lunedì 18 maggio 2015

La libertà di non finire un libro



Tante sono le ragioni che inducono ad abbandonare la lettura di un libro prima della fine: una storia scialba che non ci appassiona, una scrittura concepita con i piedi piuttosto che con la testa, un’assenza totale di stile oppure uno stile che si allontana dalle nostre attese. Senza contare, poi, le vicissitudini personali, lo stato d’animo di quel particolare momento che influiscono, non di poco, sulle nostre preferenze letterarie. Ebbene, in questi casi, forse è meglio lasciar perdere e, se proprio vogliamo ritentare, è bene aspettare tempi più favorevoli. Tuttavia, non si può negare che a volte tale resa generi una vaga sensazione di sconfitta. Si, perché quel libro che sto per abbandonare l’ho scelto proprio io, magari dopo averlo pure sfogliato in libreria, nessuno me lo ha imposto; avevo iniziato a leggerlo con la solita sicurezza, ma…dopo un po’ di pagine, comincio ad avvertire uno strano affaticamento che mi impedisce di andare avanti, nonostante quel continuo ritornare alle pagine precedenti per riannodare i fili del racconto. Mi accorgo che sto leggendo meccanicamente senza capire: e allora lascio perdere. Pur avendo la strana impressione che quel libro merita di essere letto e, se non riesco ad andare avanti, è solo colpa mia non dell’autore che l’ha scritto.
Avevo letto sul Corriere della Sera - qualche tempo fa – l’appassionante recensione di Pietro Citati (maestro insuperabile nel magnificare o nello stroncare libri e scrittori), del romanzo “La storia di Matilde” di Giovanni Mariotti (uno scrittore che non conoscevo), pubblicato da Adelphi nel 2003. Poco noto al grande pubblico dei lettori, questo autore, nato a Pietrasanta in provincia di Lucca, desidera essere ricordato – come lui stesso ha avuto modo di affermare in una intervista – “come una persona gentile che ha attraversato la vita senza nuocere troppo agli altri e che è stato condizionato da due influenze tiranniche: quella del bisogno e quella della timidezza”. Scriveva Citati nella sua recensione che la storia di Matilde “è il più bel romanzo italiano che sia stato scritto negli ultimi vent’anni”. Si può mai rimanere indifferenti al cospetto di una simile attestazione pronunciata da un intellettuale così autorevole? “E’ un immenso romanzo-fiume, una specie di Guerra e Pace della Lucchesia – diceva ancora Citati - Vi passano 4 generazione, dal 1850 ai giorni nostri:  vi si concentrano decine di piccoli personaggi e milioni di finissime sensazioni che coincidono con la vita umbratile e nervosa dell’universo (…) e quando chiudiamo il libro, pieni di lacrime e di sorrisi come vuole l’autore, ci accorgiamo che la nostra vita contiene un vastissimo spazio, un arioso e misterioso universo, che prima non possedeva”. Queste accattivanti parole, riferite ad un libro scritto da un autore in controtendenza, così lontano dagli stereotipi alla moda, avevano acceso la mia curiosità e la mia fantasia; e siccome non riuscivo a trovare il romanzo in nessuna libreria, ne ho fatto richiesta all’Editore, senza avere la possibilità di “saggiarlo” visivamente in anteprima. La sorpresa è arrivata quando ho iniziato a sfogliarlo: 220 pagine senza alcuna punteggiatura, un interminabile fiume di parole. Mi sono bloccato verso la ventesima pagina, con un senso di soffocamento e quasi in apnea. Ammetto la mia sconfitta. Probabilmente non era il momento adatto per proseguire una simile sperimentale lettura. Quando leggo ho bisogno di pause che solo la punteggiatura riesce a darmi.

Devo dire, però, che nonostante questa iniziale difficoltà, non ho nessuna intenzione di abbandonarlo definitivamente. Il libro è scritto molto bene e quindi merita un nuovo tentativo. L’ho riposto nella mia libreria in bella vista e prima o poi lo riprenderò. Altri libri mi resistono, come “L’uomo senza qualità” di Robert Musil o “Le onde” di Virginia Woolf, anch’essi messi da parte al primo infruttuoso tentativo di lettura.
Per concludere, mi piace qui ricordare quanto ha scritto in proposito Daniel Pennac nel suo libro "Come un romanzo": "contrariamente alle buone bottiglie di vino, i buoni libri non invecchiano. Ci aspettano sui nostri scaffali e siamo noi ad invecchiare. Quando ci riteniamo abbastanza “invecchiati” per leggerli, li affrontiamo un’altra volta. Allora possono succedere due cose: o l’incontro ha luogo o è un nuovo fiasco. Forse tenteremo ancora, forse no. Ma non è certo colpa di Thomas Mann se finora non sono riuscito a raggiungere la vetta della sua Montagna incantata”.

14 commenti:

  1. Non me ne volere.. ma sono tre volte - intervallate anni una dall'altra - che mi approccio a Cent'anni di solitudine e a pagina 100 (o giù di li) getto la spugna...

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    1. Non ci crederai, Franco, ma Cent'anni di solitudine è l'altro libro che ancora mi aspetta. Ed io ho gettato la spugna ancora prima di arrivare a pagina 100. Prima o poi cercherò di fare l'ultimo tentativo...prima di abbandonarlo definitivamente.

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    2. ..la cosa carina è che mi ricordo sempre il traguardo delle cento pagine.. e ormai la saga fino, a quel punto, seppur volutamente intrecciata.. mi è quasi familiare... ma io ricomincio e a 100 mi viene come un rigetto... mi capita solo con questo poi!! Altri li faccio fuori a pagina 10, o anche a dieci pagine dalla fine.. questo no...incredibile!!...

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  2. Dei libri lasciati ad aspettare credo di aver scritto almeno un paio di post.
    All'inizio sembrano rappresentare un piccolo fallimento.
    Poi, come mi ha scritto qualcuno, basta lasciarli decantare per qualche tempo e tornare a ri-leggerli in un altro momento.
    Tutto qui.

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  3. Ho abbandonato tanti libri senza finire di leggerli. Per me il feeling o si stabilisce subito o mai più. Quasi sempre va così. E fino ad ora non ho mai riletto ciò che avevo abbandonato. Ma non voglio farne una legge universale. Chissà, forse con la vecchiaia potrei anche cambiare. . . :-)

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    1. Si, con la vecchiaia si cambia....:-). Sarei curioso di sapere quali libri hai abbandonato.

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  4. Sono parecchi, eccone alcuni : La montagna incantata di Thomas Mann, Buddenbrooks, (Però sempre di Mann ho letto La morte a Venezia :-) ) Il mito di Sisifo di Camus (però ho letto La peste e Lo straniero e sono anzi tra i miei preferiti), La casa degli spiriti di Isabel Allende, Il Fuoco di D'Annunzio, Ritratti di donne di Pietro Citati e tanti altri. Se, per un motivo o per un altro non riesco a procedere nella lettura io li metto da parte. Non sono per l'accanimento terapeutico. La lettura deve essere un piacere. Forse mi perdo tanto, ma non voglio neppure sforzarmi fingendo di essere la persona che in realtà non sono. Però almeno cerco di non leggere stupidaggini ! :-)

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  5. Dimenticavo, da piccola sono stata costretta, a scuola, a leggere Pinocchio : un incubo!
    Invece come ero contenta di leggere Il giornalino di Gianburrasca ! :-) :-)

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    1. Innanzitutto grazie per il commento. "La montagna incantata" di Thomas Mann l'ho letto, anche se con un po' di difficoltà, così come pure "i Buddenbrooks"." La morte a Venezia" è un grande libro e l'ho letto con piacere. Non ho avuto occasione di leggere il mito di Sisifo, così come non conosco le opere della Allende. Per quanto riguarda "Il fuoco" di D'annunzio, è uno di quei libri che volevo leggere: poi ti farò sapere. E poi c'è Pinocchio, che avevo solo leggiucchiato da bambino (solo alcune parti) e che invece ho apprezzato molto da grande, la cui recensione è apparsa sul mio blog nel novembre 2013.

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    2. Anche a me è piaciuto La morte a Venezia come pure Tonio Kroger. Anche di uno stesso autore si possono fare diversificazioni. L'importante è, secondo me, di ogni libro raccogliere qualcosa e fissarlo nella nostra memoria,nella nostra anima. Ci potrà servire nei momenti bui. . . ma dubito che rileggerò Pinocchio :-)

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    3. "...raccogliere qualcosa e fissarlo nella nostra memoria, nella nostra anima" è l'essenza della lettura. Lo diceva anche un certo Seneca, oltre duemila anni fa: "cerca ogni giorno nella lettura un aiuto per sopportare la povertà e per affrontare la morte e tutte le altre sventure umane. Dopo aver letto molto, scegli un pensiero che tu possa assimilare in quel giorno. Anch'io faccio così: del molto che leggo, prendo sempre qualcosa".
      E sono sicuro che anche Pinocchio ti può dare qualcosa...;-)

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  6. condivido le tue considerazioni (e quella di Pennac) sui libri lasciati in sospeso: siamo noi inadeguati alla loro lettura in quel dato momento ma confidiamo che qualcosa potrà cambiare col tempo, non certo le parole ma la nostra disponibilità. Così anch'io su un tavolinetto ho alcuni libri, sospesi per disparati motivi, ma ancora vivi: Arcipelago dell'insonnia di Antunes, Inventario della casa di campagna di Calamandrei, Il libro dell'inquietudine di Pessoa.
    (e la Storia di Matilde mi incuriosisce)
    ml

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    1. Dici bene "siamo noi inadeguati alla lettura in quel dato momento..."
      Il "Libro dell'inquietudine" di Pessoa? Ritorno spesso su quel libro, non per una difficoltà di lettura, ma per la forza delle parole che trovo tra le sue pagine. Ciao M. e buona lettura a noi. :-)

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