Nessun artista, prima di
Edward Hopper, aveva avuto la spregiudicatezza di innalzare a dignità artistica
la realtà urbana e metropolitana, ossia le scene ordinarie di vita quotidiana
di una grande città come New York; nessuno, prima di lui, si era mai spinto ad
osservare, direi quasi a “spiare” – attraverso la pittura – l’interno di un
appartamento o di un ufficio, colti nel momento in cui gli ignari occupanti erano
immersi nelle proprie faccende private o pubbliche. Lo fece per la prima volta
questo pittore, nato in una piccola cittadina sul fiume Hudson nel 1882, appartenente
ad una ricca e colta famiglia borghese dell’America di fine Ottocento. La
scelta di utilizzare in pittura soggetti artistici non in linea con gli ideali
imposti dall’arte moderna e, soprattutto, dalle richieste del mercato dell’arte,
provocò, almeno inizialmente, una reazione molto dura nei suoi confronti sia da
parte della critica americana che dell’opinione pubblica. Questa sua vocazione
al realismo, questa sua totale fermezza nel perseguire una propria linea
pittorica lontana dalle mode, lo condannarono in principio all’indifferenza
generale, tanto è vero che Hopper presentò a New York la sua prima mostra
personale solo all’età di 38 anni, esponendo una quindicina di quadri ad olio,
senza venderne nessuno. L’apprezzamento, di critica e di pubblico, sarebbe
arrivato in seguito.
Ma perché Hopper era attratto
dalle periferie urbane, dalle stanze dei motel, dalle stazioni ferroviarie,
dalle strade quasi sempre deserte e dai distributori di benzina isolati? Perché
amava rappresentare la solitudine e gli spazi vuoti e assolati? Perché i
protagonisti nei suoi quadri appaiono sempre soli e, se in coppia, sembrano
estranei, distaccati e non comunicano quasi mai tra di loro? Nemmeno lui sapeva
spiegarlo, tant’è che scriveva: “il mio
obiettivo in pittura è di usare sempre la natura come mezzo per provare a
fissare sulla tela le mie reazioni più intime nei confronti dell’oggetto così
come esso appare nel momento in cui lo amo di più…Perché io, poi, scelga
determinati oggetti piuttosto che altri, non lo so neanche io con precisione,
ma credo che sia perché rappresentano il miglior modo per arrivare a una
sintesi della mia esperienza interiore”. E la sintesi della sua esperienza
interiore era essenzialmente la solitudine. C’è da dire che Hopper era un uomo
riservato e timido, incapace di sentirsi a proprio agio tra la gente; egli
amava nascondersi piuttosto che apparire. Se fosse vissuto nella nostra epoca,
considerata la sua indole solitaria, credo che si sarebbe negato a qualsiasi
intervista e non sarebbe stato mai ospite di programmi televisivi, così
appetibili dai vip dei nostri giorni. Probabilmente queste sue peculiarità
caratteriali influenzarono molto la sua pittura che ci parla, appunto, della
solitudine urbana, quella solitudine celata dietro le cortine delle finestre o
lungo una strada assolata di periferia; la sua pittura ci parla
dell’alienazione che gli individui vivono nelle grandi città e delle difficoltà
di comunicazione interpersonale. Inoltre, sembra quasi che Hopper nei suoi
quadri voglia rappresentare il tempo, o meglio la sospensione del tempo,
attraverso luci e ombre che si stagliano sulle cose, in assenza di persone e di
sentimenti. Una volta disse: “io non
voglio dipingere la gente che gesticola e che esprime emozioni. Quello che
voglio fare è dipingere la luce su di un lato di una casa”.
Molti sono i critici che
vedono nella pittura di Hopper la riproduzione dello squallore e della desolazione
di una certa America. Ma io credo che non sia proprio così. Hopper era
innanzitutto un attento osservatore della realtà che lo circondava e attraverso la visibile tristezza che traspare
dai suoi dipinti, egli intendeva rappresentare la universale fragilità della
condizione umana. Il suo messaggio, umano e artistico, è quello di farci
riflettere sulla vera essenza delle cose e sugli aspetti più banali della
quotidiana esistenza; con i suoi quadri l’artista americano ci rivela che la “poesia”
si può trovare anche in una sperduta stazione di servizio, lungo una strada che
attraversa un bosco e che la felicità si può percepire anche in motel o in una sala
d’attesa semivuota di una stazione ferroviaria. Perché a volte sono proprio
quei luoghi che apparentemente appaiono i più tristi e malinconici, frequentati
da avventori smarriti e in rotta di collisione con la società e con la vita, a
consolarci della nostra tristezza. Le hall degli alberghi, i vagoni dei treni
poco frequentati, le caffetterie aperte fino a tarda notte ai lati della strada
– dipinti da Hopper – diventano, così, un rifugio accogliente per quanti si
sentono abbandonati e traditi dalla vita, luoghi ideali dove poter
tranquillamente stemperare la propria solitudine e la propria sofferenza.
Ma c’è un aspetto nella
pittura di Hopper che per me è fondamentale e caratterizzante della sua arte:
il silenzio che traspare in tutte le sue opere. Credo che nessuno meglio di
Hopper, abbia saputo raffigurare questa dimensione, irrimediabilmente perduta
nell’epoca in cui viviamo, contrassegnata da rumori che non lasciano spazio alla
riflessione a all’ascolto.
Che dire? Meglio di così non si può spiegare questo pittore che a me piace tanto. . .
RispondiEliminaGrazie! è un artista che piace tanto anche a me.
EliminaFalchi della Notte.
RispondiElimina....?
EliminaConcordo su quanto hai scritto sulla “poesia” che si può trovare anche in suoi dipinti di silenziose solitudini, ma mi spingo oltre, ossia lascia a chi guarda il dipinto di intuire il “dopo”, ciò che accadrà. La donna che guarda il sole del mattino seduta sul letto trasmette solitudine, ma lascia a me di immaginare che farà dopo e potrebbe piacermi di immaginare che esca da quella solitudine. Anche se, guardando alla società in cui viviamo, mi verrebbe di dire che Hopper era solo il precursore dell’attuale condizione umana (magari la coppia raffigurata avrebbe tra le mani un cellulare ….). Quindi piena aderenza alla realtà. A me comunque piace. Ciao. Marilena
RispondiEliminaCiao Marilena....è vero, Hopper offre la possibilità a chi guarda i suoi dipinti di poter percepire il “dopo”. E naturalmente quel dopo ognuno lo legge in maniera diversa: per quanto mi riguarda quella coppia “spiata” attraverso la finestra mi piace immaginarla senza cellulare…:-)
RispondiEliminaUn caro saluto
direi proprio un bel ritratto d'artista!
RispondiEliminaGrazie Sara e benvenuta nel mio blog
EliminaIn uno dei miei vecchi blog (poi puntualmente cancellati) avevo insierito una micro storia. Una sorta di filo immaginario che legava alcuni quadri di Hopper, a cui era anche ispirata la storia. Penso che guardando i suoi lavori, oltre il silenzio, si percepisca una stanchezza di fondo. Tra la resa e l'attesa di qualcosa.
RispondiEliminaSono d'accordo con te: i quadri di Hopper evocano anche l'attesa. Tutti i personaggi, immersi nella loro solitudine silenziosa, sembrano aspettare qualcuno. Grazie per la visita
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