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sabato 20 gennaio 2024

Pontiggia: chi l'ha visto?

 


“Spesso, quando si cerca di convincere gli altri, si tenta solo di placare i propri dubbi; e non c’è da stupirsi se si fallisce in entrambi gli intenti”


Mentre leggevo “La grande sera”, un romanzo di Giuseppe Pontiggia, mi veniva da pensare che quasi tutti i miei scrittori preferiti sono morti. E spesso dimenticati dagli editori prima ancora che dai lettori. Da Michele Prisco a Giovanni Arpino, da Ercole Patti a Luciano Bianciardi, da Raffaele La Capria a Vitaliano Brancati, da A. Maria Ortese a Lalla Romano – tanto per fare alcuni nomi, ma la lista è davvero lunga – sembra quasi che le mie letture siano legate ad una tomba. Come se la morte dell’autore potesse imprimere una sorta di sigillo di garanzia o un alone di grandezza su quelle opere letterarie che mi sono più congeniali. Senza negare, tuttavia, che certi scrittori passati a miglior vita appaiono, oggi – per la loro statura morale e artistica - molto più vivi dei vivi. Vista la distanza davvero incolmabile che passa tra le opere dei primi (i morti) e quelle dei secondi (i vivi).

Considero Giuseppe Pontiggia, scrittore lombardo morto una ventina di anni fa, la new entry in questa mia particolare e amata classifica. “La grande sera”, forse il suo libro più importante, l’ho scovato sul banchetto di un mercatino dell’usato. Conoscevo per sentito dire il nome di Giuseppe Pontiggia, ma non avevo ancora letto niente di suo. Questa lettura è stata, per me, davvero una piacevole sorpresa.

La vicenda del romanzo è estremamente semplice ed essenziale: in un pomeriggio estivo, in una Milano di qualche anno fa, un affermato professionista sparisce all’improvviso senza lasciare alcuna traccia. Oggi, probabilmente, se ne occuperebbe “Chi l’ha visto” che – guarda caso – è la storica trasmissione televisiva di RAI 3 che nasce nel 1989, l’anno in cui il libro fu pubblicato aggiudicandosi il premio Strega. L’assenza, congiuntamente all’attesa sono i due temi del romanzo, la cui vicenda riguarda non tanto la storia del protagonista che si è dato alla fuga quanto quella degli “altri” che ruotano intorno a lui e che reagiscono, in maniera diversa, alla scomparsa: la moglie, l’amante, il fratello, la cognata, il nipote, il socio d’affari. “Forse era stanco di definire insensata la propria vita come si fa solo per poterla accettare, e si era preso improvvisamente un giorno insensato”. Di fronte a questa oscura sparizione, emerge il carattere molto discutibile dei vari personaggi, ognuno avvolto nella propria ipocrisia, nelle proprie amarezze e delusioni e si scopre tutta la pochezza dei sentimenti da cui gli stessi sono animati. Sembra quasi che il protagonista scomparso riesca finalmente a disvelare i sotterfugi, le menzogne, le cose non dette e non fatte, il vuoto esistenziale delle loro vite poco esaltanti. E a mettere in luce ambizioni e rinunce, incertezze e falsità e ambiguità relazionali fino ad allora occultate. L’assente che smaschera la fuga dei presenti dalle loro responsabilità. E mentre cercano senza troppe convinzioni lo scomparso, costoro si rispecchiano in quell’assenza e finiscono per cercare sé stessi.

Con uno stile misurato e preciso, non privo di appuntite divagazioni ironiche sulla psicologia dei vari personaggi e con un’abbondanza di aforismi che impreziosiscono la narrazione e la rendono più profonda, Pontiggia ci restituisce il piacere della lettura. Come solo i grandi sanno fare.


18 commenti:

  1. Concordo pienamente: Pontiggia è stato un grande. Da scoprire o rileggere.

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    1. Io l'ho scoperto e cercherò di leggere altri suoi libri. Grazie Maria

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  2. Mi viene in mento lo sparire di chi non è mai stato considerato per finalmente, apparire, anche solo ad effimero titolo di cronaca..

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    1. Esiste una differenza decisiva tra uno scomparso e uno assente. Chi non è stato mai considerato è certamente un assente e - come dice un personaggio del libro - l'assenza è temporanea, la scomparsa non si sa. Quindi l'apparire, dopo l'assenza, può considerarsi, a volte, una cosa positiva. Pontiggia non è scomparso, ma solo assente nel panorama della nostra letteratura. Appare nel momento in cui lo leggiamo... e poi non lo lasciamo più :)

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  3. Da lettrice che ama anche scribacchiare, ho trovato intriganti anche due saggi di Pontiggia: I classici in prima persona (Mondadori, ristampa del 2020) e Per scrivere bene imparate a nuotare (ancora Mondadori, 2020).

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  4. Grazie Pino di porre attenzione su Pontiggia. Ricordo con vera gioia, oltre ai suoi romanzi, un paio di saggi sulla letteratura che per me furono illuminanti: "I contemporanei del futuro" e "Il giardino delle Eumenidi"- Per inciso i contemporanei del futuro sono per Pontiggia i "classici". E così è.

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    1. Grazie, Ettore, per i tuoi preziosi consigli. Ne terrò conto! Un caro saluto

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  5. Bisogna abbandonare il concetto del "libro o autore famoso=gran libro scrittore eccellente". Non è facile ma spesso, come è successo a te, chi molto legge e lo fa senza preconcetti aberranti e ideologici si trova davanti a scritture che ti attraversano fino in fondo. Questo conta molto di più che avere sugli scaffali una pletora di successi editoriali ( spesso scritti male e da altri). Il libro che citi lo lessi molto tempo fa e non l'ho mai dimenticato e mi piace ricordare Pontiggia con una sua frase che ben si adatta a me-
    "Le ore destinate alla lettura sono sempre troppo poche per questa voracità smisurata che io ho per la lettura. Durante il giorno leggo molto, sempre meno di quello che vorrei. Ho un rimpianto per tutti i libri che non ho letto e non potrò leggere, faccio delle incursioni dentro i libri per avere come la percezione di un paesaggio."

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    1. Le tue parole mi trovano d’accordo, caro Enzo. Io non sono uno di quelli che corre dietro alle novità editoriali, ai best seller. Un libro non può essere una moda, non deve misurarsi con i mezzi di comunicazione di massa, ma deve essere coscienza critica, deve suscitare dubbi, far nascere riflessioni e opporsi ai fatti di attualità ricorrenti, già enfatizzati dai mass media, in primis dalla televisione. Se un libro piace a tutti - nello stesso momento - c’è qualcosa sotto che non mi convince. Meglio aspettare. E quando si parla di autori “famosi” bisogna sempre fare un distinguo: tra quelli che sono diventati tali per avere scritto un solo grande libro (penso a Tomasi di Lampedusa, Manzoni, Salinger, Pasternak, Proust…) e quelli che sono famosi perché volti noti della televisione che scrivono un libro all’anno, magari come strenna natalizia. Certo, ognuno poi legge quello che ritiene migliore, ognuno ha le sue preferenze letterarie. Ci mancherebbe! C’è chi preferisce Bruno Vespa o Aldo Cazzullo e chi invece ama dedicare il proprio tempo (che è sempre poco…) alla lettura di qualche vecchio e dimenticato scrittore del nostro recente passato. Che sia famoso o meno, poco importa. L’importante è ritrovarsi tra le sue pagine. Un caro saluto.

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  6. E chissà forse in fondo la natura umana è fatta proprio così,non riuscendo ad apprezzare la "presenza"di qualcuno , quel dopo, il vuoto e " l'assenza" che rimane,diventa soprattutto presa di coscienza di quel che nel profondo si è ,denudati da ogni forma di falsità e ipocrisia.

    "E mentre cercano senza troppe convinzioni lo scomparso, costoro si rispecchiano in quell’assenza e finiscono per cercare sé stessi".

    Grazie ,nel tuo spazio c'è sempre da imparare ,meditando su quei grandi scrittori che puoi "scovare su un banchetto dei mercatini dell'usato" ...come se avessero già dato e consumato ,invece sono riesumati , dandoci conferma nel poterli ancora leggere e sfogliare come doni preziosamente tramandati.

    L.

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    1. Un aspetto straniante di questo romanzo è che i vari personaggi che gravitano intorno al protagonista assente sembrano accettare la sua scomparsa, almeno negli ultimi tempi, quando non pensano più di trovarlo. Come se la decisione di spingerlo alla fuga fosse anche la loro, dipendesse anche dai loro comportamenti sbagliati, dai loro sentimenti contrastanti, dalle loro scelte di vita. Come dire che in certe situazioni di disagio esistenziale, se hai un po' di coraggio, la via della fuga è anche la via della tua salvezza. E la tua “scomparsa” diventa, per gli altri, una sorta di “abbandono” che li costringe ad interrogarsi sulla propria esistenza.
      Ciao L. e grazie per il tuo commento

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  7. ho apprezzato Pontiggia in Nati due volte, lucido, preciso, toccante, mai retorico, nonostante il tema lo riguardasse così da vicino.
    ml

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    1. Vedo che sono in ottima compagnia nel leggere Pontiggia: non posso che esserne contento. Ciao Carlo :)

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  8. Letto nel 2017, mi piacque moltissimo. Una scrittura da manuale, ricordo i dialoghi perfetti, in particolare alcuni, con la moglie, quando lui lamenta la sindrome della pagina bianca... Bello. Ho scoperto Pontiggia anch'io con questo libro e poi ho cominciato ad ascoltare i suoi interventi nella trasmissione radio "Dentro la sera", dove dà lezioni di scrittura. La trasmissione è ancora in rete, se non la conosci ti consiglio di seguirne le puntate.

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    1. Grazie per il consiglio, Marina. Si, i dialoghi sono davvero interessanti e delineano in maniera calzante i vari personaggi. Quello a cui tu accenni è da manuale.Lì è soprattutto la moglie, Giulia, a parlare. Dice che "si era sposata con l'ambizione, delirante e comune, di possedere un uomo, ma constatava di essere vedova di un vivo" E allora si era data alla poesia e se prima "scrivere" era stato "un verbo gravido di clandestinità e di panico...una emozione segreta, una cerimonia furtiva", con il tempo era diventato "un incontro periodico con la sterilità". E' forte quando parla del poeta esordiente che oscilla "tra l'allucinazione di essere Rimbaud e il panico di essere un illuso". E poi ci sono i lettori (che forse sono come i lettori dei nostri blog...sorrido): quelli "più soccorrevoli, divisi tra la solidarietà e il disagio, commentavano il testo con un "bellissimo" seguito da un "ma" che avrebbe messo in crisi l'aggettivo, se solo non fosse stato cancellato dall'autore, sempre proteso a ricordare i si e a dimenticare i no. Alla fine sopravviveva incontrastato il "bellissimo", che spesso non si concede neanche a un classico, accantonato con insofferenza. Ma l'indulgenza aveva il pregio di conciliare il desiderio di lode con il desiderio di quiete".

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