Non
saprei come classificare questo libro: un romanzo fantascientifico, oppure un
saggio sulla storia dell’evoluzione umana o piuttosto un racconto anacronistico
e metaforico sulle prime invenzioni dell’uomo. Non saprei in quale settore
narrativo riporlo, volendo riordinare gli scaffali di un’ipotetica libreria. E’ un testo che si
allontana un po’ dai classici generi letterari e, in quanto difficilmente
catalogabile, avrebbe potuto allontanare un lettore come me, più attento alle
certezze narrative. Ma, proprio grazie a questa varietà di interpretazioni,
l’opera letteraria di Roy Lewis “il più grande uomo scimmia del pleistocene”
ha incontrato il mio particolare favore. E’ un romanzo molto originale, al di
là della sua forza umoristica, la cui lettura offre lo spunto per fare
innumerevoli riflessioni sulla modernità, su questo continuo e illimitato
sviluppo tecnologico e sulle sue infinite distorsioni e aberrazioni. Ma è anche
uno scritto che ci fa capire quanto lunga e difficile sia stata la storia
dell’evoluzione socio-scientifica del genere umano, nonostante la sua efficace
vis comica.
Lo
scrittore inglese ci riporta indietro nel tempo di circa 3 milioni di anni,
nell’Africa Centrale del Pleistocene, dove vive una numerosa famiglia di cavernicoli
o uomini scimmia, i cui componenti si esprimono con un anacronistico e
divertente linguaggio moderno. Sembra quasi che gli stessi personaggi, pur
vivendo in un’epoca primordiale, già si identifichino in certe espressioni
tipiche dei nostri tempi e della nostra cultura. Pare che vogliano precorrere i
tempi, pur non avendo ancora le basi della conoscenza.
I
protagonisti principali sono i due fratelli Edwards e Vania (zio Vania, per il
nipote che è anche la voce narrante). Il primo è uno strenuo sostenitore del
progresso e dello sviluppo in tutte le sue forme, sempre ispirato da una grande
creatività, una sorta di antenato di Leonardo da Vinci, che si appresta a fare
le sue grandi scoperte scientifiche; il secondo è invece un moderato
conservatore che non vuole forzare la natura, perché teme gli impatti negativi
che le invenzioni potrebbero avere sull’ambiente circostante. Questa diversità
di vedute e di condotta li porta spesso a litigare, come quando discutono
sull’opportunità o meno di avere un fuoco nelle notti fredde. Secondo zio Vania il fuoco rappresenta una
sorta di vulcano attivo che avrebbe finito per distruggere le foreste e la
natura (...e come non dargli ragione, visti gli scempi moderni); per Edwards (che
l’ha scoperto), è invece uno strumento affascinante, con potenzialità
incredibili: ci si può difendere dagli animali feroci, cuocere i cibi, temperare
le lance. Inoltre, con questa fondamentale scoperta, i nostri ominidi possono
finalmente scendere dagli alberi, su cui avevano sempre vissuto lontano dai
pericoli, e sistemarsi in una bella caverna, “la più lussuosa della zona”, dopo aver cacciato gli orsi che vi
abitavano.
E
quando Edwards arriva a progettare anche l’arco con le frecce, per la prima
volta quel nostro antenato prende coscienza della propria forza: il fuoco e
l’arco possono rendere invincibile il gruppo a cui egli appartiene, sono in
grado di assoggettare altre popolazioni e conquistare altri territori. Ma queste invenzioni si riveleranno fatali
per il suo inventore.
“La natura non sta dalla parte del più
forte” dice Edwards ai suoi figli, “ma dalla parte della specie che sa far
valere un vantaggio tecnologico sull’altra” . E’ una frase simbolica quella
che l’autore fa dire al nostro personaggio, l’espressione che sintetizza
metaforicamente il percorso egemonico
delle varie civiltà storiche che si sono susseguite nel corso dei
millenni e riassume il principio su cui si basa il potere dominante di
qualsiasi epoca. E’ l’esordio, sulla
scena del mondo, della potenza tecnologica che - se nell’Africa del Pleistocene
poteva essere rappresentata dal fuoco o dall’arco, attraverso i quali la
“specie” poteva far valere la sua forza - nei tempi moderni è senz’altro
raffigurata dalle armi di distruzione di massa, capaci di distruggere uomini e
cose. Mi viene in mente a questo punto una famosa frase di Albert Einstein il
quale affermava: “Non so con quali armi verrà combattuta la Terza Guerra
Mondiale, so però con quali armi verrà combattuta la Quarta: con la clava”.
Siamo destinati, quindi, ad un ritorno al passato? ...Un ritorno nel
Pleistocene con l’arco e le frecce?
Ma quanto mi ha divertito questo libro!
RispondiEliminaL'ho letto diversi anni fa. Molto, molto brillante.
Fa sempre piacere trovare qualcuno che condivide le tue letture :-). E' vero: il libro è molto divertente
EliminaCiao Remigio, Mia Euridice e tu mi avete incuriosita con la descrizione e il commento a questo libro. Mi sa che lo leggerò anch'io :) Grazie
RispondiEliminaNon te ne pentirai! Grazie a te per essere passato da queste parti :-)
EliminaQuello che viene definito progresso non sempre infatti lo è. Come non sempre l'intelligenza umana viene utilizzata a scopo di bene. Basta pensare alla bomba atomica. E la scienza per quanto avanzi non sarà mai capace di dare risposte esaustive sul profondo e misterioso significato della vita. Sapremo tutto del come ma nulla del perchè.
RispondiEliminaRiflessione profonda che condivido. Grazie
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