Da
piccolo mi arrampicavo sugli alberi e mi piaceva volare di ramo in ramo; era il
gioco che più mi entusiasmava. Ricordo che preferivo un albero di gelso, perché
aveva dei rami molto lisci che mi permettevano di fare delle acrobazie senza
rovinarmi le mani. Mi arrampicavo e saltavo su e giù; c’era un attimo in cui la
mano destra si fidava della sinistra ed io volavo, sentivo i muscoli elastici,
la presa forte, ed era come camminare sulle mani e potevo guardare gli altri
sotto di me e sentirmi più forte di loro.
Ero
una sorta di “barone rampante”. Ero come
quel bambino descritto da Italo Calvino nel suo libro che vedeva negli alberi
l’unico modo per affrancarsi dal condizionamento familiare.
Ancora
oggi mi arrampico su quell’albero. Però solo simbolicamente. Lo faccio per
legittima difesa. Per liberarmi dai condizionamenti imperanti, perché sono un
po’ insofferente alle mode....ai volgari gossip quotidiani presenti su tutti i
mezzi di informazione.....alle notizie insignificanti presentate come fatti
importanti... all’enfasi con cui i mass media costruiscono i fatti per darli in
pasto alla gente. Spesso sono costretto a risalire su quell’albero, non per
chiudere gli occhi e non vedere, ma per guardare
meglio e per combattere la tirannia dell’informazione e del conformismo.
D’altra
parte i giornalisti fanno il loro mestiere, devono vendere e poi conoscono
molto bene la curiosità morbosa di chi legge e di chi guarda. Se uno
squilibrato ammazza i propri familiari e poi si suicida, io posso anche leggere
la notizia come fatto di cronaca, ma non potrei mai seguire le mille puntate
successive costruite ad arte su una tragedia umana e familiare che si ripete,
purtroppo, da quando esiste l’uomo sulla terra.
In
queste occasioni mi “arrampico” su quell’albero ideale, in attesa di tempi e
notizie migliori. In attesa che cessi il rumore. Si, perché nella nostra società esiste un rumore che nel passato
non esisteva: il rumore assordante delle parole. Troppe. Una tempesta di parole ci assale non appena mettiamo in
moto i mezzi di informazione. Si parla di politica? le parole sono sempre le
stesse, da anni, pronunciate dai soliti noti che zompano come cavallette da una
trasmissione all’altra. E parlano…parlano.
L’effetto di questo baccano assordante si riflette negativamente
sulle persone, che ormai vivono con questo chiacchiericcio di fondo, assuefatte
al rumore e sempre meno disposte a cogliere e distinguere la vera comunicazione
meditata e quindi realizzata con intelligenza, dalla spazzatura. Televisione,
giornali, internet e quant’altro sono diventati tutti contenitori di parole
roboanti, in continua guerra tra di loro per accaparrarsi il maggior numero di
clienti disposti a farsi fagocitare. Sembriamo ipnotizzati soprattutto dalle
parole poco autorevoli, quelle vuote di senso; siamo attratti dalle
notizie-gossip e dal frastuono, che ci stordiscono e ci impediscono di pensare.
Un profluvio di parole senza alcun contenuto. I fatti che accadono, se non
vengono enfatizzati, sono poco appetibili; un avvenimento, quindi, deve essere
sempre presentato come straordinario…eccezionale. Anche le notizie
meteorologiche subiscono questo speciale trattamento. Se in una normale
giornata invernale fa freddo – come succede da millenni – per chi si occupa di
informazione è sempre in arrivo “ un’ondata di gelo”; se in agosto fa caldo
(sarebbe straordinaria la notizia se facesse freddo), tutto il Paese è serrato “nella
morsa del caldo”. Sembra quasi che l’informazione debba fare
ammuina per scuotere le persone dal torpore. Rumore come contrario di una
corretta informazione e quindi confusione di ogni messaggio, notizie irrilevanti
al fine di nascondere – sempre più spesso - quelle più scomode.
Le nostre capacità percettive, seppure rilevanti, hanno dei limiti
oltre i quali sono destinate ad ottundersi per l’eccesso di stimolazioni visive
ed uditive cui vengono quotidianamente sottoposte. Per non soccombere, io credo
che dobbiamo cercare sempre, durante la giornata, un momento di “digiuno”. E’
difficile che questa limitazione possa arrivare dagli stessi mezzi che vivono
di parole e di immagini. E allora spetta a noi ritrovare quell’intervallo
perduto, quella pausa immaginifica che ci consenta di liberarci dal “troppo
pieno”, dalle troppe parole.
parole condivisibili
RispondiElimina