Giovannino
è un abulico e indeciso rampollo di una facoltosa famiglia della borghesia
siciliana: il padre, notaio, proprietario di vasti possedimenti terrieri,
vorrebbe che il figlio, laureato in giurisprudenza, intraprendesse la carriera
di avvocato e si sposasse con una ragazza altolocata. Che fosse, insomma,
provvista di “roba”, quella roba di verghiana memoria che assicurava potere e
prestigio.
Tali
paterne aspirazioni, rivolte più alla salvaguardia ed alla conservazione della
posizione sociale del casato che al rispetto dei sentimenti personali,
inizialmente non sembravano fare presa nell’animo dell’apatico Giovannino.
Costui appariva privo di volontà, non sapeva impegnarsi in nulla, mostrava di
avere idee confuse sul suo futuro, non sapeva bene che cosa avrebbe voluto
dalla vita; pareva in attesa di qualcosa di impreciso che sarebbe dovuto
accadere, aspettando chissà quale indistinto avvenimento che gli avrebbe potuto
cambiare la vita. E sognava ad occhi aperti. “Sognava duelli non si sa con chi, duelli generosi e romantici dei
quali avrebbe parlato tutta la città. Sognava amori con donne bellissime
contese da tutti. Sognava onori che gli avrebbe tributato la cittadinanza per
non si sa quali meriti”.
Quando
non andava nello studio di un avvocato a fare pratica forense, “lo studio dell’avvocato lo annoiava, la
mattina quando vi si recava si sentiva stringere il cuore come ai tempi del
liceo” trascorreva le sue giornate con indolenza, tra una chiacchiera e
l’altra in “pasticceria”, le passeggiate in via Etnea a Catania e le brevi
esperienze amorose consumate frettolosamente in qualche pensione della città. E
così, dopo un breve e fallimentare soggiorno nella Capitale - dove si era
trasferito per lavorare al Ministero delle Finanze, grazie ad una
raccomandazione di un deputato - Giovannino finirà per assecondare le pressanti
ambizioni del padre, sposando una ragazza non bella ma dalla ricchezza fuori
del comune. Il prestigio del casato veniva così salvato.
Il
racconto ci riporta nella Sicilia degli anni venti; i personaggi si muovono
nella Catania di via Etnea, percorsa su e giù dalle carrozze ricche e lucenti
dei notabili, dove passeggiavano le ragazze della borghesia in cerca di marito,
accompagnate dalle mamme; la Catania delle pasticcerie dove si ritrovavano,
all’ora dell’aperitivo, le signore e le signorine della buona società e le persone
più in vista della città. Sono i luoghi simbolo di un mondo che forse non
esiste più, un mondo rappresentativo di una certa sicilianità mirabilmente
descritta anche da Vitaliano Brancati, grande amico di Ercole Patti. Erano i
luoghi dove si intrattenevano i giovani dell’aristocrazia siciliana: baroni,
duchi e marchesi, avvocati, notai e assicuratori sprovvisti di titoli nobiliari
ma appunto per questo frequentatori assidui dell’ambiente dei nobili, i quali “organizzavano gite a Taormina, rievocavano
la serata precedente trascorsa in una casa di tolleranza o parlavano delle
relazioni segrete della moglie di qualcuno col marito di qualche altra”.
In
questo morbido contesto, la vita scorreva monotona, immobile, noiosa e dolce...”così dolce che si poteva invecchiare
senza accorgersene e ritrovarsi ad averla vissuta tutta senza averne avuto
coscienza, rimanendo sempre figli di famiglia. Questo era il dolcissimo veleno
di Catania che Giovannino si sentiva entrare nelle vene”.
Lo
scrittore siciliano, nel seguire le vicende del suo emblematico personaggio,
dalla vita pigra e comoda dell’età adolescenziale fino alla maturità e quindi
al matrimonio, sembra quasi voler ripercorrere il suo itinerario umano e
letterario che si svolse tra Catania e Roma, veri luoghi dell’anima.
E
lo fa con una narrazione gradevole, tratteggiando la variegata umanità di cui è
costellato il libro, con bonaria e tollerante ironia, a volte con un pizzico di
malinconia, senza mai infierire nei confronti di quella classe borghese
opportunista e attaccata alla “roba”, di quell’aristocrazia sonnacchiosa che
viveva sperperando le rendite del latifondo, interessata solo a realizzare
forti alleanze familiari al fine di salvaguardare se stessa.
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