venerdì 20 giugno 2014

Il dramma di una donna nell'Austria di fine Ottocento





La storia, sotto forma di monologo interiore, è ambientata tra Vienna e Salisburgo, sul finire dell’Ottocento. Tutta la vicenda del libro (scritto da Arthur Schnitzler nel 1928, qualche anno prima della sua morte avvenuta nel 1931),  ruota intorno ad una giovane figura femminile, Therese, appartenente ad una aristocratica famiglia viennese decaduta: il padre, Hubert Fabiani (di origini italiane) è un colonnello dell’esercito in pensione ( appare nelle prime pagine del romanzo, poi esce di scena quando viene chiuso in una casa di cura per disturbi mentali), la madre, invece, è una nobildonna croata, con velleità letterarie, sempre immersa nella lettura di romanzi, poco preoccupata dell’andamento della casa, che non si interessa affatto della figlia e le diventa sempre più estranea; il fratello, inoltre, poco più grande di lei, completamente assorbito dalla sua attività politica e professionale, non vive un buon rapporto con la sorella.
 
La protagonista ben presto si allontana dal suo opprimente ambiente familiare, in cerca di una sua vita indipendente;  inizia così a condurre una sorta di doppia esistenza alquanto raminga, da un luogo all’altro: l’una come istitutrice o dama di compagnia presso varie famiglie borghesi, l’altra come madre di un bambino, nato da una relazione illegittima, il cui genitore si dilegua subito dopo la nascita, abdicando così alle proprie responsabilità.  La nascita di questo bambino, inizialmente affidato alla custodia di una famiglia di contadini, viene vissuta dalla protagonista con un senso di grave e insanabile colpa, aggravata dal tentato infanticidio, il cui proposito sarà alla base della sua infelicità, del suo tormento interiore, della inutilità della sua esistenza.

Therese, fin dalle prime pagine del romanzo, appare insensibile, sembra non avvertire alcun sentimento materno, non riesce a provare nessuna tenerezza per suo figlio; si sente smarrita, non comprende il suo destino, non gliene importa nulla di essere madre, avverte la consapevolezza che “non era venuta al mondo per essere felice”.

Vive la sua esistenza in solitudine, come una creatura che non appartiene a se stessa, né agli altri, passa da una avventura sentimentale ad un’altra, senza una sua casa, si adatta rapidamente alle nuove situazioni che si presentano ogni qualvolta si ritrova a dover cambiare luogo di lavoro e famiglia, bilanciando con grande capacità gli elementi di riserbo e di familiarità che costituiscono entrambi  l’essenza della sua professione; è comunque consapevole di essere madre e di dover proteggere e allevare anziché il proprio figlio i bambini di gente estranea, “che non sapeva dove il giorno appresso avrebbe potuto posare il capo, che una volta, trattata da confidente casuale o coinvolta di proposito, veniva messa al corrente delle vicende, degli affari e dei segreti di gente estranea e poi la volta seguente veniva messa sul lastrico come una perfetta estranea”

Da quando aveva avuto quella sua prima dolorosa esperienza, Therese non crede più alla possibilità di essere amata e di essere felice, e i vari tentativi di approccio, goffi e disgustosi, che subisce da parte di padroni e di semplici conoscenti, non l’aiutano di certo a migliorare la sua posizione. Le sembra che tutti siano maldisposti, addirittura ostili nei suoi confronti. Suo figlio, che vede raramente, diventa sempre più un disadattato, un delinquente che finirà anche in galera, interessato solo ai pochi soldi della madre.

Nonostante la trama del romanzo sia alquanto scarna e debole, direi ripetitiva nelle scene narrate – assistiamo infatti a lunghe descrizioni dei vari contesti familiari in cui la protagonista si ritrova a svolgere la propria attività lavorativa - il romanzo riesce tuttavia a focalizzare l’attenzione del lettore sui meccanismi mentali dei personaggi, con la sua prosa colta e ricercata, com’è nello stile di Schnitzler.

Il finale del libro è profondamente drammatico e triste nello stesso tempo. Una tristezza che ti avvolge e ti sconvolge, quasi a farti male. L’autore, inoltre, attraverso il racconto di questa dolorosa e sofferta vicenda individuale, intende anche porre lo sguardo su un’intera società, quella austriaca di fine Ottocento, sugli aspetti, anche quelli più sgradevoli, delle abitudini della borghesia di quel particolare momento storico.
 

(letto nel gennaio 2013)

2 commenti:

  1. Un autore di tutto rispetto la cui prosa scorre senza impacci

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  2. Dici bene, Silvia, è un grande scrittore. Grazie per la visita

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