Con
questo lungo e corposo romanzo Paolo Volponi vinse il premio Strega nel 1991.
Va detto che tutta l’opera narrativa dello scrittore marchigiano è incentrata
sull’antica e mai risolta contrapposizione tra operai e industriali, tra il
mondo dei lavoratori e quello delle imprese. Volponi, prima ancora che
scrittore, è stato un dipendente della Olivetti di Ivrea in qualità di
direttore dei servizi sociali, oltre che Presidente della Fondazione Agnelli, incarico, quest’ultimo, che dovette lasciare
a seguito della sua adesione al Partito Comunista. Sensibile alle problematiche
lavorative, lo scrittore era profondamente convinto che i contrasti tra
lavoratori e padroni potessero essere risolti solo attraverso una concezione
umanistica del rapporto lavorativo, al di fuori delle ferree logiche di
profitto e di sfruttamento.
Il
libro, ambientato negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra
mondiale, in un paese che faticosamente stava risollevandosi dalle estreme
condizioni di difficoltà e di miseria in cui si trovava, scruta i sentimenti, i
desideri, le illusioni, le aspettative, gli ideali politici di due giovani
studenti di Urbino (Guido ed Ettore), rappresentativi di un’intera generazione
che si apprestava a vivere, con trepidazione e contrastanti sentimenti, la
rinascita economica dopo il buio del conflitto mondiale.
Non
credo di sbagliare se dico che in questo romanzo riecheggiano echi
autobiografici dell’autore, ben inseriti nei luoghi che descrive. Lo scrittore
si cela nei suoi personaggi, si immedesima nei loro bisogni e nelle loro
contraddizioni, ne descrive le irrequietezze e le insoddisfazioni, i cui eventi
si snodano tra Urbino e Roma, ricalcando proprio le sue vicende umane e professionali,
che lo avevano visto protagonista prima nella sua città natale e poi nella
Capitale. Urbino è sempre presente nella narrazione: con i suoi palazzi, la sua
architettura antica e solenne, la sua
gente. E’ presente con i suoi riti quotidiani sempre uguali e immobili: il
pasto e poi la pennichella pomeridiana e poi il cinema e poi la passeggiata
sotto il loggiato prima della cena. E poi le lunghe, interminabili e sterili
discussioni incentrate sulla politica, sul gossip, sulle donne.
E’
la storia di un’amicizia, prima ancora che la fotografia di un’intera
generazione, quella che ci descrive Volponi, combattuta tra il desiderio di
andare via o rimanere, cambiare vita o lasciarsi cullare dalla monotonia e
dall’abbraccio del luogo nativo, che poi è quel sentimento che agita le
coscienze di tutti i giovani che si trovano nella condizione di dover decidere
sul loro futuro.
I
due giovani – che sono i protagonisti principali del racconto, insieme a tante
altre figure che costellano il romanzo - sebbene siano animati dalla stessa
voglia di cambiamento, sono però divisi da due modi diversi di immaginare il
proprio futuro: Guido (alias Volponi) si sente
animato da una sorta di destino superiore, sensibile alla ricchezza “anche se convinto di poterne controllare
l’influenza con la forza delle sue idee...servendosene per diventare un uomo
nuovo, che agisce soprattutto per uno stimolo sociale”; egli decide di
andare via da Urbino ed intraprende la strada per Roma. Ettore, invece, è più
realista, è convinto che si possa cambiare anche rimanendo; perciò non
abbandona la sua Urbino, ma cerca di cambiarla attraverso la sua professione di
insegnante.
E’
un libro che presenta una scrittura a volte ostica e ridondante; devo dire che
alcune pagine si leggono con fatica e che tale difficoltà sembra scaturire
proprio da quella visione cervellotica della realtà immaginata dai suoi
personaggi.
Volponi ne "La macchina mondiale " del 1965, mi pare, più che dal mondo lavorativo è intrigato anche dall'opposizione ad un sistema sociale, lavorativo e organizzativo vigente. quanto vige stritola chiunque si opponga e decida di vivere secondo altri itinerari socialmente meno compresi e integrati. In questo caso è la vita agricola marchigiana, a dettare i tempi umani e sociali. La natura marchigiana è fantastica, complessa, ardua, isolante e individualistica. Se non conosce le marche mi piacerebbe spingerla a valutarne le positive contraddizioni. A presto da Francesco
RispondiEliminaVorrei intanto ringraziarla per questa visita. Non ho letto "La macchina mondiale"; comunque Paolo Volponi rappresenta un testimone importante della nostra letteratura. Egli seppe reagire - con la forza dei suoi libri e con il suo impegno politico - allo strapotere del mondo industriale nei confronti del mondo agricolo e contadino.
EliminaSono stato nelle Marche varie volte: apprezzo "le positive contraddizioni" che la contraddistinguono.
La saluto