Siamo
quotidianamente investiti da una autentica tempesta di informazioni. Siamo circondati
da strumenti (giornali, computer, televisioni, telefonini e quant’altro) che
sembrano aspettarci al varco per avvilupparci in un groviglio di parole e di
immagini da cui è difficile liberarci. Sono convinto che la sempre più grande
diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, l’enorme volume di notizie che
riceviamo in ogni momento della nostra giornata dai media, finiscano per
indebolire progressivamente le nostre capacità di ascolto e di comunicazione.
Non abbiamo più necessità di spostarci perché le notizie, le idee, i
suggerimenti ci arrivano a casa. Basta azionare un pulsante o far scorrere su e
giù un dito sullo schermo di una delle tante applicazioni tecnologiche, per
entrare nel mondo.
Siamo
esposti ad una quantità esorbitante di notizie e di fatti che, ormai, non
riusciamo più ad elaborare e a gestire. E tutto ciò determina, da una parte,
una inevitabile omologazione del pensiero e, dall’altra, un distacco da quel
bisogno antico di comunicare agli altri le nostre esperienze di vita.
Quando
mio nonno, contadino, incontrava un suo conoscente – parliamo di un tempo in
cui i mezzi di informazione non erano così asfissianti – egli poteva scambiare
con il suo amico esperienze di vita e di lavoro: ciò che diceva l’uno
rappresentava quasi sempre una novità, un arricchimento per l’altro e
viceversa, perché tra i due, nonostante tutto, esistevano ancora delle differenze
di cultura e di conoscenze. Alla base, infatti, di chi parlava e di chi
ascoltava, c’era sempre una diversa concezione della vita, una differente coscienza
delle cose che succedevano e quindi il confronto accresceva e migliorava sia
l’uno che l’altro. Esisteva, in quel contraddittorio, un dare ed un avere. Le parole
di quelle due persone non erano veicolate dall’esterno, non venivano forgiate
da programmi televisivi ma nascevano da conoscenze personali.
Oggi
non esiste più, come nel passato, una diversa esperienza del mondo. Si va
sempre di più affievolendo quel modo variegato di pensare perché il mondo
fornito a tutti dai media è identico, così come sempre più identiche sono le
parole ed i messaggi messi a disposizione per descriverlo. Chi ascolta una
qualsiasi notizia, finisce con il recepire le identiche cose che egli stesso
potrebbe tranquillamente dire; chi
parla, non fa che ripetere le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque
perché ci abbeveriamo, tutti, alle stesse fonti di informazione, quali i
giornali, la televisione, internet. Viviamo in un mondo standardizzato che alla
lunga appiattisce il cervello e la società che ci viene raccontata spesso è
fuori dalla realtà (vedi la pubblicità), ci allontana e ci unisce, nello stesso
tempo, attraverso un pensiero unico.
Se quei
due amici di prima si incontrassero oggi, non credo proprio che si
scambierebbero le loro concrete esperienze di vita e di lavoro, non
parlerebbero né di semina né di potatura, non si consiglierebbero
vicendevolmente su come ottenere un buon vino, ma i loro discorsi sarebbero
rivolti al delitto Meredith....alla nipote di Moubarak.....a Grillo e a
Renzi...a questo o a quel pettegolezzo mediatico...al festival di San Remo e
a tutte le altre notizie, costruite ad
arte, che plasmano le coscienze e tendono ad abolire la vera comunicazione
interpersonale e le differenze che ancora sussistono tra gli uomini.
E chi
non si adegua, viene emarginato.
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