Cerca nel blog

lunedì 16 marzo 2015

Uno scrittore che appartiene a quella "provincia dell'intelligenza"



Non sono un acceso lettore di racconti brevi; piuttosto che leggere tante piccole storie raggruppate in un solo libro, preferisco il classico romanzo le cui vicende vengono dipanate attraverso una narrazione più complessa. Io penso che non tutti gli scrittori siano in grado di sintetizzare in poche pagine una storia, sappiano cioè delineare in così poco spazio dei personaggi e delle vicende tali da appassionare il lettore. Anche se il racconto breve può sembrare, apparentemente, una forma di scrittura più accessibile - soprattutto per chi, avendo qualche velleità letteraria, si avvicina per la prima volta alla parola scritta - io credo che se non si possiede il dono della sintesi, abbinato ad una grande capacità creativa, sia davvero molto difficile scrivere - in poche pagine - una storia che abbia una qualche valenza letteraria.

Il libriccino che ho appena finito di leggere - di poco più di 100 pagine, edito da Sellerio – fu scritto nel 1995 da Sebastiano Addamo, uno scrittore e poeta siciliano che appartiene a quella vasta schiera di autori “dimenticati” e quasi sconosciuti. Come spesso accade quando non si conosce un autore, sono rimasto colpito dal titolo “Non si fa mai giorno” che mi ha indotto prima a dargli un’occhiata in libreria e poi a comprarlo. E devo dire che non me ne sono affatto pentito perché il libro, strutturato in cinque brevi racconti, merita tutto il mio apprezzamento per la sua alta qualità letteraria. Credo che a volte sia davvero arduo, se non azzardato, parlare di certi libri così trascurati, quando le librerie – lo sappiamo bene - brulicano di tante novità editoriali e di autori cosiddetti “affermati”. Io però, lo ammetto, quest’ultimi non li digerisco e mi rifugio quasi sempre tra i grandi della letteratura o tra quelli un po’ “stagionati” che a mio avviso meriterebbero una giusta e diversa collocazione. Come Sebastiano Addamo, questo scrittore appartato che proveniva, come ebbe a scrivere Leonardo Sciascia, da quella “provincia dell’intelligenza da dove spesso arrivano le pagine più suggestive e più capaci di trasportare per strade lontane e inattese”. E quella provincia era Catania, dove lo scrittore nacque nel 1925 e dove si spense all’età di 75 anni: provincia dell’intelligenza ma anche provincia sonnacchiosa e abitudinaria, dove non succedeva mai nulla di importante, anche perché, come dice un personaggio dei suoi racconti “non ci sono, in sé, cose importanti e cose non importanti, dato che gli eventi ci riguardano e noi siamo pur sempre la misura di tutto”.

I protagonisti di questi cinque racconti sono essenzialmente dei perdenti “davanti ai quali la vita passa come un fiume, e loro stanno sulla riva e si scostano se l’acqua li lambisce”. Come, in particolare, quel giudice “padrone delle sottigliezze della legge e degli uomini” descritto nel primo racconto, immerso sempre fra i suoi codici, il necessario spartiacque della sua esistenza, in piena crisi esistenziale e coniugale. Così come perdenti sono pure i quattro amici che ritroviamo nel secondo racconto intitolato “noia a Catania” - secondo me quello più illuminante - figli di quella provincia quasi del tutto scomparsa, con la sua quotidiana monotonia ed i suoi riti immutabili nel tempo. “…erano invecchiati adagio adagio, tra lavoro, casa, bar, facendo qualche figlio e riempiendo mucchi di registri. (…) Le abitudini s’erano impadronite di loro, e loro vi stavano acquattati come lucertole al sole, ciascuno nel proprio cantuccio, attento a non scalfire il ritmo dei giorni e degli anni, oppressi intanto e confortati da una reiterazione senza fine, e Catania si stendeva intorno a loro, era cresciuta mentre loro invecchiavano, caparbia e sonnolenta come la lava dei suoi palazzi, quella pietra nerastra e dura ma porosa di caldo e di salmastro”.

E perdente è anche quell’impiegato del racconto “il cuore della legge” che si ritrova per caso in mezzo ad una rapina in una gioielleria e, mentre scappa assieme al rapinatore, viene preso e processato suo malgrado. Perché il caso spesso “decide gli eventi, giunge inappuntabile e definitivo, quasi losco, scompiglia il giorno”.

Sono racconti che si possono leggere - così come riportato nella quarta di copertina del libro - alla maniera di “storie di orfani di una provincia che non c’è più: una crepa nella loro giornata li precipita dove mai avrebbero creduto”. E per loro non si fa mai giorno.

6 commenti:

  1. Provincia dell'intelligenza... una bella definizione quella di Sciascia.
    E questo autore è uno di quelli (uno dei tanti) che non conosco ancora.
    Grazie per avergli dato spazio.

    RispondiElimina
  2. Questa descrizione mi ha fatto subito venire in mente i fatti e le figure della provincia siciliana riportati nel libro "Gli anni perduti" di Vitaliano Brancati. Altro autore oggi forse troppo dimenticato.
    Invece per quanto riguarda la scelta in libreria, tra montagne di libri, è davvero difficile sapersi districare.
    Per quanto mi riguarda io leggo recensioni, leggo l'incipit e talvolta, si lo so è una debolezza, mi lascio convincere anche dalla copertina. Ma sopratutto mi fido delle case editrici. Ne ho di preferite e Sellerio è tra queste.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si, credo che anche Vitaliano Brancati sia da considerare tra gli autori provenienti da quella "provincia dell'intelligenza", tanto per utilizzare ancora una volta la felice espressione di Leonardo Sciascia. I personaggi che troviamo nei suoi libri sono degli inetti, degli improbabili seduttori, vanitosi e indolenti che vivacchiano in quella provincia siciliana addormentata e pettegola, forse specchio del Paese. E con sfumature un po' diverse sono gli stessi personaggi che nascono dalla penna di un altro illustre autore della stessa provincia siciliana, anch'egli "dimenticato": mi riferisco ad Ercole Patti, grande amico di Brancati, che seppe descrivere mirabilmente nei suoi libri quella sicilianità che forse non esiste più, quel mondo dove la vita scorreva immobile, monotona, noiosa...e dolce. Così dolce, ebbe a scrivere lo stesso Ercole Patti "che si poteva invecchiare senza accorgersene e ritrovarsi ad averla vissuta tutta senza averne avuto coscienza, rimanendo sempre figli di famiglia. Questo era il dolcissimo veleno di Catania".

      Elimina
  3. Io adoro i racconti brevi. Ci scorgo intensità e sintesi che il romanzo spesso assorbe e diluisce. E Brancati è anche maestro del taglio breve, ti fucila con una pagina.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' vero quello che dici: l'importante però è trovare il Brancati di turno. ;-) ciao e buona domenica

      Elimina