Io credo che nessun altro libro si
presti a così tante interpretazioni come
“Bartleby lo scrivano” di Herman
Melville. E’ una figura davvero enigmatica quella che esce dalla penna dello
scrittore statunitense, che rimanda al teatro dell’assurdo ed ai suoi
strampalati personaggi. Penso a Vladimiro ed Estragone ed ai loro assurdi
comportamenti descritti da Beckett nella sua opera più famosa “Aspettando Godot”. Penso a Meursault, l’assurdo
personaggio di Camus nel romanzo “Lo
straniero” - anch’egli impiegato
come Bartleby – che vive nella più completa apatia verso se stesso e il mondo,
il quale dopo aver ucciso una persona senza motivo, viene condannato in un
contesto inquietante ed irreale. E come non ricordare “Il processo” di Kafka il cui protagonista, impiegato pure lui - quasi
a voler significare che la categoria degli impiegati sia quella più idonea a
raffigurare l’assurdità degli atteggiamenti dell’animo umano - viene accusato,
arrestato e processato per motivi misteriosi ed incomprensibili e finisce per
accettare la condanna per una colpa non commessa e persino ignorata.
Di Bartleby sappiamo solo che è un
copista (ci troviamo nella seconda metà dell’Ottocento) e che lavora alle
dipendenze di un avvocato commercialista, incettatore di titoli azionari a Wall
Street, la cui figura – come viene descritta dal suo datore di lavoro - è “scialba nella sua dignità, pietosa nella
sua rispettabilità, incurabilmente perduta”. A prima vista appare come un
lavoratore instancabile, che non si concede mai una pausa, copiando sia con la
luce del sole che al lume di candela, sempre chino sui suoi documenti in
assoluto silenzio, che ha fatto dell’ufficio in cui lavora la sua casa e la sua
permanente dimora, nutrendosi solo di biscotti allo zenzero. Ma guai a
chiedergli qualcosa, perché lui risponde sempre con la solita frase: “avrei preferenza di no”. Non esce altro
dalla sua bocca, si rifiuta di fare qualsiasi cosa gli venga richiesta, che non
sia il suo abituale lavoro. L’avvocato – che nel libro è la voce narrante -
riavutosi dall’iniziale sbigottimento, lo accetta così com’è, pur provando nei
suoi confronti sorpresa e sconcerto, sino a rendersi docile complice delle sue
stranezze. E’ veramente disarmante, quel rifiuto, quella passiva resistenza
agli ordini, quel chiudersi nel suo riserbo subito dopo aver manifestato la sua
volontà di astenersi da ogni impegno, attraverso quell’unica frase usata come
un ritornello, pronunciata sempre al condizionale con garbo e con gentilezza,
quasi a scusarsi per quel suo desiderio di rinuncia.
Bartleby incarna, a mio modo di
vedere, il paladino della ribellione, colui che combatte il potere coercitivo
dominante. Il suo modo di fare e di comportarsi rompe un equilibrio consolidato
dalle regole e dalle abitudini. La sua è una sfida muta contro il mondo che lo
circonda, la sua arma micidiale è rappresentata dal suo diniego : “avrei preferenza di no” che senza
scomporsi, con grande tranquillità, afferma ogni qualvolta il suo capo intende
far prevalere la sua volontà, i suoi ordini. E’ una frase, quella pronunciata
da Bartleby - nell’impassibilità del suo contegno - che sconvolge e disarma
nello stesso tempo l’interlocutore, il quale finisce per adattarsi a quel
misterioso potere che esercita lo strano copista da cui non riesce del tutto a
sottrarsi, fino a diventare la sua ossessione, il suo incubo.
In un’America sempre più
affaristica, il comportamento di Bartleby appare molto vicino alle tesi
sostenute da David Thoreau, il ribelle per antonomasia, il precursore della
disubbidienza civile, che descriveva un’America diversa, distaccata e
serena, non incalzata dal consumo e dalla produzione industriale; un paese in
cui non tutto poteva essere tradotto in denaro, che condannava l’iperattivismo
del mondo del lavoro, pienamente convinto che la volontà di dominio sugli uomini
non rappresentava l’unico scopo della vita.
Con il suo bizzarro personaggio,
Melville sembra voglia anche proiettarci
in un mondo quasi surreale, dove si è liberi di fare o non fare, di
avere un determinato comportamento piuttosto che un altro, senza vincoli di
sorta, tanto il mondo va avanti lo stesso, dove le parole non servono, perché
basta una sola frase, come quella pronunciata da Bartleby, per stabilire le
distanze e risolvere i problemi senza affrontarli, un mondo dove è inutile
affannarsi per capire l’animo umano, tanto l’animo umano è insondabile.
sempre interessanti le letture che proponi, qui mi tenti con lo scrivano e con lo straniero :)
RispondiEliminamassimolegnani
A mio modo di vedere sue due classici della letteratura mondiale, inquadrati in un contesto narrativo molto particolare. Grazie Carlo e buona giornata :-)
Elimina"sono"...non "sue"
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