sabato 2 gennaio 2016

E' forse il mondo stesso una prigione?



Ancora una volta, tra le bancarelle di un mercatino dell’usato, ho scovato un libro importante che cercavo da tempo, introvabile nelle librerie: Il mondo è una prigione di Guglielmo Petroni. Gli editori – è noto - anziché ripubblicare buona letteratura, preferiscono rincorrere facili guadagni e affidarsi ai volti noti della televisione stampando qualsiasi inezia essi scrivano. Di questo autore autodidatta (nato a Lucca e morto a Roma nel 1993), avevo già letto un suo libro: La morte del fiume, vincitore di un premio Strega negli anni ‘70. Il romanzo che ho appena finito di leggere – nella bella edizione Oscar Mondadori del 1974 - è forse la sua opera più nota, in cui lo scrittore custodisce, in poco più di 150 pagine, la sua dolorosa esperienza carceraria. Infatti Petroni, per la sua attività antifascista, nella primavera del 1944 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Via Tasso a Roma; torturato e condannato a morte, venne trasferito a Regina Coeli, per essere poi liberato dagli Alleati dopo 33 giorni di dura prigione. Il libro di memorie, la cui prima edizione risale al 1949, secondo Natalino Sapegno resta una delle prove più alte della letteratura sulla Resistenza e sulla guerra. Per Andrea Camilleri, il mondo è una prigione è uno dei libri che lo hanno formato “non come scrittore, ma come persona”.

Noi oggi viviamo tempi difficili in cui accadono fatti drammatici (pensiamo per esempio agli attentati di Parigi), a seguito dei quali c’è chi invoca la guerra e c’è chi ritiene che siamo già entrati nella terza guerra mondiale. Ma le persone che con tanta facilità parlano a vanvera e fanno gli interventisti non sanno cos’è un conflitto mondiale perché non l’hanno mai vissuto sulla propria pelle. Per loro fortuna. Io penso che una terza guerra mondiale, uno scontro di civiltà tra l’Occidente e l’Oriente così come viene enunciato dai mass-media, sarebbe una vera catastrofe planetaria. Eppure, non bastano tutte le guerre che l’uomo ha combattuto durante la sua millenaria storia, con l’enorme carico di errori commessi e di morti causati; non sono sufficienti i tanti libri scritti da chi la guerra l’ha fatta e l’ha vissuta e poi ne ha raccontato la barbarie, per dissuadere i guerrafondai dei nostri tempi.

La guerra, qualsiasi guerra (e pensare che oggi c’è chi parla di guerra giusta) è sempre un’azione orrenda e detestabile che genera distruzione e morte. E il carcere – diretta conseguenza della guerra – non è da meno e credo sia una delle esperienze più angosciose e drammatiche che l’uomo possa vivere. Un’esperienza che ti divora e ti porta allo smarrimento spirituale e se ne esci vivo, non sei più quello di prima: sei un uomo diverso, hai paura della realtà e del mondo che ti circonda, avverti una sorta di “fastidio di esistere” e ti assale quella “noia di convivere”. E’ l’esperienza, questa, che troviamo descritta ne “Il mondo è una prigione” il cui autore, non appena uscì dal carcere, così annotò nel suo libro:

“…mi accorsi che rimpiangevo violentemente le ore in cui la mia vita era incerta, insidiata ogni momento; rimpiangevo la fame, il buio e l’incertezza che, questa volta, lasciavo definitivamente dietro le mie spalle (…) sentivo ingigantire nel mio cuore il fastidio di tornare tra gli uomini; sentivo una fortissima attrazione per i giorni trascorsi nelle luride celle delle prigioni che avevo conosciuto in quelle poche settimane che parevano anni…”. E’ incredibile come il carcere possa scalfire così profondamente il pensiero e l’animo umano.

Di fronte a questi sentimenti così contrastanti lo scrittore Guglielmo Petroni arriva a percepire confini molto labili tra la prigione e la  libertà, tant’è che si chiede: “E’ forse il mondo stesso una prigione? Siam forse noi stessi la nostra prigione, oppure è soltanto in noi, la nostra libertà? Gli altri sono forse la tua prigione? Una prigione che potrai amare forse, come ora ami quella concreta che lasci dietro te con questo oscuro rimpianto?”.

“Il mondo è una prigione” è un memoriale che lascia un segno indelebile sull’animo del lettore; mi permetto di dire che per il suo forte impatto emotivo è un libro paragonabile – fatte naturalmente le doverose distinzioni - a grandi opere della nostra letteratura come le “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci e “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

 

4 commenti:

  1. mi era del tutto sconosciuto Petroni che mi sembra scrittore più che apprezzabile.
    condivido le tue preoccupazioni su come le nazioni (e tanta gente con loro) parlino di guerra e facciano la guerra con una leggerezza, un'incoscienza che fanno paura. Fanno la guerra all'Isis ma si guardano in cagnesco tra di loro, si fanno dispetti e manca poco che turchia e russia, iran e arabia saudita rivolgano le armi gli uni contro gli altri, e allora sì sarebbe la catastrofe delle risposte a catena.
    massimolegnani

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  2. Condivido pienamente le tue parole: la guerra è sempre una catastrofe per tutti. Però continuiamo a farla secondo quello stolto principio secondo il quale noi dell'occidente siamo i tenutari della democrazia e quindi dobbiamo imporre il nostro modello agli altri. Sempre.

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  3. ciao Remigio,
    come sempre ottima, eccellente recensione, il titolo mi fa molto riflettere, il mondo è sempre una prigione, dove non ci sono guerre ci sono regole, spesso assurde, ci cono condizionamenti, la stessa ipocrisia è una prigione, un capufficio stupido è una prigione, un vicino turbolento, ecc. ecc. Sì, decisamente, il mondo è una prigione

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    1. Ciao Tads,
      come sempre, il tuo commento è illuminante, un ottimo rinforzo alla tesi del libro. Un caro saluto :-)

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