mercoledì 8 luglio 2015

La città storica è una macchina per pensare



Scriveva Albert Caraco, il cui pensiero ho cercato di sintetizzare nel mio post precedente attraverso l’analisi del suo libro più importante “Breviario del caos”, che le città sono diventate sempre più disordinate e invivibili e “tutto ciò che si edifica è di una bruttezza mostruosa e noi non sappiamo più costruire templi, palazzi o tombe, piazze trionfanti o anfiteatri “. E come dargli torto! Ma per fortuna esiste un’altra idea di città, che ci è stata tramandata dai nostri antenati e che noi faticosamente cerchiamo di conservare, il cui corpo vive in un rapporto di proporzioni e di misura con il corpo del cittadino: è la città storica. In proposito, mi piace qui riportare le parole di un grande archeologo e storico dell’arte italiano, Salvatore Settis, tratte da un suo recente libro molto interessante che si intitola “Se Venezia muore”:
“…Nella città storica italiana l’incombere di un campanile, di una cattedrale, di un palazzo del Comune o del Signore, l’addensarsi di un convento o di una università, le facciate delle case più ricche, s’intrecciano con le botteghe artigiane, i quartieri poveri, i vicoli dei mercati e le strade verso i cimiteri e la campagna, le porte e le mura, le piazze e le strade: accolgono i cittadini, non li inghiottono. Talora li sovrastano, ma non li umiliano mai: proclamano gerarchie sociali, ma anche spazi di uguaglianza (la piazza, il mercato delle erbe); suggeriscono stabilità, ma contemplano mobilità. Il corpo del cittadino e il corpo della città non sono l’un l’altro nemici, si integrano e si compenetrano. Perciò la città è “opera d’arte” e non solo prodotto materiale. Risulta dalla produzione di mura, chiese, case, ma anche di cultura e rapporti sociali. Respira e cresce con i cittadini che la creano e la cambiano nel tempo, si alimenta con le sue ritualità, immemoriali non perché sempre uguali a se stesse ma perché soggette a continuo cambiamento. (…)
La città storica è un orizzonte entro il quale lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni avviene grazie al luogo e non grazie al prezzo. (…) Creazione collettiva di tutte le classi sociali, la città è per sua natura fondata sul lavoro: sul lavoro delle generazioni passate, sulla capacità di creare lavoro per le generazioni future. Microcosmo e fucina del pensiero, la città vive della propria diversità; le sue disomogeneità interne ne accrescono lo spessore antropologico, agganciano l’attenzione e stimolano l’esperienza di cittadini e forestieri. Anche gli edifici divenuti “inutili” nel tempo (come il Colosseo) non lo sono affatto; suggeriscono profondi mutamenti storici, impongono di pensare il diverso, allenano alla curiosità per altre diversità culturali (per altre civiltà). Al contrario della monocultura della piatta città “globale” che sta invadendo il pianeta, la città storica è una macchina per pensare. Per pensare l’altro da sé, e dunque se stessi…”

6 commenti:

  1. Adoro le città storiche anche se l'arte si evolve e quartieri ultramoderni possiedono un loro fascino che rimarrà nel tempo. Rischiamo di perdere però la dimensione umana. Il quotidiano legato ai tempi andati. Il vicolo vissuto, la piazzetta che incanta. Calatrava incanterà anche tra mezzo secolo, ma sarà difficile immaginare un mercatino di chiacchiera sommessa sotto una sua ardita volta.

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    1. Dici bene: “rischiamo di perdere la dimensione umana” e ne sappiamo qualcosa noi che abbiamo la fortuna/sfortuna di vivere in una grande città come Roma la quale, rispetto alle grandi metropoli del mondo, possiamo ben dire che ancora si salva, per la sua storia ma anche per la sua “dimensione umana”

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  2. tutto ciò che si edifica è di una bruttezza mostruosa e noi non sappiamo più costruire templi, palazzi o tombe, piazze trionfanti o anfiteatri.
    Parole sante. Santissime direi.
    Meno male che gli architetti/artisti del passato hanno saputo fare molto meglio.
    Quel che hanno lasciato (ammesso che i soliti idioti contemporanei non lo distruggano) ci può consolare.

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    1. Purtroppo i “soliti idioti” sono tanti e sono proprio quelli che io temo…

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  3. non vivo in città ma in un paesino, eppure anche qui colgo la bellezza delle poche pietre sedimentate dal tempo. ogni volta che guardo il campanile da lontano mentre torno a casa sento la sua funzione di riferimento e di richiamo, scandiva le ore alla gente impegnata in campagna.
    ml

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    1. Ti capisco, perché anche se vivo in città sono nato in un piccolo paese del sud, dove torno volentieri sempre più spesso, per godermi, come fai tu, "la bellezza delle poche pietre sedimentate dal tempo". Ciao

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