici, proprietari terrieri, avvocati e notai, a loro
volta amici di prelati e cardinali con vaste conoscenze negli ambienti
vaticani. “Quegli uomini che avevano
vissuto troppo – scrive l’autore - per
non essere stati immischiati nel passato in qualche pasticcio talvolta soltanto
di rimbalzo: scandali lontani sparsi negli anni”. A questa vacua società
borghese, avida e corrotta si contrappone – da una parte - il mondo intellettuale
a cui appartiene Marcello, fatto di scrittori e letterati “dalla prosa aulica e imbalsamata”, interessati non tanto a
scrivere un proprio libro quanto a stroncare quello scritto da altri e “in quelle esecuzioni in massa, fatte senza
discriminazione, essi trovavano qualche conforto ai loro sogni letterari
rientrati”. E dall’altra parte ritroviamo il mondo artificioso del cinema e
del varietà in cui si identifica Anna, un mondo legato alle sue finzioni, alle luci
del palcoscenico, alle sue fatue apparenze. E sullo sfondo domina la Roma degli
anni ‘50, quasi a proteggere amori e misfatti che si consumano entro le sue
mura, la città eterna non ancora stritolata dal traffico e non ancora sommersa
dai rumori e dalla sporcizia, ma già attaccata dalla corruzione; la Roma con i
suoi severi e malinconici “casoni” senza negozi del quartiere Prati e con i bei
palazzi storici del centro, con le botteghe di artigiani, con l’allegria e l’accento
dei suoi abitanti, con le sue sempre tiepide stagioni e con i suoi sapori.
Quella Roma che Ercole Patti tanto amava e che conosceva in tutte le sue ore e
in tutte le sue strade.
Il romanzo si legge tutto d’un
fiato perché la narrazione si presenta gradevole, fluida, con spruzzi di
delicata e sottile sensualità. Ma non potrete mai leggerlo perché il libro è
fuori catalogo: gli editori, oggi, preferiscono rincorrere altre storie, forse
meno belle e scritte pure male, ma senz’altro più redditizie.
penso che trasposto ai nostri tempi (Anna sarebbe una velina, Marcello un intellettuale poco profondo) la cornice romana di fasti e bassezze sarebbe poco diversa.
RispondiEliminami piace il tuo ravanare per mercatini a riesumare libri dimenticati e rispolverarli per noi.
massimolegnani
Ciao Carlo. Hai proprio ragione: i tempi cambiano e con loro anche certi personaggi che riflettono, nella maggior parte dei casi, le bassezze dei tempi. Si, mi piace molto andare per mercatini - come dici tu - "a riesumare libri dimenticati". E devo dire che a volte riesco a trovare sorprese e novità proprio tra le cose vecchie del passato. Buona serata.
EliminaConfesso la mia ignoranza. Mai sentito nominare questo scrittore. E mai questo libro.
RispondiEliminaSorrido...Se dovessimo confrontare le nostre "povere" conoscenze con la moltitudine di libri pubblicati, saremmo tutti una massa di ignoranti. Comunque Ercole Patti era uno scrittore abbastanza noto (almeno ai suoi tempi), grande amico di un altro grande siciliano, Vitaliano Brancati, quest'ultimo forse più conosciuto. Il problema è sempre quello: non vengono più pubblicati perché gli editori rincorrono sempre le cosiddette "novità". Mi piacerebbe vedere in vetrina, passando una bella mattina davanti ad una libreria, la ristampa di un libro di Ercole Patti anziché l'ultima opera di Fabio Volo e le ultime ricette della Parodi. Ma so che questa visione non si verificherà mai!
EliminaNon lo so se certe strade editoriali siano piu'redditizie, pero'di ristampare certe opere, si dovrebbe far carico il Mibact. Un gran libro non letto, e'un capolavoro in cantina.
RispondiEliminaPer un editore, è molto più redditizio stampare il libro di un personaggio famoso anziché quello di Ercole Patti...ciao
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