lunedì 2 giugno 2025

Come sopravvivere alla modernità

 


“Considerare la modernità come una malattia è il primo passo per curarla”. Lo scrive lo scrittore Alain De Botton nel suo ultimo libro che si intitola “Come sopravvivere alla modernità”. Pur avendo portato benessere e ricchezza, pur avendo allungato l’aspettativa di vita, liberato l’uomo dalle fatiche fisiche e dalle malattie, la modernità ci ha alienati, ci ha resi più ansiosi, ci ha disorientati ed esasperati come non era mai accaduto prima. Ha trasformato il nostro modo di pensare e di sentire ed ha apportato una serie di cambiamenti radicali in molti ambiti della nostra vita. Il segno più evidente è dato dall’informazione: siamo sempre connessi con un altrove indefinito. Veniamo continuamente assaliti da notizie di guerre in corso, di disastri ambientali, di tragedie familiari e umanitarie, di pettegolezzi politici e mediatici, di fatti anche minimi che, pur accadendo nei posti più remoti del pianeta, entrano prepotentemente nella nostra esistenza, anche se non ci riguardano da vicino. Ma le notizie di cui abbiamo veramente bisogno – sostiene De Botton – sono quelle che ci parlino della necessità di riflettere sulle cose, di ascoltare, di apprezzare ciò che abbiamo, di essere gentili ed accoglienti, educati e civili, di tornare a stili di vita più umani. Notizie più vicine alle nostre esigenze, alla nostra sensibilità e alla nostra capacità di poterle elaborare, notizie che possano acquistare il rilievo che meritano e lasciar perdere tutto il resto, mantenendo l’indipendenza mentale necessaria per non essere sopraffatti dalla volontà di chi ci vuole omologati nelle sue forme più ottuse e spietate.

La modernità, così rapida nei cambiamenti e nel cancellare tutto ciò che appartiene al passato, ha scatenato, in chi fatica ad assecondare i gusti imposti dal mercato globale, un’ondata di nostalgia per le cose semplici di una volta. Ha generato elaborate fantasie di fuga verso isole lontane, rifugi di montagna, luoghi isolati o piccoli borghi a misura d’uomo dove prendere le distanze dal caos, dai continui stimoli pubblicitari, dalle macchine e da certe “sirene” che vogliono rubarci il tempo. Desideri estremi, questi, che pur non essendo destinati a tradursi in realtà, rappresentano tuttavia il sogno suggestivo di tante persone - compreso lo scrivente - di fronte ai disastri del nostro tempo.

Se avessimo il coraggio di mettere in discussione i ritmi frenetici della vita moderna e limitare l’uso dei suoi strumenti tecnologici di cui siamo diventati schiavi; se avessimo la forza di prendere le distanze da tutto ciò che appare urgente; se fossimo capaci di non seguire passivamente le mode imperanti, di stare lontani dai consumi superflui, ebbene ci renderemmo conto che, in fondo, abbiamo bisogno di poche cose e che starsene in una stanza silenziosa in compagnia dei nostri pensieri “è forse il luogo più produttivo in cui ci si possa trovare”. I pensieri più brillanti nascono quando abbiamo la possibilità di stare da soli, passeggiando in un bosco, guardando  fuori dalla finestra nei tempi vuoti della giornata, ascoltando il silenzio.

La modernità, dice l’autore del libro, ha costruito gli ambienti urbani più deprimenti, caotici e  sgradevoli che la storia ricordi, anche se  li ha resi funzionali. In un ambiente degradato, anche con una vita ricca dal punto di vista materiale, il nostro spirito ne  risente e si fiacca perché i luoghi in cui viviamo parlano di noi e ci condizionano. La modernità ci ha dato un mondo più ricco, non un mondo più bello. La sfida, perciò, è non perdere di vista il nostro bisogno di bellezza e lottare contro certe forze della modernità che ci impediscono di assecondarlo. E’ stata la conoscenza a guidare il progetto della modernità, e la strada da fare è ancora lunga. L’uomo è l’animale sapiente. La modernità sarà anche un’epoca confusa – conclude De Botton – ma la traiettoria del futuro è chiara: non solo continuare a soffrire a cicli ricorrenti, ma anche gettare sempre più luce sull’oscurità primordiale – in linea con le nostre migliori potenzialità – per capire come scongiurare i pericoli della modernità.



9 commenti:

  1. "...fantasie di fuga verso isole lontane, rifugi di montagna, luoghi isolati o piccoli borghi a misura d’uomo dove prendere le distanze dal caos, dai continui stimoli pubblicitari, dalle macchine e da certe “sirene” che vogliono rubarci il tempo." Non avrei nulla da aggiungere all'elenco se non (da atea, preciso) certi monasteri, la cui sola idea da anni mi attrae come una calamita.
    E sottoscrivo in pieno quanto hai scritto per cui, incapace di dirlo meglio, mi fermo qui. Nella convinta condivisione del dato di fatto iniziale (valido anche per un'appagata pensionata fancazzista come la sottoscritta, che suo malgrado vive comunque immersa in un'atmosfera che quella è): "Pur avendo portato benessere e ricchezza, pur avendo allungato l’aspettativa di vita, liberato l’uomo dalle fatiche fisiche e dalle malattie, la modernità ci ha alienati, ci ha resi più ansiosi, ci ha disorientati ed esasperati come non era mai accaduto prima." Un caro prezzo, come usa dire. Ahimé...

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    1. Grazie Siu. Un caro prezzo che paghiamo tutti, chi più e chi meno. I monasteri, le abbazie esercitano anche su di me un fascino arcano e l'ho pure scritto in alcuni post precedenti. Non sei la sola ad essere attratta da questi luoghi del silenzio, della meditazione, della lentezza...e della preghiera, perchè si può pregare anche da atei :)

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    2. Ciao Siu, mi è sfuggita la firma

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  2. Mutuando le parole di Lucio Battisti mi viene da pensare – mia cara L. – che “hai ragione anche tu…”. Resto qui anch’io, non mi trasferisco in quell’isola del Pacifico, o per dirla con Siu, in un monastero, che pure mi attrae. Quelle “fantasie di fuga” sono desideri estremi che non tutti sanno o possono realizzare, sono pensieri che vogliono comunque rimarcare un disagio esistenziale, una difficoltà a vivere questo presente dove una certa filosofia di vita, più umana e in linea con i cicli della natura, appare oggi arcaica e superata dall’efficientismo tecnologico. Dal tutto e subito. Grazie per le tue parole e buona giornata anche a te.

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  3. Mi sembra di capire che la risposta a questo interrogativo "come sopravvivere alla modernità" si può ritrovare nel tuo precedente post...o no?
    Fra.

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    1. Direi proprio di si: certi luoghi ti difendono dai pericoli della modernità e ti fanno riscoprire il silenzio, il grande assente del nostro tempo. Ciao

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  4. "Quelle “fantasie di fuga” sono desideri estremi che non tutti sanno o possono realizzare, sono pensieri che vogliono comunque rimarcare un disagio esistenziale, una difficoltà a vivere questo presente dove una certa filosofia di vita, più umana e in linea con i cicli della natura, appare oggi arcaica e superata dall’efficientismo tecnologico".

    Ma certo capisco benissimo queste "fantasie di fuga",cercano comunque anch'esse un ristoro per la propria anima e una forma di riparo da ciò che internamente non ci rappresenta.

    Il tema della "restanza" effettivamente nel post precedente a questo già ne integrava il senso del successivo ,giusta osservazione dell'altro commentatore .Le nostre osservazioni si rivelano quindi semplici constatazioni :)

    Grazie e buona giornata a te e a tutti i tuoi lettori .

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  5. Sono pochi quelli che sanno essere felici dove si trovano – diceva uno scrittore del passato – e da qui scaturisce quel desiderio di essere altrove. Mettici poi la modernità, con tutte le sue complessità, ed ecco allora che scatta la molla della “fuga” in un luogo più tranquillo che possa liberarci dal “tutto e subito”, e che sia antico e moderno. Nessuno oggi vuole tornare al medioevo e una via di mezzo si deve pur trovare per campare. Ciao e buona giornata a te. :)

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  6. Mi difendo come posso dalla modernità, pur restando moderno. Non sono un cavernicolo, anche se non ho lo smartphone e non sto sui social (tranne il blog, naturalmente). Io quando vedo la gente per strada con gli occhi incollati su quella diabolica scatoletta mi domando sempre: ma che cacchio stanno guardando che a me sfugge!!
    Noi che abitiamo nella Capitale – caro Franco – per “godere di pensieri sublimi anche nel caos” e vivere “attimi intensi di bellezza urbana”, ci tocca faticare non poco. Intanto dobbiamo fingerci ciechi, per non vedere i cumuli di spazzatura addossati ai monumenti ed essere sordi ai rumori. E poi dobbiamo uscire di controra, perché ci sono momenti della giornata in cui questa meravigliosa città è paralizzata e monopolizzata dal traffico e dai turisti. Ed è proprio in tali circostanze che mi viene voglia di fuggire su quella famosa isola sperduta nel mare, dove trovare finalmente pace e silenzio, lontano dalla modernità. Ma per fortuna ho un mio buen retiro nel Cilento, dove mi metto in salvo nei momenti di difficoltà. Ti saluto ;)

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