Bertrand Russel è stato uno
dei più grandi intellettuali del ‘900: il suo pensiero ha influenzato notevolmente
la cultura del mondo occidentale. In un suo libro affermava che “l’etica del lavoro è l’etica degli schiavi,
e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi”. Partendo da questo
principio, proponeva di lavorare solo 4 ore al giorno: sarebbero bastate, non
solo per assicurare una produzione di beni e di servizi sufficienti per tutti,
ma anche per garantire ad ognuno il necessario per vivere dignitosamente. Ma la
cosa più importante, secondo lui, è che una siffatta organizzazione del lavoro
avrebbe finalmente sconfitto la disoccupazione.
In un sistema sociale di
questo genere, Russel riteneva essenziale l’istruzione, che doveva essere molto
più completa dell’attuale e che mirasse, in parte, ad educare e raffinare il
gusto in modo che un uomo potesse sfruttare con intelligenza il proprio tempo
libero. Il lavoro richiesto a ciascuno, affermava il filosofo inglese, sarebbe
sufficiente per farci apprezzare il tempo libero; e non essendo stanchi per il
troppo lavoro, non ci limiteremmo a svaghi passivi e vacui ma potremmo dedicare
parte del tempo non impegnato nel lavoro professionale anche a ricerche di
utilità pubblica. Egli, insomma, immaginava una società in cui lavorassero
tutti - ma poco - dando così grande
spazio al “saggio uso dell’ozio, che è un
prodotto della civiltà e dell’educazione”. Sognava un mondo in cui al
centro ci fosse l’uomo affrancato dal troppo lavoro e non l’uomo schiavo del
lavoro. Auspicava una società in cui tutti avessero il necessario per vivere -
lavorando il meno possibile - per poter dedicare il resto del tempo alle cose
più belle della vita. Un progetto apparentemente molto interessante che, però, non
è stato mai preso in seria considerazione dagli economisti e dal potere
dominante. E’ stato visto come un disegno puramente accademico e utopistico.
Tuttavia, nella nostra società caratterizzata da una massa di super impegnati a
fronte di un’altra massa di senza lavoro, poter dividere gli incarichi e le attività
lavorative secondo un principio di equità non sarebbe una cosa del tutto
sconveniente.
A volte mi capita di ascoltare
persone che si annoiano se all’improvviso, magari per qualche giorno, a causa
di un malanno, sono costrette a stare a casa senza poter lavorare. Sono le
stesse persone che dopo aver lavorato per tutta una vita e per tantissime ore
al giorno, non sanno più che fare quando vanno in pensione. E probabilmente non saprebbero come riempire le
loro giornate se dovessero lavorare soltanto quattro ore su ventiquattro. La
nostra è una società che spinge gli individui a lavorare sempre di più (quelli
che già hanno un lavoro) e si dimentica di coloro che un lavoro non ce l’hanno.
Il giornalista Massimo Fini
scriveva giorni fa su un quotidiano che non ha senso aver inventato strumenti
che velocizzano al massimo il tempo se poi siamo costretti a impiegare il tempo
così guadagnato in altro lavoro (magari investito nella creazione di strumenti
ancor più veloci in un circuito vizioso che non ha mai fine). Abbiamo usato
malissimo la tecnologia che avrebbe potuto liberarci dalla schiavitù del lavoro
e invece l’abbiamo utilizzata per renderlo ancor più alienante, o assente
proprio mentre lo abbiamo reso necessario.
E allora sarebbe essenziale
ripensare il lavoro, magari ripartendo da quegli antichi mestieri di una volta che
oggi sembrano essere scomparsi dal mondo lavorativo (il falegname, il sarto, il
fabbro, l’idraulico ecc.) sostituiti da professioni dai nomi improbabili che
non si sa bene cosa facciano ( il curatore d’immagine, il webmaster, il
consulente di marketing, l’ideatore di videogame, l’allocatore di risorse). Ve
lo immaginate un bambino alle scuole elementari, che alla domanda del maestro
cosa fa tuo padre, debba rispondere il project manager? Gli altri compagni di
classe non capirebbero e forse neanche il maestro sarebbe capace di spiegare ai
suoi alunni la vera attività di quel genitore.
Dobbiamo ripartire – senza per
questo ritornare nel medioevo – dalle arti manuali, dalle piccole imprese
agricole, dalle botteghe di artigianato, dai negozi a conduzione familiare,
affinché si possa lavorare unicamente per produrre ciò di cui abbiamo bisogno,
anziché consumare sempre di più per poter continuare a produrre all’infinito
cose di cui non sappiamo che farcene.
Sono anch'io un ammiratore di Russel (seppure alcuni suoi argomenti li trovo, in un contesto attuale, un po' "datati"...) e rileggere le sue opere continua a farmi bene allo spirito.
RispondiEliminaLa diminuzione dell'orario di lavoro a fronte di una maggior occupazione e di una più umana e saggia fruizione del tempo libero resta però un discorso sempre attuale e soprattutto sensato.
Complimenti per il suo blog che scopro solo oggi e che sto visitando con piacere!
Orlando Furioso
La ringrazio innanzitutto per le belle parole spese per il mio blog. E poi sono d'accordo con lei: la rilettura di Russel fa veramente bene allo spirito, considerato anche che alcune delle sue tematiche sono di stringente attualità. Avevo già avuto occasione di visitare il suo blog, che è veramente particolare e specialistico. Sono stato fino ad una certa età un assiduo lettore di fumetti, poi l'ho abbandonata un po' questa passione.
EliminaGrazie per la visita.