Da
un po’ di anni a questa parte, all’inizio dell’estate, amo trascorrere qualche
giorno su un’isola, mi piace immergermi in quelle magiche atmosfere che solo
una terra circondata dal mare sa offrire. E’ un’esigenza che nasce,
probabilmente, allorquando la confusione e lo stress della grande città rendono
la vita quotidiana sempre più difficile e fastidiosa e, allora, si affaccia
l’intimo desiderio di rifugiarmi su quella immaginaria “isola deserta”, per
stemperare le amarezze, le difficoltà, le delusioni, la stanchezza. E’ proprio
in quei momenti che affiora questo dolce pensiero, quest’ancora di salvezza: l’isola
come conforto dell’anima. Per chi ama il silenzio e la contemplazione, l’isola è
sinonimo di pace, di distacco dalle miserie umane e dalle tribolazioni della
vita di tutti i giorni. Per chi, invece, mal sopporta un’esistenza poco
movimentata, l’isola evoca soltanto solitudine, emarginazione, reclusione, ma è
un sentimento - quest’ultimo - che non mi appartiene. A prima vista la nostra
isola – qualsiasi isola - appare irraggiungibile e minacciosa: sembra quasi che, con quella immensa
distesa d’acqua da cui è circondata, voglia respingere qualsiasi viandante, intenda
erigere un baluardo alla sua inviolabilità. Poi, una volta messo piede a terra,
questi pensieri negativi svaniscono immediatamente per prendere il posto di
sensazioni più piacevoli dovute alla calda accoglienza che il luogo sa donare.
Facevo
queste riflessioni mentre scendevo dall’aliscafo che, dal porto di Casamicciola,
mi aveva riportato sull’isola di Procida. E, uscendo dalla grande pancia della
nave ho provato ad immaginare – estraniandomi con difficoltà dal contesto
vacanziero in cui ero immerso e dalla variegata e accaldata umanità che mi stava
intorno – di essere approdato su
un’isola sconosciuta e selvaggia alla stregua di quegli antichi navigatori del
passato che, dopo mesi e mesi di navigazione in alto mare, sbarcavano su terre
lontane e disabitate. Era come uscire dal grembo materno e trovarsi in un mondo
ostile e sconosciuto. Chissà quali
sensazioni e quali straordinarie emozioni provavano quei pionieri del mare al
cospetto di una terra mai vista prima. A noi, moderni viaggiatori, non è più
concesso vivere quelle esperienze perché tutto ciò che c’era da scoprire è
stato scoperto e non esistono terre sconosciute su cui issare la nostra
bandiera. Eppure, quando sbarchiamo su un’isola, le sorprese non mancano mai,
basta cercarle: in una piazzetta a picco sul mare oppure percorrendo un vicoletto
che si snoda tra le casette dei pescatori o visitando un’antica chiesa. Con un
po’ di fantasia possiamo sentirci tutti dei novelli esploratori in cerca della
terra promessa.
Arrivando
sull’isola di Procida, ci accoglie un simbolo cristiano: la statua del Cristo
Pescatore, dovuto alla fede dei pescatori del luogo, e poi quel tipico
paesaggio marinaro costituito da barche da pesca, barconi mercantili (ma anche
qualche imbarcazione più lussuosa) e tante casette colorate addossate le une
sulle altre, come un presepe. Mi è sembrato che nel porto non ci fossero molte
imbarcazioni eleganti, quegli yacht da nababbi che popolano sempre in gran
numero gli altri porti dell’arcipelago partenopeo; abbondano invece le piccole
barche degli isolani a conferma del fatto che il turismo d’elite preferisce altri
lidi. Percorrendola in lungo e in largo,
salta subito agli occhi che Procida vive nel ricordo di un film che fu qui
girato nel 1994: “il Postino”, con l’indimenticabile interpretazione di Massimo
Troisi; la sua immagine triste e malinconica è presente un po’ ovunque, nelle
piazze come nei locali pubblici, e forse nessun personaggio meglio dell’attore
napoletano poteva rappresentare la vera essenza dell’isola, che è nel contempo
appartata, generosa e malinconica. Ma anche un’altra figura è scolpita nella
memoria storica di Procida: è Arturo, l’eroe-ragazzo nato dalla penna di Elsa
Morante, protagonista del romanzo “L’isola di Arturo”, che vive la sua
avventura adolescenziale in questo luogo a cavallo degli anni ’50. Così la
descrive: “ la mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i
quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie
spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di
ciottoli e conchiglie, e nascoste tra grandi scogliere. (…) Attorno al porto,
le vie sono tutti vicoli senza sole, fra le case rustiche e antiche di secoli,
che appaiono severe e tristi, sebbene tinte di bei colori di conchiglia, rosa e
cinereo. Sui davanzali delle finestruole, strette quasi come feritoie, si vede
qualche volta una pianta di garofano, coltivata in un barattolo di latta;
oppure una gabbietta che si direbbe adatta per un grillo, e rinchiude una
tortora catturata (…) Mai, neppure
nella buona stagione, le nostre spiagge solitarie conoscono il chiasso dei
bagnanti che, da Napoli e da tutte le città, e da tutte le parti del mondo,
vanno ad affollare le altre spiagge dei dintorni. E se per caso uno straniero
scende a Procida, si meraviglia di non trovarvi quella vita promiscua e
allegra, feste e conversazioni per le strade, e canti, e suoni di chitarre e
mandolini, per cui la regione di Napoli è conosciuta su tutta la terra”. Ma,
mentre la figura del postino-Troisi con la sua immancabile bicicletta si incrocia
dappertutto, è più raro incontrare riferimenti letterari tratti dal libro della
Morante, a conferma del fatto che nella nostra epoca “le immagini”, da
qualunque fonte esse provengano (cinema, televisione o pubblicità) hanno il
sopravvento sulla “parola”. Procida suscita un fascino antico: appare riservata
e rustica e non ha nulla a che vedere con l’eleganza e la ricercatezza di Capri
né con la grandezza e la ricchezza di Ischia. E’ sostanzialmente un’isola di
pescatori e contadini e porta nel suo grembo tutta la discrezione e la saggezza
della sua gente. I Procidani, diceva Arturo “sono scontrosi, taciturni. Le porte sono tutte chiuse, pochi si
affacciano alle finestre, ogni famiglia vive fra le sue quattro mura, senza
mescolarsi alle altre famiglie. L’amicizia da noi non piace. E l’arrivo di un
forestiero non desta curiosità, ma piuttosto diffidenza”.
Prima
di lasciare l’isola, mi sono incamminato sulla sua sommità, a circa cento metri
sul livello del mare, su quella che i Procidani chiamano “terra murata”; qui si staglia la massiccia mole del vecchio
carcere ormai abbandonato. Osservandolo, circondato com’ero da quel meraviglioso
paesaggio che si poteva ammirare da lassù, ho pensato che solo degli uomini
cinici e malvagi potevano rinchiudere altri uomini in un posto così bello: una
crudele destinazione per i detenuti partorita dalla spietata cattiveria dei
loro carcerieri. Da quell’altezza, guardando da una delle terrazze che si
aprono a strapiombo sul mare, lo spettacolo è davvero esaltante: in lontananza,
tra un cielo e un mare senza fine, di un azzurro intenso, appare la silhouette
di Capri e poi, osservando in basso, il coloratissimo porticciolo di pescatori
“la Corricella” con le sue case multicolori addossate alla collina. Mi sono
fermato lì ad osservare rapito quel panorama, opera stupenda di un Dio.
A me è piaciuta tanto proprio per quella sua aria un po' sottotono così autentica e vera. E per il mare spettacolare intorno. Mamma mia, che voglia di vacanze!
RispondiEliminaE' un'isola che si addice alle persone sensibili e meditative....buona vacanza
EliminaAnche a me piacciono le isole. E' bello questo tuo rito di iniziare l'estae passano qualche giorno su un'isola. Da copiare ;-)
RispondiEliminaGrazie. Ti consiglio di sperimentare questo rito estivo. Non te ne pentirai. Ciao
Eliminaprocida ha quei requisiti di tranquillità e bellezza pudica per essere l'"isola-rifugio" che descrivi tu.
RispondiEliminaciao
massimolegnani
Hai trovato la parola giusta "isola-rifugio". Grazie Massimo
Eliminafilm indimenticabile, d'atmosfera.
RispondiEliminaMe lo ricordo benissimo: magnifico!
EliminaMeravigliosa isola..
RispondiEliminaL'aggettivo giusto: meravigliosa
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