“Non mi sono mai sentito solo,
o minimamente oppresso da un senso di solitudine, meno che una volta, cioè
poche settimane dopo che ero venuto nei boschi, quando, per un’ora, mi chiesi
se la prossima vicinanza umana non fosse necessaria a una vita serena e
salutare. Essere solo diventava qualcosa di spiacevole. Ma contemporaneamente,
ero consapevole che nel mio umore c’era un leggero vizio, e mi pareva di potere
già prevederne la guarigione. Stavo sotto una pioggia leggera, in preda a
questi pensieri, e all’improvviso mi resi conto della benefica e dolce
compagnia della Natura, reperibile proprio nel picchiare delle gocce e in ogni
altro suono e visione attorno alla mia casa, una infinita e inesplicabile
condizione d’amicizia che d’improvviso mi sorreggeva come un’atmosfera, in
quanto rendeva insignificanti i vantaggi immaginari derivanti da vicinanza
umana; così da allora non ci pensai più….
Trovo salutare restare solo
per la maggior parte del tempo. Essere in compagnia, anche dei migliori,
provoca subito noie e dispersioni. Amo restare solo. Non trovai mai un compagno
che fosse tanto buon compagno della solitudine. Per la maggior parte, noi siamo
più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. Un
uomo che pensi o lavori è sempre solo – lasciatelo stare dove vuole. La
solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un
uomo e il suo prossimo. Lo studente realmente studioso è un solitario, in uno
degli affollati alveari di Harvard, come un derviscio nel deserto. Il contadino
può lavorare da solo per tutto il giorno, nel campo o nel bosco, zappando o
tagliando legna, e non sentirsi tale perché ha qualche cosa da fare; ma a sera,
quando torna a casa, non può sedersi da solo in una stanza, alla mercé dei suoi
pensieri, ma deve stare dove può “veder gente”, e svagarsi e – come s’immagina
– remunerare se stesso per la sua solitudine giornaliera; pertanto egli si
meraviglia come mai lo studente possa sedere, solo, in casa, per tutta la notte
e gran parte del giorno, senza noia e pensieri neri; non capisce che lo
studente, sebbene in casa, sta ancora lavorando il suo campo e sta tagliando nel suo
bosco, come il contadino, e che a sua volta cerca lo stesso divertimento di
quest’ultimo, sebbene, magari, in una forma più condensata.
Di solito, la compagnia è
troppo da poco. C’incontriamo a intervalli molto brevi, non avendo avuto il
tempo di acquistare qualsiasi nuovo valore reciproco. C’incontriamo ai pasti
tre volte al giorno, e reciprocamente offriamo un nuovo assaggio di quel
vecchio formaggio ammuffito che siamo. Abbiamo dovuto metterci d’accordo su una
certa serie di regole, chiamate gentilezza ed etichetta, per rendere
tollerabile questo frequente incontro, e così che non sia necessario venire ai
ferri corti. C’incontriamo all’ufficio postale, alle riunioni, e presso il
fuoco, ogni notte; viviamo l’uno troppo presso all’altro e ci intralciamo a
vicenda, inciampiamo l’uno sopra l’altro, e credo che così perdiamo un certo
mutuo rispetto. Certamente, per tutte le comunicazioni importanti e cordiali
basterebbe meno frequenza. Pensate alle ragazze della fabbrica – mai sole, e
tali appena appena nei loro sogni. Sarebbe meglio se ci fosse un solo abitante
per miglio quadrato, come dove io vivo. Il valore di un uomo non è nella sua
pelle, così non occorre toccarlo”.
( tratto da “Walden o vita nei boschi”
di Henry D. Thoreau )
Bello questo passo di Thoreau. Evocativo. Condivisibile?
RispondiEliminaThoreau ci proponeva una nuova filosofia di vita, un diverso modo di pensare e di vivere, un modello alternativo di esistenza a contatto con la natura, non scandito dalle lancette dell'orologio, lontano dalla fretta, dalla produzione e dal consumo. So bene che tutto ciò è difficile da realizzare; eppure, quella casetta in mezzo al bosco mi affascina, la vedo essenzialmente come un luogo dello spirito...un desiderio...uno stato d'animo.
EliminaGrazie per la visita
Da leggere!
RispondiEliminaDirei proprio di si. Resta un classico per gli amanti della natura
Elimina