sabato 12 aprile 2014

L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi?



Bertrand Russel è stato uno dei più grandi intellettuali del ‘900: il suo pensiero ha influenzato notevolmente la cultura del mondo occidentale. In un suo libro affermava che “l’etica del lavoro è l’etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi”. Partendo da questo principio, proponeva di lavorare solo 4 ore al giorno: sarebbero bastate, non solo per assicurare una produzione di beni e di servizi sufficienti per tutti, ma anche per garantire ad ognuno il necessario per vivere dignitosamente. Ma la cosa più importante, secondo lui, è che una siffatta organizzazione del lavoro avrebbe finalmente sconfitto la disoccupazione.
In un sistema sociale di questo genere, Russel riteneva essenziale l’istruzione, che doveva essere molto più completa dell’attuale e che mirasse, in parte, ad educare e raffinare il gusto in modo che un uomo potesse sfruttare con intelligenza il proprio tempo libero. Il lavoro richiesto a ciascuno, affermava il filosofo inglese, sarebbe sufficiente per farci apprezzare il tempo libero; e non essendo stanchi per il troppo lavoro, non ci limiteremmo a svaghi passivi e vacui ma potremmo dedicare parte del tempo non impegnato nel lavoro professionale anche a ricerche di utilità pubblica. Egli, insomma, immaginava una società in cui lavorassero tutti  - ma poco - dando così grande spazio al “saggio uso dell’ozio, che è un prodotto della civiltà e dell’educazione”. Sognava un mondo in cui al centro ci fosse l’uomo affrancato dal troppo lavoro e non l’uomo schiavo del lavoro. Auspicava una società in cui tutti avessero il necessario per vivere - lavorando il meno possibile - per poter dedicare il resto del tempo alle cose più belle della vita. Un progetto apparentemente molto interessante che, però, non è stato mai preso in seria considerazione dagli economisti e dal potere dominante. E’ stato visto come un disegno puramente accademico e utopistico. Tuttavia, nella nostra società caratterizzata da una massa di super impegnati a fronte di un’altra massa di senza lavoro, poter dividere gli incarichi e le attività lavorative secondo un principio di equità non sarebbe una cosa del tutto sconveniente.
A volte mi capita di ascoltare persone che si annoiano se all’improvviso, magari per qualche giorno, a causa di un malanno, sono costrette a stare a casa senza poter lavorare. Sono le stesse persone che dopo aver lavorato per tutta una vita e per tantissime ore al giorno, non sanno più che fare quando vanno in pensione. E  probabilmente non saprebbero come riempire le loro giornate se dovessero lavorare soltanto quattro ore su ventiquattro. La nostra è una società che spinge gli individui a lavorare sempre di più (quelli che già hanno un lavoro) e si dimentica di coloro che un lavoro non ce l’hanno.
Il giornalista Massimo Fini scriveva giorni fa su un quotidiano che non ha senso aver inventato strumenti che velocizzano al massimo il tempo se poi siamo costretti a impiegare il tempo così guadagnato in altro lavoro (magari investito nella creazione di strumenti ancor più veloci in un circuito vizioso che non ha mai fine). Abbiamo usato malissimo la tecnologia che avrebbe potuto liberarci dalla schiavitù del lavoro e invece l’abbiamo utilizzata per renderlo ancor più alienante, o assente proprio mentre lo abbiamo reso necessario.

E allora sarebbe essenziale ripensare il lavoro, magari ripartendo da quegli antichi mestieri di una volta che oggi sembrano essere scomparsi dal mondo lavorativo (il falegname, il sarto, il fabbro, l’idraulico ecc.) sostituiti da professioni dai nomi improbabili che non si sa bene cosa facciano ( il curatore d’immagine, il webmaster, il consulente di marketing, l’ideatore di videogame, l’allocatore di risorse). Ve lo immaginate un bambino alle scuole elementari, che alla domanda del maestro cosa fa tuo padre, debba rispondere il project manager? Gli altri compagni di classe non capirebbero e forse neanche il maestro sarebbe capace di spiegare ai suoi alunni la vera attività di quel genitore.
Dobbiamo ripartire – senza per questo ritornare nel medioevo – dalle arti manuali, dalle piccole imprese agricole, dalle botteghe di artigianato, dai negozi a conduzione familiare, affinché si possa lavorare unicamente per produrre ciò di cui abbiamo bisogno, anziché consumare sempre di più per poter continuare a produrre all’infinito cose di cui non sappiamo che farcene.
 

2 commenti:

  1. Sono anch'io un ammiratore di Russel (seppure alcuni suoi argomenti li trovo, in un contesto attuale, un po' "datati"...) e rileggere le sue opere continua a farmi bene allo spirito.
    La diminuzione dell'orario di lavoro a fronte di una maggior occupazione e di una più umana e saggia fruizione del tempo libero resta però un discorso sempre attuale e soprattutto sensato.
    Complimenti per il suo blog che scopro solo oggi e che sto visitando con piacere!
    Orlando Furioso

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    1. La ringrazio innanzitutto per le belle parole spese per il mio blog. E poi sono d'accordo con lei: la rilettura di Russel fa veramente bene allo spirito, considerato anche che alcune delle sue tematiche sono di stringente attualità. Avevo già avuto occasione di visitare il suo blog, che è veramente particolare e specialistico. Sono stato fino ad una certa età un assiduo lettore di fumetti, poi l'ho abbandonata un po' questa passione.
      Grazie per la visita.

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