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sabato 3 ottobre 2015

Il senso del tragico secondo Ceronetti




Guido Ceronetti è senza dubbio uno dei più incisivi e graffianti osservatori della nostra società; e in un mondo in cui sembra prevalere soltanto il pensiero unico, le sue parole dissacranti e trasversali rappresentano un segnale vivo di libertà, autentico baluardo contro l’omologazione culturale. Per i benpensanti e per i malati di ottimismo, questo “giovane” pensatore di 88 anni – “io sto consumando gli avanzi di questa mia lunga, affaticata vita” così scrive - può apparire un nichilista e un disfattista, soprattutto per il modo tagliente con cui dipinge la realtà dei nostri tempi. Tuttavia i suoi scritti brevi ed i suoi aforismi hanno la straordinaria capacità di far riflettere anche coloro che si ostinano - come si suol dire - a coprirsi gli occhi con delle fette di prosciutto. Chi conosce  Ceronetti sa che è l’ideatore di un singolare teatro i cui spettacoli vengono allestiti per strada, dove giovani attori danno voce e movimento a delle marionette. Ma pur essendo un artista di strada – come lui stesso si definisce – non credo proprio che la sua scrittura erudita sia adeguata all’uomo della strada.
In questo suo ultimo saggio Tragico tascabile (pubblicato da Adelphi), lo scrittore raccoglie una serie di brevi e affilate riflessioni su alcuni temi di stringente attualità, che vanno dalla cronaca nera a quella politica, dai fatti internazionali come quelli riguardanti la Grecia alle notizie di più spicciola quotidianità, come fare la spesa in un centro commerciale, dalle problematiche ambientali a quelle religiose. Ci parla della crisi della cultura, quale tutela dell’identità nazionale: “ce la stanno smerdando bravamente, senza un grido di rivolta, a colpi di intrusioni massicce di locuzioni e nomenclatura angloamericane” e lancia il suo grido di allarme “contro l’enorme afflusso di popolazioni indicibilmente estranee a tutto quanto l’Italia rappresenta di non materiale”. Usa parole pungenti contro l’universo tecnologico: lo smartphone “è un baratro senza fondo in cui l’utente (l’essere, l’anima umana), una volta catturato, precipita senza fine”. Si scaglia con veemenza contro chi permette, con mezzi meccanici e farmacologici disumani, “la moltiplicazione insensata e tragica di vecchiaie”, perché allungare sempre di più la vita è come subire una lunga e terribile tortura. Ma confessa anche il suo personale fallimento per avere assistito al crescente peggioramento della nostra lingua, la scritta e la parlata, senza poter far nulla per impedire tale inesorabile declino.
 
 

2 commenti:

  1. Mai ovvio, mai corretto politicamente, si può essere in disaccordo con lui ma gli si deve riconoscenza per come smuove le nostre menti intorpidite.
    ml

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