Scriveva Albert Caraco, il cui pensiero ho cercato di
sintetizzare nel mio post precedente attraverso l’analisi del suo libro più
importante “Breviario del caos”, che le città sono diventate sempre più
disordinate e invivibili e “tutto ciò che
si edifica è di una bruttezza mostruosa e noi non sappiamo più costruire
templi, palazzi o tombe, piazze trionfanti o anfiteatri “. E come dargli
torto! Ma per fortuna esiste un’altra idea di città, che ci è stata tramandata
dai nostri antenati e che noi faticosamente cerchiamo di conservare, il cui
corpo vive in un rapporto di proporzioni e di misura con il corpo del
cittadino: è la città storica. In proposito, mi piace qui riportare le parole
di un grande archeologo e storico dell’arte italiano, Salvatore Settis, tratte da un suo recente libro molto interessante
che si intitola “Se Venezia muore”:
“…Nella città storica italiana l’incombere di un campanile, di
una cattedrale, di un palazzo del Comune o del Signore, l’addensarsi di un
convento o di una università, le facciate delle case più ricche, s’intrecciano
con le botteghe artigiane, i quartieri poveri, i vicoli dei mercati e le strade
verso i cimiteri e la campagna, le porte e le mura, le piazze e le strade:
accolgono i cittadini, non li inghiottono. Talora li sovrastano, ma non li
umiliano mai: proclamano gerarchie sociali, ma anche spazi di uguaglianza (la
piazza, il mercato delle erbe); suggeriscono stabilità, ma contemplano
mobilità. Il corpo del cittadino e il corpo della città non sono l’un l’altro
nemici, si integrano e si compenetrano. Perciò la città è “opera d’arte” e non
solo prodotto materiale. Risulta dalla produzione di mura, chiese, case, ma
anche di cultura e rapporti sociali. Respira e cresce con i cittadini che la
creano e la cambiano nel tempo, si alimenta con le sue ritualità, immemoriali non
perché sempre uguali a se stesse ma perché soggette a continuo cambiamento. (…)
La città storica è un orizzonte entro il quale lo scambio di
esperienze, di culture e di emozioni avviene grazie al luogo e non grazie
al prezzo. (…) Creazione collettiva di tutte le classi sociali, la città è
per sua natura fondata sul lavoro:
sul lavoro delle generazioni passate, sulla capacità di creare lavoro per le
generazioni future. Microcosmo e fucina del pensiero, la città vive della
propria diversità; le sue disomogeneità interne ne accrescono lo spessore
antropologico, agganciano l’attenzione e stimolano l’esperienza di cittadini e
forestieri. Anche gli edifici divenuti “inutili” nel tempo (come il Colosseo)
non lo sono affatto; suggeriscono profondi mutamenti storici, impongono di
pensare il diverso, allenano alla curiosità per altre diversità culturali (per
altre civiltà). Al contrario della monocultura della piatta città “globale” che
sta invadendo il pianeta, la città storica è una macchina per pensare. Per
pensare l’altro da sé, e dunque se stessi…”
Adoro le città storiche anche se l'arte si evolve e quartieri ultramoderni possiedono un loro fascino che rimarrà nel tempo. Rischiamo di perdere però la dimensione umana. Il quotidiano legato ai tempi andati. Il vicolo vissuto, la piazzetta che incanta. Calatrava incanterà anche tra mezzo secolo, ma sarà difficile immaginare un mercatino di chiacchiera sommessa sotto una sua ardita volta.
RispondiEliminaDici bene: “rischiamo di perdere la dimensione umana” e ne sappiamo qualcosa noi che abbiamo la fortuna/sfortuna di vivere in una grande città come Roma la quale, rispetto alle grandi metropoli del mondo, possiamo ben dire che ancora si salva, per la sua storia ma anche per la sua “dimensione umana”
Eliminatutto ciò che si edifica è di una bruttezza mostruosa e noi non sappiamo più costruire templi, palazzi o tombe, piazze trionfanti o anfiteatri.
RispondiEliminaParole sante. Santissime direi.
Meno male che gli architetti/artisti del passato hanno saputo fare molto meglio.
Quel che hanno lasciato (ammesso che i soliti idioti contemporanei non lo distruggano) ci può consolare.
Purtroppo i “soliti idioti” sono tanti e sono proprio quelli che io temo…
Eliminanon vivo in città ma in un paesino, eppure anche qui colgo la bellezza delle poche pietre sedimentate dal tempo. ogni volta che guardo il campanile da lontano mentre torno a casa sento la sua funzione di riferimento e di richiamo, scandiva le ore alla gente impegnata in campagna.
RispondiEliminaml
Ti capisco, perché anche se vivo in città sono nato in un piccolo paese del sud, dove torno volentieri sempre più spesso, per godermi, come fai tu, "la bellezza delle poche pietre sedimentate dal tempo". Ciao
Elimina