martedì 14 luglio 2015

C'era una volta il viaggiatore...



Le vacanze sono ormai alle porte e, crisi o non crisi, nessuno vuole rinunciarvi. Siamo ai nastri di partenza con le valige già pronte, per invadere come cavallette città d’arte e siti archeologici, spiagge e montagne. Diceva un grande filosofo del passato che quando scopriamo un bel posto, dobbiamo evitare di farlo conoscere agli altri, perché frequentando in massa lo stesso luogo si finisce per distruggerlo in poco tempo. E ho l’impressione che stia succedendo proprio questo.

Nel passato solo una piccola minoranza di persone viaggiava, appartenente per lo più a categorie sociali bel definite: in primis ricordiamo i mercanti (carovanieri e navigatori) che affrontavano deserti e oceani per trasportare le loro mercanzie, ma nel contempo avevano anche la possibilità di conoscere e diffondere usi e costumi di paesi a loro estranei; poi venivano i pellegrini che si incamminavano verso Roma per ottenere l’indulgenza, ma anche verso Santiago de Compostela o Gerusalemme, attraverso percorsi che hanno disegnato le mappe geografiche dell’Europa medioevale;  ed infine gli artisti (scrittori, pittori, musicisti…) che a ragion veduta erano i veri viaggiatori – figure romantiche ormai scomparse - che cercavano ispirazioni artistiche e culturali nei paesi in cui si recavano. Un viaggio in Italia (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei, tanto per citare le località più ambite), costituiva una tappa fondamentale nell’educazione dei giovani delle famiglie benestanti che si apprestavano a fare il loro ingresso nella società ricca e borghese del tempo. Il loro viaggio durava mesi, a volte anni, grazie soprattutto alle disponibilità finanziarie degli interessati, ma anche alla lentezza dei mezzi di trasporto: non dimentichiamo che ci si spostava in carrozza o a piedi.

Ai giorni nostri il desiderio di viaggiare - costi quel che costi - appartiene un po’ a tutti, come è giusto che sia, costituisce un segno di distinzione sociale, ed allora ci si sposta in massa: un turismo selvaggio e indifferenziato verso luoghi sempre più standardizzati e sovraffollati. E il “viaggiatore”, che nel passato percorreva la sua strada quasi sempre in solitudine, in un’epoca caotica e massificata come la nostra si è trasformato in “turista” che aspira a riunirsi in gruppo, ad essere guidato e portato in giro, a condividere senza sforzo le medesime esperienze ed emozioni. Esperienze ed emozioni che, vissute da pochi, risultavano uniche ed irripetibili (mi viene in mente il “viaggio in Italia” di Goethe o quello di John Ruskin descritto in “mattinate fiorentine”), cessano automaticamente di essere tali quando vengono provate da tutti alla stessa maniera. Quel rilassato e riflessivo viaggiare riservato un tempo alle classi più colte si è sbriciolato al ritmo forsennato del turismo di massa, sommerso da una miriade di consigli sul dove andare e dalla quantità delle cose da visitare, a scapito della qualità e della lentezza.

Riguardo, poi, ai luoghi turistici, ho l’impressione che oggi si somiglino tutti, da nord a sud, specialmente quelli di mare: le stesse strutture alberghiere, gli stessi villaggi, la stessa confusione di macchine e di persone, addirittura la medesima cucina, che un tempo rappresentava il segno distintivo del posto. Se si escludono determinate caratteristiche climatiche che a volte fanno la differenza - e stiamo facendo di tutto per sconvolgere anche quelle – le località di villeggiatura sono diventate sostanzialmente indistinguibili grazie all’ incessante livellamento dettato dal mercato globale e dal turismo di massa, che tendono a cancellarne le diversità in favore di un pensiero unico che vuole ogni luogo identico all’altro. E allora mi chiedo se abbia ancora un senso andare al mare all’isola d’Ischia, piuttosto che a Rimini, trascorrere le vacanze nel Cilento piuttosto che nel Salento.

Io credo che sia definitivamente saltato quell’equilibrio che esisteva tra la natura incontaminata e la presenza virtuosa dell’uomo; un bilanciamento che si reggeva essenzialmente sul rispetto e sulla salvaguardia del territorio che non veniva invaso da orde di turisti, la cui presenza è diventata, nel corso degli anni, sempre più schiacciante e invasiva, simile ad un esercito di occupazione che ha finito per deturpare, sporcare e offendere qualsiasi posto. Anche il più bello. Con questo non voglio dire che solo le persone ricche e colte debbano viaggiare, anche se sono sempre di più coloro che, per ragioni economiche, non possono lasciare la città o il paese in cui abitano e quindi il turismo non è un’opportunità concessa a tutti. Tuttavia, chiunque voglia osservare il fenomeno odierno con un po’ di spirito critico – senza essere tacciati di snobismo - non può non considerare la bassa qualità di questo “diritto alle vacanze” esteso a tutti e venduto in maniera ingannevole come esclusivo, ma sostanzialmente svilito nella sua essenza. Mi chiedo se oggi sia ancora possibile una maniera diversa di fare le ferie, rispetto al pacchetto tutto incluso a tappe forzate (Roma in 48 ore…Parigi in un solo giorno) offerto sottocosto da fameliche agenzie di viaggi alla massa dei vacanzieri nostrani, che si illudono di visitare quelle località alla moda, altrimenti non sei nessuno. E allora succede che il nostro turista, che non ha mai messo piede in un museo italiano, al ritorno da Parigi potrà raccontare agli amici del bar che è stato al Louvre dove ha potuto ammirare – dopo due ore di fila - la famosa “Gioconda” di Leonardo; e che – udite, udite - “s’è fatta” tutta Roma in soli 2 giorni visitando “tutto quello che c’era da visitare”, scattando migliaia di fotografie che, probabilmente, nessuno mai vedrà. E già, le foto!; meriterebbero una riflessione a parte perché con l’avvento dei telefonini il turista appare sempre di più affetto da bulimia fotografica acuta, che lo costringe a riprendere qualsiasi cosa (che si muova o stia ferma), senza guardare niente (tanto guarderà dopo, a casa). Le foto ricordo, che in qualche maniera sostituiscono la memoria e soprattutto lo sguardo, testimoniano non tanto la curiosità e l’interesse culturale del visitatore, quanto la sua rituale presenza in quel determinato luogo. Presenza attestata, appunto, da una foto ricordo. Per lui non è importante soffermarsi più di tanto davanti alla bellezza e alla maestosità del tempio di Nettuno a Paestum, ma conta, invece, potersi mostrare ai piedi delle sue colonne doriche attraverso una foto. O meglio, un selfie che va tanto di moda.

Il vero viaggio, quello che cambiava interiormente l’antico viaggiatore procurandogli intense emozioni per le sorprese, i rischi e le avventure che incontrava lungo il percorso, non appartiene più al turista contemporaneo. Quest’ultimo resta attaccato alle proprie abitudini e anche lontano da casa non è capace di rinunciare al comfort, alla cucina ed ai riti cui è legato; vuole ritrovare tutto ciò che ha momentaneamente lasciato e, pertanto, farà le proprie rimostranze se nella camera dell’albergo in cui alloggia non è presente un televisore di almeno 28 pollici; vuole trovare un contesto simile a quello in cui vive abitualmente nella sua città e sentirsi a casa pur avendo scelto di fare un safari in Tanzania. E allora, come non ricordare le parole di Socrate il quale, ad un tale che si lamentava di non aver avuto alcun giovamento dai suoi viaggi, disse: “è naturale che sia così; tu viaggiavi in compagnia di te stesso”. Come i nostri turisti che non si allontanano mai dal proprio mondo, anche quando si trovano a migliaia di chilometri di distanza.

2 commenti:

  1. Hai pienamente ragione. Si viaggia male ora. Io mi ritengo ancora un viaggiatore sensibile. Entro nei luoghi che visito. Lascio il mio io sul comodino e mi accomodo nell'ignoto che mi riceve, ricevendolo a mia volta. Plasmandomi. per questo mi sento ricco ogni volta. E sono anche fotografo, ma non mi selfo mai. E ambisco luoghi che mantengano la loro personalità, cercando di meritarne un minimo riflesso. Mi curo col Viaggio. E sto bene.

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    1. Mi sembra di capire che "entri" nei luoghi in punta di piedi, li rispetti e cerchi di prendere qualcosa da loro. E' quello che dovrebbe fare qualsiasi viaggiatore/turista: essere "sensibile", appunto, come dici tu. Grazie Franco per il tuo contributo e buone vacanze.

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