Vladimiro ed Estragone, i
protagonisti del libro di Samuel Beckett (1906-1989), sono due mendicanti che si incontrano
per caso una sera in aperta campagna; aspettano un certo Godot, di cui non
sanno nulla, non l’hanno mai visto e non sono sicuri se verrà a
quell’appuntamento così strano e così assurdo. Inizia una lunga attesa, che
dura poco più di cento pagine, ma che potrebbe protrarsi all’infinito. Si,
perché Vladimiro ed Estragone - che vengono poi raggiunti da Pozzo, un ricco
castellano che porta al guinzaglio il suo servitore Lucki - nell’attesa
discorrono di facezie, sostenendo a volte cose senza senso e
senza un filo logico, come in una sorta di comica ricerca introspettiva di se
stessi. Si ha come l’impressione che quello strano e strampalato dialogo fra
due persone così bizzarre, intervallato da lunghi silenzi, possa andare avanti
senza fine, fino a consumare la vita stessa dei protagonisti, nella vana attesa
di questo fantomatico Godot.
Il racconto, tutt’ora
rappresentato in tutti i teatri, potrebbe essere sintetizzato con una frase di
Estragone, il quale rivolgendosi al suo amico Vladimiro afferma: “Non succede
niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile”.
E’ un’attesa che sembra quasi
logorare e lacerare l’animo dei personaggi, disorientando nel contempo il
lettore che si aspetta, da un momento all’altro, qualche evento significativo
capace di dare un senso alla storia. Ma nulla di tutto questo si verifica,
tant’è che i nostri eroi alla fine sembrano stanchi di aspettare e decidono di
andare via.
“Allora andiamo?” dice Vladimiro
ad Estragone. “Si andiamo” dice Estragone. Ma nessuno dei due si muove, e a
nostra insaputa continuano ad aspettare quel Godot, che forse potrebbe
migliorare la loro infelice esistenza e liberarli da quell’attesa faticosa ed
angosciante che sembra quasi una condanna senza fine.
Mi viene da pensare, dopo aver
letto questo strano libro, che ognuno di noi - come Vladimiro ed Estragone - si
trova sempre nella condizione di dover aspettare un immaginario Godot; un Godot
che a seconda dei casi e delle circostanze, può assumere le sembianze di un
“qualcuno” o di un “qualcosa” che possa, come per incanto, liberarci dalla noia
del tran tran quotidiano, dagli affanni del vivere di tutti i giorni e rendere
più sopportabile e felice la nostra umana esistenza. Godot è la metafora
dell’amore impossibile, è l’attesa di un incontro importante e significativo ma
è anche l’aspettativa di un’occasione o di un evento straordinario che possano
cambiare in meglio la nostra vita. Per essere estremamente materialisti,
aspettare Godot è come sperare in una vincita alla lotteria.
E’ l’attesa di un sogno che raramente si avvera e si materializza che procura
delusioni ed amarezze, ma che si alimenta sempre con la speranza, che è
l’ultima a morire.
L'ho letto tanti anni fa...
RispondiEliminaEro giovane!
Io l'ho letto di recente...e non sono più giovane :-)
Eliminaciao Mia
ti sono grato, confesso che pur citando talvolta questo titolo di Becket non ne conoscevo bene la trama. affascinante e sconfortante nella sua inazione, dovrei leggerlo.
RispondiEliminaciao
ml
Grazie a te. A volte i blog servono a qualcosa. :-) Ciao
EliminaVisto a teatro da studentessa...
RispondiEliminaUna noia!
Nemmeno il libro è entusiasmante....quindi ti capisco. Tuttavia, aspettare Godot, rientra ormai nell'immaginario collettivo.
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