Ve la ricordate quella locuzione
latina “cogito ergo sum” che letteralmente significa “penso dunque sono”? La
pronunciò Cartesio più di 400 anni fa. Il filosofo francese sosteneva che
l’uomo è sicuro di esistere in quanto è un soggetto che dubita e quindi, avendo
la capacità di dubitare, egli pensa. Se fosse vissuto nella nostra
epoca ed avesse avuto la possibilità di osservare come si comporta oggi la
gente per strada, avrebbe sicuramente affermato: “telefono, ergo sum”.
Ai nostri giorni l’uomo esiste in
quanto telefona, non in quanto pensa. Se uno non ha nulla da dire, dovrebbe
stare zitto, dovrebbe osservare il silenzio: invece no. Telefona.
Mi viene da pensare che quando il
cellulare non esisteva (solo una ventina di anni fa) l’idiota non era
facilmente riconoscibile: si, perché non avendo la possibilità di esternare
pubblicamente il suo pensiero, il silenzio lo copriva, lo rendeva non
facilmente identificabile.
Il telefonino l’ha smascherato,
l’ha reso visibile.
Lui telefona per appartenere al
mondo e per sentirsi vivo. Telefona per esprimere il suo amore alla sua donna,
attento però che intorno a sé abbia molti ascoltatori. Urla per riferire il suo
sdegno contro quell’arbitro cornuto che non ha concesso “un rigore netto” alla
sua squadra del cuore e per avvertire la moglie che sta arrivando, si trova a
pochi metri da casa, e che buttasse pure la pasta. Telefona sempre con un
occhio al suo uditorio, per affermare la sua autorevolezza e per richiamare
l’attenzione su di sé, come se fosse un diritto/dovere farsi sentire. La sua
enfasi è in funzione degli ascoltatori: se è colpito da una bella ragazza,
diventa una modalità per conquistarla, dicendo magari che ha appena comprato
una Ferrari; se vuole darsi una certa importanza, dice che si farà sentire al
prossimo consiglio di amministrazione. Ho sentito uno dire che non andava di
corpo neanche con il clistere (giuro! ) e che detestava la pizza alle quattro
stagioni. Telefona sempre a chi sta
lontano, ma le sue parole sono rivolte soprattutto a chi sta vicino.
E chi gli sta vicino è costretto
ad ascoltare queste memorabili conversazioni, a subire senza possibilità di
scampo un supplizio senza fine. Ma la cosa buffa è che, chi appare seccato per
la telefonata del vicino, appena squilla il suo apparecchio telefonico si
comporta allo stesso modo, dimenticando il fastidio che aveva provato prima ed
incurante del disturbo che a sua volta arreca. Vittime e carnefici, controllati
e controllori si scambiano i ruoli. Quelli che prima subivano la telefonata
dell’altro, si vendicano telefonando, anzi urlando.
L’uomo oggi ama farsi sentire
perché altrimenti ha l’impressione di non esistere. Con un telefonino in mano
si è vivi, si è in contatto con il mondo e si può comunicare, contemporaneamente,
con un interlocutore lontano e con tanti vicini, si può andare su internet, si
possono inviare e ricevere e-mail, si può fare tutto. E’ una protesi che si indossa
ogni mattina, appena si esce di casa. E’ la droga del terzo millennio: smartphone,
iphone, tablet e chi più ne ha più ne metta. E come tutte le droghe, genera
dipendenza. Si ha paura di essere tagliati fuori da questa comunicazione
continua e incessante, si va in fibrillazione quando si dimentica il cellulare
o si teme di averlo perso. E poi quella smania di controllarlo continuamente in
cerca di notizie, messaggi, chiamate perse, pagine facebook.
E’ uno strumento rivoluzionario
che è entrato in noi, ci condiziona, ci modifica, ci rende diversi. Da esseri
umani ci ha reso esseri digitali. Non escludo che nel futuro venga impiantato
sotto pelle ai nascituri. E allora chissà se – nell’ascoltare
il vagito di un bambino appena nato – non sorga un dubbio: ma sarà la sua prima
manifestazione di gioia alla vita, o la suoneria del suo telefonino che
annuncia il primo messaggino di auguri del gestore di telefonia mobile?
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