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mercoledì 17 giugno 2015

Ma come parla?!



Solo la lettura di buoni libri ha la straordinaria capacità di rinforzare il nostro vocabolario, che oggi appare sempre più povero. E la colpa è anche dei mezzi di informazione di massa, compresi quelli tecnologici, che spingono con forza verso un linguaggio piatto e omologato. Ricordo una famosa scena di un film di Nanni Moretti “Palombella rossa” (era il 1989), in cui un pallanuotista (Nanni Moretti) urla alla giornalista che lo sta intervistando: “Ma come parlaaa? Ma come parlaaa? Le parole sono importanti! Lei parla in modo superficiale, chissà come scrive”. E poi, preso dalla rabbia e non riuscendo a trattenersi, la schiaffeggia sonoramente. Ma qual era il torto di cui si era macchiata la malcapitata giornalista? Aveva usato un linguaggio banale, frasi fatte come matrimonio a pezzi … alle prime armi, aveva adoperato termini generici o facili anglicismi alla moda come trend negativo … kitsch, al posto delle più appropriate e belle espressioni italiane. La condanna dei luoghi comuni non è racchiusa solo in quel film, ma costituisce quasi una costante delle opere cinematografiche di Nanni Moretti. Chi non ricorda la satira sul linguaggio dei giovani degli anni settanta nel film Ecce bombo? Ancora sorrido se ripenso a quel celebre dialogo tra Cristina e Michele – due dei tanti personaggi del film – quando, alla domanda di Michele: “come campi?”, Cristina risponde: “Mah…: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose”. 
Va detto che il regista romano non ha preso di mira solo il linguaggio dei giovani, ma anche quello della politica che sempre più spesso è astruso, incomprensibile, vuoto di significati, ripetitivo. Famosa la sua frase rivolta ad un politico in difficoltà durante un comizio: «D’Alema, dì una cosa di sinistra… reagisci!».

Ho l’impressione che al giorno d'oggi le parole abbiano perso il loro significato: basta accendere la televisione e soffermarsi per qualche minuto a guardare uno dei tanti talk show (chiedo scusa a Nanni Moretti, ma mi è scappato…), per rendersi conto che certi personaggi – e sempre gli stessi – infilano una dietro l’altra una serie di frasi fatte  che, al confronto, la giornalista di Palombella rossa appare una persona erudita. E allora può capitare di ascoltare perle di saggezza come: “la violenza va sempre condannata, senza se e senza ma” e se poi, durante un corteo, un manifestante se la prende con una vetrina, c’è sempre qualcuno in studio che pontifica: “sfasciare una vetrina è di una violenza inaudita! ”, senza dimenticare che “i violenti vanno sempre isolati”. Se poi il dibattito verte sui problemi della giustizia, ebbene l’intelligente di turno non ha dubbi: “le sentenze vanno sempre rispettate”; mentre l’indagato presente in trasmissione (quello non manca mai) è sereno perché ha “piena fiducia nella giustizia che farà il suo corso”. Potremmo continuare all’infinito, ma mi fermo qui.
Secondo Erri De Luca, oggi assistiamo ad una “perdita di responsabilità della parola e cioè la parola è diventata prevalentemente pubblicitaria”. Questo vuol dire che nel momento stesso in cui viene pronunciata - dal politico o dal giornalista di turno – deve servire unicamente a magnificare il proprio ragionamento, a convincere in maniera subdola il telespettatore o il lettore cui è rivolta, così come avviene per un qualsiasi prodotto commerciale reclamizzato. E anche se quella parola afferma il falso (come da prove documentali), le viene riservata la stessa dignità di una verità sacrosanta. Con l’aggravante che chi l’ha pronunciata non pagherà alcuna conseguenza.

Allora, dobbiamo appropriarci della nostra lingua, delle nostre belle parole; e le migliori le troviamo soltanto nei libri: sono le uniche che possono combattere quelle ingannatrici degli imbonitori televisivi. Le parole televisive sempre più spesso sono urlate, come se strillare possa rafforzare la verità o la ragione di chi, in maniera violenta, si scaglia contro l’interlocutore che ha di fronte. Ma quando si alza la voce per sovrastare quella degli altri, significa che siamo ad un passo dagli insulti, sostitutivi del dialogo e delle parole.

Secondo me la televisione – ad eccezione di alcuni rari programmi – promuove tutto tranne la parola, intesa quale strumento nobile che sappia raccontare e coinvolgere, comunicare e istruire. La televisione è popolata da tantissime persone che si autoincensano dalla mattina alla sera, mettendo in risalto il loro narcisismo; per loro l’aspetto fisico, il modo come si presentano, l’apparenza sono molto più importanti di quello che dicono. Ed ecco allora che le parole perdono di significato, non sono giudicate importanti, non costituiscono - per chi le pronuncia - un segno distintivo di diversità capace di arricchire culturalmente chi guarda ed ascolta. Sono parole morte che irretiscono, ma nello stesso tempo offuscano la mente. Sono parole prive di responsabilità.

4 commenti:

  1. Come non essere d'accordo con te, con Nanni, con Erri?
    ml

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  2. Ricordandomi della scena di Palombella rossa ho riso ancora. Meravigliosa. Sai quanri andrebbero schiaffeggiati? Siamo ad un livwllo basso, troppo. Spesso vergognoso. E la colpa, come scrivi tu, è da imputare anche (anche, eh? non unicamwnte) ad un insieme di abitudini che ormai ci circondano, tecnologia inclusa.

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